Il geniale parto di Tim Schafer meritava senza ombra di dubbio una versione remastered, ma del resto, se pensiamo all’eccellente catalogo di avventure firmate Lucas Arts, è quasi impensabile trovarne una che non ne sia degna. Grim Fandango però ha rappresentato quasi un caso a parte, essendo considerato dai più come un punto di svolta nel mondo degli adventure. In effetti, almeno per certi versi, si trattò di un’autentica rivoluzione, dato che introdusse un modo di approcciare il genere assai diverso rispetto ai suoi illustri predecessori. Accantonato il celebre SCUMM, l’interfaccia che per anni aveva accompagnato le migliori produzioni di Ron Gilbert e soci, ci si ritrovò a interagire con l’ambiente in maniera più diretta. Non a caso fu adottato un sistema di gestione dei movimenti in stile “tank”, ispirato non poco a quello introdotto solo un paio di anni prima da Resident Evil. Il capolavoro di Capcom fu di ispirazione anche per la scelta dei fondali, per la prima volta renderizzati in computer grafica, in sostituzione della classica pixel art utilizzata fino a quel momento. E dire che negli ultimi anni è avvenuto il processo opposto, ma si sa… questi sono i classici corsi e ricorsi storici.
Negli anni 90 la CG divenne praticamente una moda e le avventure ne abusarono non poco. Da Myst e 7th Guest, di esempi ne abbiamo avuti a bizzeffe, ma mentre i titoli in questione puntavano su un tipo d’interazione in prima persona, Grim Fandango continuava a proporre un modello di gioco più tradizionale, con un protagonista solido, tridimensionale. In tutti i sensi. Certo, la tecnologia allora stava muovendo i primi passi in termini di grafica 3D a poligoni pieni e Grim Fandango, almeno nel suo genere, ne fu quasi un pioniere. Il team capitanato da Tim Schafer dovette impegnarsi parecchio per riuscire a ottenere i risultati sperati, ma per fortuna in LucasArts lavoravano degli eccellenti ingegneri e così, fondendo l’engine di Jedi Knight: Dark Forces II a quello di Rebel Assault, riuscirono a tirare fuori qualcosa di unico, quasi straordinario per il 1998. Lo chiamarono GrimE e purtroppo venne utilizzato solo in altro titolo, Escape from Monkey Island.
IL MIO NOME È MANNY, MANNY CAVALERA
La tecnologia è nulla senza… controllo? Sì anche, ma diciamo che avere un team di bravi artisti al seguito può aiutare e non poco. Non a caso Grim Fandango è rimasto nella storia anche per le sue azzeccatissime ambientazioni. Il gioco infatti si svolge completamente in un ipotetico quanto bizzarro mondo dei morti ispirato alla mitologia azteca, dove i trapassati devono intraprendere un viaggio più o meno lungo per giungere alla destinazione finale, il Nono Aldilà. La gestione di questa sorta di pellegrinaggio è affidata al Dipartimento della Morte, i cui agenti non solo devono prelevare le anime dei defunti, ma anche tentare di convincerle ad acquistare il miglior “pacchetto” per il loro ultimo cammino.
[quotedx]al povero Manuel Calavera, Manny per amici, toccano sempre clienti di tale infima categoria[/quotedx]
Manco a dirlo, solo le anime più virtuose potranno ambire ai mezzi di trasporto più comodi e veloci, fra i quali figura il leggendario treno Numero 9, che permette di arrivare a destinazione in soli 4 minuti. L’alternativa? Nel peggiore dei casi, 4 anni a vagabondare nella terra dei morti, con il rischio di venire divorati da qualche demone o carbonizzati da un castoro in fiamme (no, davvero). Purtroppo al povero Manuel Calavera, Manny per amici, toccano sempre clienti di tale infima categoria, il che è un bel problema. Nel suo caso infatti l’unico modo per riscattare la propria anima consiste nel lavorare per il Dipartimento della Morte, cercando di vendere più pacchetti possibili in modo da saldare il proprio debito. Il perché di questa pena non viene mai svelato nel corso del gioco, ma poco importa, anche perché la trama prende quasi subito una deviazione improvvisa, che cambierà per sempre la vita (si fa per dire) di Manny.
