Nel 1993 Andie MacDowell e Bill Murray portavano nei nostri cinema il film “Ricomincio da Capo”, adattamento un po’ infelice del titolo originale “Groundhod Day”, letteralmente “Il giorno della marmotta”. Nel lungometraggio il protagonista, un meteorologo televisivo di nome Phil, si trovava a rivivere lo stesso giorno più e più volte, con minime differenze. Inizialmente interessato a sfruttare l’opportunità a suo vantaggio, l’eroe della pellicola si trova presto proiettato nella più terribile disperazione, tentando addirittura il suicidio, col risultato di svegliarsi, nuovamente, baciato dalla luce del mattino.
Koei Tecmo e la sua serie Dynasty Warriors potrebbero non essere troppo lontani dallo scenario dipinto dal film della MacDowell. Caratterizzati da un’estetica pressoché identica e un comparto ludico che fatica a innovarsi da circa 15 anni, i capitoli della saga hack’n’slash sviluppati da Omega Force sono spesso utilizzati per indicare quella tendenza dell’industria creativa giapponese a indugiare nella ripetizione di formule preconfezionate, mancando di originalità e coraggio. La verità sta spesso nel mezzo e recenti casi hanno dimostrato come la formula brevettata del titolo, se applicata a contesti più familiari agli occhi del giocatore occidentale medio, possa ancora interessare il grande pubblico. Malgrado ciò, è innegabile che la trasposizione videogiocosa del romanzo cinese “Cronache dei tre regni” necessiti di uno scossone capace di rivoluzionarne valori di produzione e fondamenta del gameplay il prima possibile. In tal senso, le variazioni sul genere come la serie spin-off “Dynasty Warriors Empires” riesce nel timido tentativo di rimescolare le carte in gioco, proponendo un approccio sì ripetitivo, ma anche inframezzato da velleità strategiche ed elementi RPG assenti nel filone principale.
Dynasty Warriors 8 Empires è un’edizione modificata di quel Dynasty Warriors 8: Xtreme Legends Complete Edition apparso su PlayStation 4 nei primi mesi del 2014. Se sul campo di battaglia le cose sono fondamentalmente le stesse, è la modalità Empire da cui il gioco prende il nome a presentarsi come unica vera novità della produzione, introducendo una campagna single player – ma giocabile anche online con amici – in cui ai numerosi generali già protagonisti nel predecessore si aggiunge la possibilità di creare un proprio avatar. Non stupisce che Koei Tecmo abbia insistito per mesi nel promuovere questa caratteristica: l’editor è una vera chicca, forse il più completo in assoluto mai visto in un esponente della serie, andando anche a spodestare il primato fino a ora meritato da Samurai Warriors 4. Fra le migliaia di possibilità cosmetiche trovano spazio anche implementazioni più propriamente legate al gioco, come le tantissime tipologie di armi disponibili, mosse speciali e quant’altro possa caratterizzare lo stile del nostro generale personale.
L’Empire Mode prende vita in quella che sembra essere una ricostruzione schematica della situazione geopolitica della Cina fra il 189 e il 280 d.c., dove il giocatore dovrà cominciare a scalare le gerarchie del potere partendo dal basso. Questa componente gestionale, almeno sulla carta, permette di destreggiarsi fra rapporti di potere e alleanze, ma anche tradimenti, guerriglie interne e, perché no, matrimoni combinati con tanto di prole al seguito. Purtroppo, pur presentando tutti questi elementi sfiziosi il risultato è una blanda esperienza gestionale che si schiude, ora dopo ora, attraverso centinaia di tutorial testuali. Facendo attenzione a tre indicatori principali indicanti le risorse naturali del proprio regno, il numero di soldati disponibili e il denaro accumulato, incedere fra un’invasione nelle regioni limitrofe e un’alleanza con un regno emergente diviene intuitivo dopo poche ore di gioco. La sbandierata complessità tattica diviene solo un ricordo e ci si accorge che, un po’ come menare negli spogli campi di battaglia, anche regnare può diventare un’attività monotona e unicamente legata a un terzetto di indicatori sempre in bella vista in alto sullo schermo.
