Heavy Rain – Recensione PS3

“E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.”

“E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.”
Momenti, cinematografici. Lacrime, di gameplay. Pioggia, di emozioni. Come un temporale a ciel sereno, Heavy Rain sconvolge l’atmosfera stantia del “videogaming” moderno, sommergendo i cosiddetti “giochini” (spesso ridotti a pozzanghere emozionali) con un oceano di tematiche, situazioni, emozioni e interpretazioni di densità adulta, al contempo annacquandone però il gameplay inteso in senso classico. Più “play” che “game”, più “rappresentazione” che “gioco”, l’ultima coraggiosa opera cine-videoludica di Quantic Dream poggia su quattro, semplici(stiche) meccaniche di gioco, tanto connaturate all’homo sapiens di sempre quanto semplificate per l’homo ludens di oggi.

Pensa.
Tenendo premuto il grilletto sinistro si visualizzano i pensieri del personaggio controllato contestuali alla situazione contingente che sta vivendo. Che siano quelli dell’architetto di successo Ethan Mars, che si chiede cosa diavolo sia successo alla sua bella vita che fu per colpa dello spietato Killer dell’Origami. O quelli dell’investigatore privato nonché alcolizzato Scott Shelby, che interroga e s’interroga per far luce sul misterioso Killer dell’Origami. Oppure quelli dell’agente virtuale dell’FBI ancorché dipendente reale dalla droga Norman Jayden, che investiga con tecnologie di matrice “matrixiana” per scoprire l’identità dell’imprendibile Killer dell’Origami. O anche quelli della giornalista d’assalto fisico e psicologico Madison Paige, che ficca il naso oltre al resto del suo flessuoso corpo tra le morbose pieghe dell’ultimo caso di serial Killer (dell’Origami). Pensieri che frullano letteralmente in testa a tutti e quattro i protagonisti alternativamente giocabili di Heavy Rain – e che per questo motivo risultano talvolta difficili da decifrare a causa di inquadrature spesso non felici per quanto parzialmente modificabili – da selezionare mediante i tasti frontali del joypad PS3. Raramente alternativi l’uno rispetto all’altro, solitamente scandagliarli tutti consente di avere un quadro preciso delle azioni che è possibile compiere, spesso “sbloccando” pensieri successivi che indicano con ancora più precisione le “strade” percorribili all’interno del sorprendentemente lungo (una decina di ore, per un costo del “biglietto”di circa 70 euro) e parzialmente malleabile copione di Heavy Rain.

Scegli.
“Scegliere” è la parola d’ordine, in questo gioco d’interpretazione, o interpretazione di gioco. Molte situazioni sono aperte a diversi tipi di scelta (più o meno articolate), di condotta e di esito differenti. Esiti che sono conseguenza diretta delle scelte di dialogo e d’azione dei protagonisti, alcune volte avendo effetti anche determinanti (e non sempre immediatamente discernibili) sugli sviluppi della trama, altre volte prevedendo solo sfumature narrative e filmate diverse nell’ambito di un copione univoco già scritto dagli sviluppatori. Oltre alla selezione del tipo di scelta da fare mediante i soliti tasti frontali, in questo contesto sono spesso e volentieri importanti anche i tempi nel farlo, visto che, ad esempio, di fronte a una pistola puntata in faccia non si ha molto tempo per negoziare.

Risolvi.
Sul fronte degli enigmi tradizionali, purtroppo, Heavy Rain non brilla granché né per quantità né per qualità. Non siamo di fronte a un’avventura grafica, non ci sono oggetti da combinare, al massimo pensieri da decifrare. Oltre agli “enigmi morali” che ovviamente caratterizzano il gioco e stimolano le capacità decisionali del giocatore, solo in rarissime occasioni ci si trova a chiedersi “dove andare” o “cosa fare”. Situazioni che quasi sempre coinvolgono Ethan, che non deve certo scervellarsi per trovare una soluzione, ma solo quella possibilmente “migliore” delle altre. Insomma, in Heavy Rain è quasi impossibile trovarsi bloccati. E se questo può rappresentare un limite da un punto di vista puramente “videogiocoso”, in termini cinematografici giova invece al ritmo dell’azione e della narrazione. Così come tanti altri dei pochi elementi di “game” della “play” messa spettacolarmente in scena dal regista David Cage.

Premi.
Lo “stiloso” sistema di controllo di Heavy Rain, all’inizio apparentemente ostico, dopo un po’ risulta tanto ergonomico e “anatomico” quanto immediato e coinvolgente, utilizzando in modo assolutamente naturale i sensori giroscopici del controller PS3. Un sistema studiato prettamente in ottica coinvolgimento, che sacrifica però al ritmo dell’azione la libertà nell’esercitare la stessa. La cosa è evidente considerando la limitatissima libertà esplorativa concessa a protagonisti che possono solo camminare “liberamente” (entro scenari comunque estremamente lineari nel loro sviluppo morfologico), non correre né tanto meno guidare effettivamente veicoli. Ma soprattutto è evidente nelle frequentissime scene di combattimento, corpo a corpo o armato che sia. Queste ultime sono tutte risolte tramite il solito, abusato sistema detto “quick time event”, ovvero mediante la pressione (singola o multipla) dei tasti che appaiono in sequenza sullo schermo, da eseguire con la dovuta precisione e tempismo. Come detto, quindi, ritmo a go-go, inquadrature d’azione da sturbo, coinvolgimento visivo a mille… ma interazione scarsa e libertà pressoché nulla. Oltre a qualche dito attorcigliato.

Lacrime, di gameplay e di libertà, che comunque aggiungono sale, nonché un minimo di controllo giroscopico e decisionale, alla pioggia di emozioni e di coinvolgimento che bagna da capo a piedi il gioco e il giocatore che lo sta giocando. O, se preferite, il film e lo spettatore che lo sta guardando. Rapito, sempre e comunque, grazie a una sceneggiatura, a una fotografia, a un montaggio, a una regia e a interpretazioni (ben doppiate) di primissimo piano. In tale contesto, in un approccio così dichiaratamente cinematografico, la grafica condivide con il gameplay il ruolo di perfetta spalla tecnica per una narrazione filmata sempre protagonista indiscussa. Una grafica pulita, eccellente nel convogliare sensazioni ed emozioni attraverso i volti espressivi dei componenti del cast, così come nell’enfatizzare ulteriormente spettacolari e coinvolgenti scene d’azione da blockbuster hollywoodiano. La realtà virtuale navigata dall’agente Jayden, poi, è roba da Oscar reale.

Il coinvolgimento che ne deriva, per quanto più visivo ed emozionale che attivo e decisionale, probabilmente non ha eguali nel panorama videoludico moderno. In questo senso “l’esperimento originale”, il tanto discusso Fahrenheit, è davvero “far”. Lontano, superato sia in termini di coerenza narrativa che di rappresentazione visiva dallo scrosciante (applausi) Heavy Rain. Quando la pioggia sarà (ancora) più pesante anche sul piano delle scelte, veramente alternative, veramente determinanti, veramente interfaccianti(si) con un’I.A. veramente intelligente e non solamente artificiale, beh… finalmente avrà veramente avuto luogo la fusione tra cinema e videogioco. Fredda, se non bagnata.