Strano prodotto questo Murdered: Soul Suspect. Annunciato senza troppo clamore, si è via via fatto notare in eventi e fiere per un approccio alla storia alquanto particolare e abbastanza originale. Non capita tutti i giorni d’interpretare il ruolo di un fantasma, perché insomma, non vi rovineremo certo la sorpresa dicendovi che nei primissimi attimi di gioco ci si ritrova a volare fuori da una finestra. Un lungo volo, scandito da una sequenza al rallenty che ancora una volta darà ragione alla gravità, facendoci inevitabilmente schiantare al suolo. Non sarà questa a ucciderci però, ma un’oscura figura incappucciata che, giusto per chiudere i conti, ci scaricherà addosso una quantità sufficiente di piombo da ammazzare almeno mezza dozzina di cristiani.
Ed è così che cala il sipario sulla vita terrena del nostro protagonista, il detective Ronan O’Connor, un ragazzone tutto tatuato, dal passato molto ma molto difficile. Ma per fortuna ci troviamo a Salem, la ben nota città delle streghe e forse anche per questo motivo non ci meraviglia più di tanto ritrovarci in versione ectoplasma, più o meno trasparenti, quanto incapaci di comunicare con i vivi. In compenso, bloccati in questa realtà fra il nostro mondo e quello dei morti, Ronan avrà accesso a nuovi poteri e interessanti facoltà, che lo aiuteranno a venire a capo del proprio omicidio e, soprattutto, a smascherare il cosiddetto Killer della Campana, responsabile anche della nostra morte.

Un’intricata matassa narrativa, che vedrà coinvolti diversi soggetti con cui avremo a che fare in diversi occasioni. C’è questo Rex, fratello della nostra defunta moglie Julia (eh sì, c’è allegria in casa O’Connor), poi l’odioso Baxter, poliziotto dai modi rudi e irritanti, e per finire la più importante, Joy, di nome ma non di fatto. Figlia di una sensitiva coinvolta nelle indagini sul serial killer scampanato, questa ragazzetta punk/dark/emo pare sia proprio l’unica persona sulla faccia della Terra in grado di vederci e parlarci. E qui chiaramente entrano in gioco tutta una serie di dinamiche che vedranno questo improbabile duo collaborare, volenti o nolenti, nel tentativo di venire a capo della sanguinosa fila di omicidi che ha finito per coinvolgere Ronan stesso.
Chiaramente, essere un fantasma ha anche i suoi vantaggi, oltre al poter spiare la vicina di casa mentre si fa la doccia. Il difficile è entrare nelle case, perché di base non si può proprio andare dove si vuole, ma basta che qualcuno apra l’uscio per infilarci dentro la sua abitazione e scatenare un inferno poltergeist. No, non è vero. Per quanto ci piacerebbe, Ronan è un “niubbo” del settore spiritico e non è certo in grado di terrorizzare i vivi in modo significativo, anche se qualche forma d’interazione con TV, telefoni, walkie-talkie, etc., ci darà modo di distrarre alcuni soggetti in determinate situazioni. Quel che ci differenzia davvero è la facoltà di passare attraverso i muri e di poter interagire con altri fantasmi. Alcuni di questi si riveleranno dei cinici bastardi, altri invece avranno bisogno del nostro aiuto per trovare la pace e finalmente volare nell’aldilà. Missioni secondarie, che si affiancano a un lungo corollario di oggetti collezionabili, suddivisi in targhe, documenti, foto e persino dei frammenti legati a particolari storie di fantasmi, un po’ inquietanti a dirla tutta, ma sarebbe bizzarro il contrario.

Il succo del gameplay però è un altro ed è tutto incentrato sull’investigazione. Ronan, da bravo detective qual è (era?), dovrà mettere a frutto le proprie doti, sia nuove che vecchie, per risolvere tutta una serie di indagini, che andranno a comporre un puzzle narrativo piuttosto appassionante. Ogni scena quindi andrà analizzata a fondo, alla ricerca di tutta una serie di indizi, il cui numero varierà di volta in volta. C’è un po’ di L.A. Noire e Heavy Rain in questi momenti, ma, al contrario di questi titoli, non si tratta solo di trovare determinati oggetti o prove evidenti, talvolta toccherà addirittura entrare nella testa di alcuni personaggi, in modo da modificarne il comportamento, aiutarli a ricordare alcuni eventi o semplicemente, spiarne i pensieri. Ah, quanto farebbe comodo un potere del genere nella vita di tutti i giorni!
Comunque sia, una volta raggiunto un quantitativo sufficiente di indizi si potrà provare a mettere assieme i vari pezzi, scegliendo la combinazione più probabile. Da notare che ogni volta ci troveremo in una situazione del genere saremo giudicati con un punteggio, rappresentato da tre distintivi. Perderemo un punto per ogni risposta errata, ma questo non influirà in alcun modo sul corso della storia: non è contemplata infatti la possibilità di sbagliare o di chiudere un caso in malo modo, come succedeva con il già citato L.A. Noire.

A complicarci un po’ la vita ci saranno giusto questi demoni, che di tanto in tanto salteranno fuori in diverse parti del gioco. In questi frangenti potremo adottare una pratica stealth e tentare di non farci vedere, ma a dirla tutta, conviene di gran lunga studiarne il comportamento, arrivargli alle spalle e quindi farli fuori (la combinazione varia di volta in volta, ma non è nulla di complicato). A un dato momento avremo anche il potere del teletrasporto, cosa che ci permetterà di accedere ad aree precedentemente inesplorabili. Non è un metroidvania comunque, quindi di backtracking ne troverete ben poco, più che tutto limitato al dover uscire da determinate aree. Qualche breve momento ci vedrà controllare anche un gatto, ma si tratta davvero di sequenze molto brevi ed è un bene che sia così.
Murdered: Soul Suspect non è certo un titolo rivoluzionario, semmai appare come un discreto insieme di idee già viste, con una storia interessante (ma non memorabile) a far da collante. Forse gli sviluppatori avrebbero dovuto calcare un po’ più la mano sul lato horror/inquietante, che invece rimane molto distante, quasi fosse un contorno e non il vero fulcro dell’esperienza. Sia chiaro, non è Outlast questo, ma neanche il più scalcagnato dei Resident Evil. Rientra insomma nei canoni delle avventure grafiche di nuova generazione, un gioco che ripercorre i passi di titoli che abbiamo citato più volte nel corso della recensione, riuscendo a convincere in linea di massima, senza però strafare.
Un discorso applicabile anche al comparto tecnico: seppur gradevole, Murdered mostra ancora una volta tutti i limiti dell’Unreal Engine 3, con un frame rate a tratti ballerino, seppur il più delle volte nell’area dei 50/60 fps (la versione provata era quella PS4, per la cronaca), punteggiato a tratti da un po’ di screen tearing. A texture non sempre memorabili, poi, si affiancano dei soggetti non proprio modellati con tutti i crismi, specialmente quando parliamo di NPC. Stonano un po’ anche le sequenze d’intermezzo, realizzate sì con il motore del gioco, ma digitalizzate in forma di video: si nota un’eccessiva compressione e, soprattutto, una strana linea nella parte bassa delle schermo, sintomo di un qualche problema in fase di rendering. Apprezzabile invece, almeno per buona parte, il doppiaggio, in particolare quello del protagonista, anche se non tutte le voci risultano altrettanto convincenti, è bene puntualizzarlo.