The Order: 1886 – Recensione

The Order: 1886

The Order: 1886 è la prima nuova grande proprietà intellettuale esclusiva per la console di Sony da quando, un anno fa, è cominciata la tanto vituperata next-gen. Vero, ci sono già stati Driveclub e Knack, ma con The Order: 1886 stiamo parlando di qualcosa che, sin dalla prima immagine diffusa, ha fatto chiaramente capire che l’asticella si sarebbe alzata per tutti, come quando arriva sul mercato un titolo di Naughty Dog, Bungie o Blizzard (curiosi di vedere la nostra videorecensione? Eccovela).
Queste compagnie, tuttavia, hanno nel loro portfolio qualcosa che Ready at Dawn ancora non ha: mondi e personaggi di successo creati da zero. C’è chi ci ha raccontato le vicende di Nathan, Joel ed Ellie, chi ha creato Halo e Master Chief, chi, ancora, ha dato vita all’indimenticabile Arthas, al suo sguardo di ghiaccio e a quelle terre di Azeroth in cui abbiamo girovagato per anni. Lo studio fondato nel 2003 da Andrea Pessino, Didier Malenfant e Ru Weerasuriya si è invece sempre occupato di plasmare giochi attorno a personaggi altrui. Hanno esordito nel 2003 con Daxter, un platform coloratissimo per PSP basato su uno dei due protagonisti della fortunata coppia di Naugty Dog, seguito dalla conversione per Wii di Okami. Successivamente è stato il momento di Kratos, eroe di God of War, che ha messo a ferro e fuoco la console portatile di Sony con Chain of Olympus prima e Ghost of Sparta poi. Tutti giochi accomunati, oltre che da “personaggi presi in prestito”, da un secondo fattore, che ogni tanto pare essere l’unica cosa importante per molti: una media voto altissima. Ready at Dawn arriva all’appuntamento con The Order: 1886 dopo aver dimostrato di saper sviluppare giochi ed essere in grado di spremere al massimo l’hardware che ha tra le mani, poco importa che sia una caffettiera o un super missile della NASA. Probabilmente, se avessero affidato a loro quello Snake che girava su Nokia 3310, sarebbe stato a colori, con il parallasse, in 3D senza occhiali e a 1080p.
The Order: 1886 - Recensione

RAISE THE BAR

[quotedx]Il gioco di Ready at Dawn farà scuola, che piaccia o meno ai suoi detrattori.[/quotedx]Questo gioco, però, è diverso da tutto quello che lo studio ha affrontato in precedenza. Prima che per il resto del mondo, Andrea e Ru hanno deciso di alzare l’asticella per loro stessi: basta raccontare storie di altri. In The Order: 1886 raccontano la loro, di storia. Con i loro personaggi, il loro universo… tutte cose che hanno cominciato a prendere forma già nel lontano 2005.Si tratta di un compito complicato, non c’è dubbio, perché un buon cuoco, se mi passate il paragone culinario, non è necessariamente un grande Chef (o un buon esecutore non è necessariamente un gran compositore, se preferite l’ambito musicale). Quel che posso dirvi, è che, a oggi, i pixel del mio televisore non si sono mai accesi per niente di più bello di quanto messo in mostra, con una classe e un’eleganza senza pari, da The Order: 1886. Il gioco di Ready at Dawn farà scuola, che piaccia o meno ai suoi detrattori.

FIFTY SHADES OF GRAYSON

[quotedx]i Lycan hanno cominciato a tramare nell’ombra per tornare a dominare[/quotedx]Le vicende raccontate in The Order si collocano nell’ultima parte di un 1800 alternativo, nel bel mezzo di un conflitto secolare che vede contrapposte due fazioni, quella degli umani e quella dei Lycans, licantropi sprezzantemente etichettati con il nome di “mezzosangue”.
I delicati equilibri di questo scontro, che vedeva gli umani soccombere di fronte alla forza, alla prestanza e alla ferocia dei Lycan, sono stati ripristinati dall’avvento dell’Ordine, tra le cui fila siedono i discepoli di quei Cavalieri della Tavola Rotonda fondati da Artù in persona. Braccati, messi alle corde, colpiti duramente, i Lycan hanno cominciato a tramare nell’ombra per tornare a dominare. A complicare la questione ci si sono messi anche i Ribelli, un gruppo all’apparenza poco organizzato che cerca di sparigliare le carte in tavola con veloci incursioni e arditi complotti. Il vostro scopo, nei panni di Sir Galahad Grayson, uno dei Cavalieri dell’Ordine, sarà fare luce su quanto sta succedendo per le strade di una Londra carica di fascino e curata in ogni suo più piccolo dettaglio.
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È IL GEARS OF WAR DI SONY? NEMMENO PER SOGNO