[quotedx]siamo ancora di fronte al titolo pubblicato su PS4, PS3 e PS Vita nei primi mesi del 2014[/quotedx]
Per quanto riguarda l’azione cappa e spada (anche se sarebbe più corretto parlare di wu xia pian), come anticipato nelle prime righe siamo ancora di fronte al titolo pubblicato su PS4, PS3 e PS Vita nei primi mesi del 2014, spogliato di alcuni contenuti e influenzato dalle pretese tattico-strategiche di questo spin-off. Come sempre è necessario muoversi velocemente da un punto all’altro della mappa conquistando i fortini rivali e dirigendosi verso l’accampamento principale del nemico. Una volta iniziata la propria scalata verso l’unificazione della Cina e aver portato a casa qualche successo, diviene possibile gestire le battaglia dando ordini ai sottoposti o migliorando la tipologia delle proprie basi. Volendo è possibile anche impiegare le risorse del regno per costruire sul campo di battaglia costruzioni di supporto, come le torri per arcieri, o per aumentare la resistenza delle proprie basi. Scelte di questo tipo potrebbero essere giustificate da un livello di sfida crescente o comunque proporzionato all’incedere del giocatore ma, ahinoi, non è certamente il caso di Dynasty Warriors 8 Empires. Certo, a livello di difficoltà massimo le cose cominciano a farsi fortunatamente interessanti, ma sarebbe stata gradita una maggiore attenzione anche per i quattro livelli di difficoltà inferiori, dove l’IA dei nemici è semplicemente non pervenuta nella maggior parte dei casi.
La situazione non cambia pur di fronte ai molteplici scenari proposti dalla modalità empire, ai quali si affianca anche la possibilità di creare una campagna personale o, addirittura, scaricarne ulteriori da internet. In questo caso ho l’impressione che sarebbe stato forse più indovinato curare la qualità dell’ossatura generale del gameplay prima di buttarsi sulla quantità dei contenuti proposti, specie se le novità devono limitarsi a una componente così semplificata, ai limiti del browser game. Tornano Free Mode e una ricca modalità Enciclopedia dove è possibile ammirare i modelli dei numerosi protagonisti e leggere tutti i retroscena relativi alle controparti reali da cui prendono il nome, un’ulteriore caratteristica assolutamente ignorabile nel caso non veneriate Lu Bu o l’iconico Zhao Yun. O semplicemente se il nome “Machao” vi strappa un sorriso.
Dynasty Warriors 8 Empires ricicla tutti gli asset grafici dall’omonimo predecessore, già largamente criticato lo scorso anno, non preoccupandosi minimamente di migliorarsi. A questo punto è chiaro che Omega Force non ritiene necessario modificare una cosmesi in grado di soddisfare il solo zoccolo duro di appassionati, condendo il tutto con un motore grafico che, anche su console current gen, fatica a ingranare nei momenti più affollati. Avendo testato la versione PlayStation 4, pur con qualche difficoltà tecnica, mi aspettavo naturalmente un’azione fluida e un counter FPS granitico. In ogni caso è inutile anche solo pensare che per “scenario affollato” mi riferisca a qualcosa sulla falsariga delle migliaia di zombie a schermo di Dead Rising 3 o del recente Samurai Warrior 4, perché in DW 8 Empires la situazione risulta anche peggiore di quella conosciuta nel desolante titolo da cui prendere il nome (pubblicato un anno fa). Possibile che Omega Force sia riuscita a peggiorare la situazione del claudicante comparto tecnico di Dynasty Warriors 8: Xtreme Legends Complete Edition senza accorgersi del risultato? Commento musicale dai toni j-rock e doppiaggio – questa volta disponibile nella sola lingua giapponese – fanno da cornice a un prodotto che difficilmente verrà ricordato per la sua qualità, ma che rappresenta la solita zuppa riscaldata.