All’ennesimo cliente squattrinato, il nostro Cavalera perderà le staffe e deciderà di prendersi una rivincita sul suo odiato collega Domino Hurley, al quale invece toccano sempre le anime migliori. Manipolando il sistema di assegnazione dei casi, gestito tramite la posta pneumatica, riuscirà così a impossessarsi del caso di Mercedes “Meche” Colomar, di cui finirà inevitabilmente per invaghirsi. Purtroppo le cose si metteranno subito male: il biglietto per la bella (?) Meche risulterà scomparso, tanto da convincerla a intraprendere il periglioso viaggio a piedi, lasciando Manny in un mare di guai (e difatti perderà anche il lavoro). Il tutto suddiviso in quattro grossi capitoli, ambientati a distanza di un anno l’uno dall’altro e inframezzati da incontri con personaggi alquanto singolari, come il demone Glottis, caratterizzato da un’insana (quanto motivata) passione per i motori.
MORTI E (NON TROPPO) CONTENTI
Una trama fitta e per nulla scontata, prova concreta del talento di Tim Schafer, che ne ha diretto completamente lo sviluppo. Non è un caso che questa versione remastered presenti una chicca non indifferente, ovvero la possibilità di ascoltare il commento di Mr. Schafer ovunque appaia il simbolo del ciak cinematografico. Per gli appassionati questa opportunità si traduce nel poter scoprire dettagli e chicche sulla creazione di uno dei titoli più amati di tutti i tempi.
[quotesx]Fra i talentuosi doppiatori non possiamo non citare il bravissimo Renato Cecchetto[/quotesx]
In quanto a gameplay le cose non sono certo cambiate, e del resto sarebbe stato criminale metterci le mani sopra. Grim Fandango rimane tutt’oggi un’eccellente avventura grafica e molti dei suoi enigmi rappresentano ancora una sfida appassionante e per nulla scontata. Giusto in qualche frangente si nota un po’ di ruggine, come l’interazione non sempre perfetta con l’ambiente, che di tanto in tanto rischia di sfociare in un falso negativo. Si tratta di piccoli dettagli, che nulla tolgono all’ottima esperienza generale. Abbiamo gradito anche l’utilizzo del doppiaggio originale, ai tempi curato dalla mitica CTO di Zola Predosa, con ottimi risultati peraltro. Fra i talentuosi doppiatori non possiamo non citare il bravissimo Renato Cecchetto, attore/doppiatore noto soprattutto per aver prestato la propria voce all’orco Shrek.
RIMASTERIZZARE PER NON MORIRE
Per quel che concerne il lavoro operato in termini di restauro grafico, non ci si può lamentare più di tanto, considerando che gli asset originali si portano ben diciassette anni sulle spalle. I fondali, per quanto semplici, sono stati adattati ai 1080p con una discreta efficacia e nonostante l’upscaling sia evidente, non lo è come nel recente remake di Resident Evil, davvero pessimo in certi frangenti. Le poche dozzine di poligoni che componevano Manny e soci sono ancora lì, a ricordarci un’epoca assai lontana, seppur accompagnati dall’utilizzo di texture in alta risoluzione e da un’illuminazione decisamente più raffinata. Si può comunque passare in qualsiasi momento dal vecchio al nuovo engine premendo un tasto, utile per chi soffre di nostalgia cronica o è alla ricerca del purismo a tutti i costi.
Meno entusiasmanti le performance in certi frangenti: adesso, va bene tutto… ma vedere il protagonista “scatticchiare” in alcune location è una roba al limite dell’inconcepibile. E questo discorso si applica tanto a PS4 quanto a PS Vita, dove le cose vanno anche peggio. Pretendere i 60 fps in ogni situazione, considerando che nei momenti più affollati ci saranno si e no cinquecento poligoni a video, non è una richiesta folle, ma il minimo sindacale. Nulla che renda l’esperienza meno gradevole, però certe cose ti fanno partire l’embolo, specialmente se consideriamo l’enorme divario tecnologico che intercorre fra un PC del 1998 e una console del 2014.
Apprezzabile il supporto per il cross-save fra PS4 e PS Vita, che permette lo scambio dei salvataggi attraverso cloud. Inoltre l’aver implementato i movimenti diretti analogici, in sostituzione di quelli carrarmato/digitali tipici di quel periodo, ha davvero migliorato di molto l’esperienza generale. Sulla console portatile di Sony è anche possibile avvalersi del touch screen per direzionare Manny, farlo interagire con l’ambiente e selezionare i dialoghi. Non manca nemmeno la possibilità di scegliere fra 4:3 e 16:9, anche se quest’ultima modalità non fa altro che allungare lo schermo, senza mantenere le proporzioni come nel caso di Resident Evil HD. Comunque sia, a parte gli sporadici problemi di fluidità citati in precedenza, questa Remastered riesce a restituire nuovo lustro al capolavoro di Tim Schafer. Un’occasione d’oro tanto per le nuove leve, quanto per i giocatori più vecchiardi.