[quotedx]The Order: 1886 è un third person action shooter ambientato tra le strade di una Londra ucronica[/quotedx]The Order: 1886 è un third person action shooter ambientato tra le strade di una Londra ucronica che pure non rinuncia ai suoi quartieri caratteristici – Whitechapel ne è un esempio lampante – né alle sue leggende più classiche, come quella di Jack lo Squartatore. Il gioco, estremamente lineare nel suo dipanarsi, miscela fasi d’esplorazione, incursioni furtive e sparatorie alla ricerca dell’equilibrio perfetto tra azione e narrazione unite senza soluzione di continuità, sviluppando una storia appassionante e ben scritta, con personaggi solidi, credibili e capaci di generare empatia. Tralasciando momentaneamente la classe con cui vengono raccontate le vicende e concentrandosi sul “giocato” vero e proprio, è evidente come The Order: 1886 dia il meglio di sé nelle parti fucile alla mano, che sono tante e frequenti. Il gunplay è efficace e funziona, nonostante l’intelligenza artificiale degli avversari non sia mai capace di mettere veramente in scacco il giocatore anche al livello di difficoltà più alto, dove l’impressione è che i nemici facciano semplicemente più male e siano in grado di incassare più colpi.
Eccezion fatta per le sezioni in cui si fronteggiano i licantropi, in cui per evitare gli attacchi si rischia di perdere il senso dell’orientamento con la telecamera, la soddisfazione che ho provato in ogni singolo scontro a fuoco ha davvero pochi eguali guardando ai titoli usciti nel recente passato. Personalmente credo che gran parte dell’efficacia del gunplay vada ascritta alla bellezza delle armi: ognuna di esse ha un carattere, un “peso” e un suono unici, tutti particolari che contribuiscono a rendere il singolo gingillo sempre appagante da impiegare ed effettivamente differente dagli altri. Sir Galahad può portare con sé due differenti tipi di granate (una classica e una fumogena), una pistola e un’arma primaria, categoria nella quale troviamo fucili d’assalto, da cecchino, mitragliatrici, shotgun e un paio di “mostruosità” create e modificate direttamente da Nicola Tesla, che nella Londra di Ready at Dawn è tornato in Europa proprio per dare una mano all’Ordine (nella “nostra” linea temporale, invece, Tesla si sposta negli Stati Uniti nel 1884). La dinamica degli scontri prevede spesso una conquista “ragionata” della zona: si arriva in un punto, si cercano le coperture – che sfruttano un concetto simile a quanto visto in Gears of War – si apre il fuoco e si eliminano i nemici. Galahad può inoltre ricorrere alla Visione Oscura, un potere dei Cavalieri che permette loro di rallentare il tempo e di colpire con incredibile efficacia i propri avversari.
Il titolo di Ready at Dawn non è particolarmente ostico da completare: il protagonista ha una buona resistenza al piombo e la gestione della salute consente, se ci si mette al riparo per qualche secondo, di tornare nel pieno delle forze e quindi nuovamente pronti all’azione. Inoltre, se le cose si dovessero mettere particolarmente male, Sir Galahad può ricorrere alla Blackwater, una fiaschetta che contiene il suo sangue ma sulla cui genesi si sa poco, che ripristina la salute, a patto che, mentre la si consuma, nessun nemico infligga il colpo di grazia.
[quotedx]Le fasi stealth sono le meno riuscite del gioco[/quotedx]Per ciò che concerne le fasi di esplorazione non c’è molto da dire, complici la natura lineare del gioco e la limitata interattività degli scenari: di base servono come raccordo per portarci da uno scontro all’altro, anche se i cacciatori di trofei e collezionabili e chi ha un briciolo di gusto estetico (se tollerate le ballerine ai piedi di una donna, per dire, siete già tagliati fuori) le apprezzeranno per la certosina cura con cui sono state confezionate.
Diverso il discorso per le sezioni stealth, a mio modo di vedere il punto più debole del gioco. Le più corpose sono due, una a bordo dell’Agamennone, un dirigibile della Compagnia delle Indie Orientali, e una nel giardino prospiciente una lussuosa dimora. In entrambi i casi, studiare il percorso delle guardie non si è rivelato semplicissimo, mentre il meccanismo per metterle a tappeto, di cui scrivo in maniera più approfondita nel box riservato ai Quick Time Event, rischia di essere troppo penalizzante: fallirlo significa morire, cosa strana per un tipo tosto come Galahad e bizzarra per un gioco che, come The Order: 1886, non fa della difficoltà il suo cavallo di battaglia.
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UN GIOIELLO DI TECNICA

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QUICK TIME EVENT

In The Order: 1886 ci sono diversi tipi di Quick Time Event, spesso riservati alle scazzottate o agli scontri all’arma bianca. Nelle parti stealth viene sfruttato per farci eliminare le guardie, cosa che avviene grazie alla pressione del tasto giusto quando due cerchi concentrici si allineano. Nelle fasi d’azione le cose si fanno un po’ più dinamiche, ed è sovente richiesto di spostare un mirino, che rappresenta lo sguardo di Galahad, su uno dei punti sensibili indicati, premendo successivamente il tasto indicato a video per portare a casa il risultato. Diversa e lievemente più complessa, invece, la gestione di due particolari combattimenti con dei licantropi, dove dovremo difenderci dagli attacchi spostando la levetta di destra nella giusta direzione quando richiesto e contrattaccare, quando preferiamo questa volta, sfruttando dei colpi veloci (L2), possenti (R2) o combo (L1. a patto di avere un indicatore “pieno”). Quest’ultimo tipo di combattimento, ribattezzato da Ready at Dawn con il nome di cinemelee, risulta spettacolare ma un po’ statico la prima volta che lo si incontra, mentre vi farà storcere il naso quando lo vedrete riciclato in una fase più avanzata del gioco. Si tratta anche dell’unico momento in cui sbagliare il tempismo di una mossa non porta alla morte istantanea del protagonista.[/box_articoli]Non importa per quale “colore” di console facciate il tifo: a oggi non c’è davvero niente che possa essere accostato al titolo di Ready at Dawn. Da qualche parte mi è capitato di vederlo paragonato a Ryse, di Crytek. Si tratta di un confronto impari, sia perché The Order: 1886 ha beneficiato di tempo in più, sia perché, alla prova dei fatti, il titolo teutonico, pur molto bello da vedere, prende delle sberle che lévati. Il gioco di Andrea Pessino e Ru Weerasuriya può vantare una direzione artistica di altissimo livello, coadiuvata da un motore che non perde un frame nemmeno a pagarlo: gli FPS sono 30. Effettivi, senza barare con input lag e “mezzucci” del genere come, invece, si vede da altre parti.
Ogni singola cosa che vedrete a video è praticamente perfetta: lo sono i modelli poligonali dei personaggi, lo sono le texture, lo sono gli ambienti. Il tutto con un’attenzione al dettaglio che ha davvero pochi eguali e che può apprezzare chiunque non voglia correre come un matto verso i titoli di coda. Camminando per le strade della Londra di Ready at Dawn vedrete cose come la pioggia che riga il volto dei protagonisti, le diverse zone d’umidità delle pozze d’acqua, i riflessi sui vetri che lasciano senza fiato (più belli di quelli ammirati nella ricostruzione di Notre Dame che tanto mi era piaciuta in Assassin’s Creed: Unity), i capelli scompigliati dal vento… davvero, potrei continuare per un bel pezzo, senza stancarmi mai. Vi aiuto riassumendo quello che penso con una sola, singola e solitaria parola: sotto questo punto di vista, The Order: 1886 è “magnifico”. E sì, potete riconoscerlo anche se, come me, siete più utenti PC. O, anche, se avete in casa una Xbox One. Perché il bello non ha colore né bandiere.
L’unica nota stonata, in questo mare magnum di eccellenza, si trova proprio nella versione italiana, per la precisione nel suo doppiaggio. La scelta della voce di Galahad, ottima nelle cutscene, è invece abbastanza irritante in tutte le fasi di giocato. Inutilmente roca, sembra scimmiottare la versione inglese di Batman più che dare un carattere unico a un gran bel personaggio. Sto parlando chiaramente di dettagli ma, se non avete problemi con la lingua d’Albione, personalmente vi consiglierei almeno un giro in Inglese.
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QUANTO DURA THE ORDER: 1886?

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UNA COLONNA SONORA ECCEZIONALE

Il tema di The Order: 1886, che trovate come accompagnamento di questo pezzo grazie al player di SoundCloud, è semplicemente fantastico, come l’intera colonna sonora. L’OST del gioco è stata registrata negli Abbey Road Studios di Londra, con un coro di 24 voci maschili in cui non sono stati volutamente inseriti i tenori. La colonna sonora di The Order può essere ascoltata su Spotify e acquistata su iTunes.[/box_articoli]Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare della longevità di The Order: 1886. Dal canto mio, ho deciso di giocarlo da utente “comune”, senza considerare di avere un pezzo da scrivere. Le sessioni, cominciate il venerdì sera e conclusesi la domenica, poco prima che il Cesena strappasse un punto alla mia Juve mettendola spesso alle corde, non sono mai durate più di un’ora e mezza: ho giocato quando ne avevo voglia e come ne avevo voglia, senza voler correre verso i titoli di coda solo per dimostrare che il gioco di Ready at Dawn dura poco/tanto/hofattodueettiemezzolascio?. Perché, dal mio punto di vista, quando un videogioco prova a raccontare una storia e prova a farlo nel modo in cui ci prova The Order: 1886, solo chi ha voglia di dare noia pesa le cose un tanto al chilo. Il mio playthrough è durato sette ore abbondanti, giocando a livello medio. Sono morto diverse volte e non ho trovato tutti i collezionabili, raccogliendo solo quelli che proprio non si potevano mancare. Devo essere sincero: la storia e il giocato mi hanno rapito a tal punto da non interrogarmi su quanto fosse il tempo che gli stessi dedicando. Lontano dalla console, tuttavia, mi sono spesso chiesto come lo stesse riempiendo, quel tempo, The Order: 1886. La risposta che mi sono dato è che, eccezion fatta per un riciclo brutale, di cui scrivo nel box dedicato ai Quick Time Event e che ho davvero mal digerito, il gioco di Ready at Dawn non ricorre a espedienti furbi. Contrariamente a quanto accade con buona parte degli altri titoli, non sembra strutturato con un inizio, una fine e dei filler in mezzo. No, The Order: 1886 satura tutta l’esperienza con cose che, spesso, si vedono una volta sola e poi non vengono più usate (non parlo logicamente delle meccaniche di gameplay). Mentre avevo il pad in mano non c’era niente in grado di distrarmi, mi stavo divertendo come un matto. A mio parere, questo non è un aspetto importante: è l’unica cosa che conta (perdonatemi, sono juventino fino al midollo).
Quando sono arrivati i titoli di coda, però, è stato come prendere un pugno in faccia. Fortissimo, aggiungerei. Ero talmente pronto a farmi giustizia che il premere per l’ultima volta il grilletto non poteva che lasciarmi l’amaro in bocca, specie perché quell’istante arriva inaspettato. Ne volevo ancora. Ne volevo di più. Volevo sapere come si chiudevano le molte linee narrative aperte da un titolo che – non ve lo nascondo – nelle prime ore mi aveva portato a pensare «se è tutto così, questo è il gioco della generazione». Invece, di linea narrativa ne viene chiusa – parzialmente – solo una (e non sarò certo io a dirvi quale sia!).
Tuttavia, l’essere sbattuto fuori da un mondo che ho vissuto in modo così intenso e che non fa niente per farsi rigiocare (sarebbe bastata una lista dei collezionabili non recuperati divisa per livelli, per capirci), mi ha convinto a lasciar passare qualche ora per scrivere il pezzo che state leggendo. E ho impiegato queste ore per mettermi a fare “i conti della serva”, come si dice dalle mie parti.
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VALUE FOR MONEY – UN TOT AL CHILO

Come sostenevo poco sopra, credo che ragionare un tot al chilo sia fondamentalmente sbagliato in molti ambiti, videogiochi compresi. Tuttavia, escludere a priori un metodo può essere errato tanto quanto farlo diventare la propria unica e inconfessabile ragione di vita. Ho cercato quindi di capire quanto possa costare ogni singola ora di The Order: 1886 a un videogiocatore. Il risultato potrebbe sorprendervi, come ha sorpreso me.
Se guardiamo il prezzo consigliato, ovvero i 72 euro chiesti da GameStop, Ready at Dawn vuole più o meno 9.5 euro all’ora. Se, invece, si decide di optare per gli shop online (amazon.it o multiplayer.com, per fare due esempi) si scende a 59,90, con un costo orario che si abbassa a 8 euro scarsi. Per acquistare il blu-ray dei Guardiani della Galassia, la pellicola Marvel che ha spopolato nelle sale cinematografiche qualche mese fa, servono 19,90 euro per 116 minuti (10,20 euro per una singola ora). Andare a vedere la Juve contro l’Atalanta questo venerdì costa, nei posti migliori (e The Order è certamente più tribuna che terzo anello di San Siro), qualcosa come 45 euro (23,4 euro per singola ora, intervallo compreso). Lascio volutamente perdere i concerti, visto che sarebbe un confronto ingeneroso.
Chiaro è che, quando dall’altra parte della bilancia finisce un GTA V qualsiasi, il sistema si spacca. Tuttavia, continuando a ragionare in questo modo, anche una piccola e deliziosa chicca come Journey per PS3, che costava 15 euro alla sua uscita, ne uscirebbe distrutta. È veramente così che vogliamo valutare i giochi? Io, personalmente, no. E l’unica conclusione a cui sono arrivato è che The Order: 1886 è capace di giustificare in modo abbondante, pur con i difetti evidenziati, quegli otto euro all’ora. Quanti videogiochi possono farlo?

*Nelle foto che vedete in questo articolo abbiamo preferito eliminare, per motivi estetici, le bande nere. Sono state anche schiarite nei loro toni medi.