Dopo cinici teaser trailer, annunci, presentazioni, hands-on per i booth delle fiere e la chiacchierata beta, finalmente Bandai Namco Entertainment ci ha invitato a toccare con mano uno dei titoli più attesi di 2016: l’ultimo nascituro oscuro di Hidetaka Miyazaki, quel Dark Souls 3 per il quale siamo volati fino alle fredde lande di Amburgo. Tra qualche scambio di battute, aspettative, impressioni e pareri sul terzo capitolo della saga “Dark” dei soulslike con colleghi e amici, ci fiondiamo su navette, treni e aerei per raggiungere la location di uno degli eventi più attesi di sempre. E se la città di Amburgo sembra già perfetta in partenza, con il suo cielo grigio e il freddo secco e pungente che non disdegna piogge lievi e passeggere, quando scendiamo dagli autobus per ritrovarci di fronte alla maestosa chiesa di Kulturkirche Altona, non possiamo che sentirci davvero a casa.
Ardenti bracieri, stendardi svolazzanti e brandizzati con la cover art del gioco, una architettura gotica e imponente condita con un portone d’aprire a due mani, mimando una delle animazioni più iconiche dei soulslike. Varcata la nebbia ci ritroviamo in mezzo a una vera e propria marcia funebre di tutta stampa internazionale, sotto le inquietanti note del main theme di Dark Souls 3 che rimbombano dall’organo della chiesa fin sopra le arcate e pilastri propriamente allestiti. Ovunque possiamo volgere il nostro sguardo, ogni dettaglio del posto appare pregno di quell’atmosfera che ogni fan della saga avrebbe mai potuto chiedere per l’occasione. E dopo una breve presentazione di Miyazaki in persona, sulla quale vigeva il divieto assoluto di riprese, ci siamo finalmente accomodati a una delle 64 postazioni di gioco disponibili, pronti a testare una versione del gioco praticamente completa e definitiva… tranne per il livello di difficoltà leggermente riabbassato per permetterci di arrivare il più lontano possibile durante le oltre 4 ore di gioco a nostra disposizione.
[quotedx]Varcata la nebbia ci ritroviamo in mezzo a una vera e propria marcia funebre[/quotedx]
Il menù di gioco è ovviamente simili a tutti quelli che hanno segnato infinite nottate davanti agli scorsi titoli e oltre a sottolineare la veridicità della sua versione (che sarà probabile quella che ritroverete su disco prima di una successiva patch), ci rivela l’assenza di una modalità lan per poter giocare con i numerosi super-fan presenti in chiesa. Una volta cominciato il nuovo gioco, potremo creare il nostro eroe da zero, scegliendone la classe tra le varie messe a nostra disposizione, per poi modellarne l’aspetto e modificare ogni sua variabile: dai capelli, a naso, orecchie, carnagione, costituzione e così via. Noi scegliamo una classe piuttosto sbilanciata come quella del Piromante, che ci portò discreta fortuna in passato. Per andare inoltre sul sicuro e sulla nostalgia, inoltre, tra i vari regali di cui potremo sceglierne soltanto uno decidiamo di fare nostro il Life Ring, un anello che aumenterà i nostri punti ferita.
Il filmato d’introduzione è viscerale, oscuro e avvolgente, e subito dopo iniziamo la nostra avventura da una terra desolata, fredda e ad alta quota: Cemetery of Ash è un’area inedita e completamente diversa da quella della beta, da noi sviscerata con fare chirurgico. Il contrasto è reso ancora più netto dal nostro avanzare in salita piuttosto che in discesa: dovremo farci strada e scalare letteralmente la montagna, tra le rocce impietose e alcuni nemici non proprio prevedibili. Come da tradizione dei soulslike, l’unico nostro tutorial saranno i messaggi sul suolo che incontreremo durante i nostri primi minuti di gioco. Potete tirare un sospiro di sollievo: nulla è realmente mutuato dalla formula e il gameplay che noi tutti amiamo è rimasto in gran parte invariato, soprattutto durante le prime battute. Ma ci sono alcune piccole differenze che vanno analizzati e che potremo giudicare solo in sede di recensione. I pattern di attacco dei nemici appaiono intanto più snelli e veloci e il rischio di continuare a tirare fendenti post-mortem per ottenere del sangue, è sempre dietro l’angolo. Ma che non ci ritroveremo mai davanti a un Bloodborne 2 intitolato Dark Souls 3, Miyazaki ce lo spiegherà con la sua spietata maniera più e più volte. Basterà infatti provare a rotolare sul fianco di un cavaliere, per arrivare alle sue spalle come un vetusto cacciatore, per ritrovarsi invece frastornati dal suono del suo scudo in pieno volto, che frenerà in modo violento e definitivo la nostra corsa. Le midroll, ovvero le rotolate medie che si potevano effettuare con un carico di peso tra il 25% e il 50%, sono scomparse a favore di due uniche soluzioni: la fastroll e la slowroll, come accadeva già in Dark Souls 2 rispetto a Demon’s Souls e Dark Souls.
[quotesx]Come da tradizione dei soulslike, l’unico nostro tutorial saranno i messaggi sul suolo[/quotesx]
C’è però una novità anche qui: a seconda dell’aumentare del peso diminuirà gradualmente la distanza percorsa rotolando, anche se continuiamo a rientrare nella fascia “fast”. Altra novità importante è l’introduzione degli FP, ovvero i punti che utilizzeremo con le magie e le abilità speciali di alcuni armi, le Weapon Arts. Tra queste, il Dragonslayer Greatbow ha per esempio la Weapon Art “Piercing Shot”, mentre la Frusta e la Frusta Spinata godono del “Severe Blow”, capace di infrangere gli scudi degli avversari e che permette di recuperare al contempo i nostri HP. Gli FP godono di una propria fiaschetta, proprio come l’Estus, chiamata Soul. Oltre a potenziarle potremo decidere come farmare entrambe le nostre fiaschette. Ad esempio, un mago che inizierà la sua partita con 3 fiaschette Estus e una fiaschetta Soul, molto probabilmente deciderà di upgradare con 3 Estus e 2 Soul, piuttosto che rimanere con una sola fiaschetta Soul e ben quattro Estus. Altra importante novità incontrata nel corso della nostra prova in Amburgo riguarda lo stato del nostro arsenale, armi e armature che siano. Sedendoci davanti al confortevole fuoco di un qualsiasi falò, infatti, abbiamo notato che i parametri della durabilità dei nostri set tornavano automaticamente al 100%. Resta ovviamente da vedere se nella versione che arriverà sugli scaffali ritroveremo una simile feature o rientrava tra quegli “aiutini” concessi durante il lungo hands-on di cui parlava Miyazaki.
Il primo mini-boss con il quale facciamo conoscenza, è spietato e veloce. Scegliamo una tattica a base di attacchi a distanza di fuoco e di prudenza, che ripaga. Lo scontro è breve ma intenso e ci servirà più che altro a farci un’idea chiara della varietà di gameplay, di strategie e di nemici che andremo a incontrare… oltre a donarci un po’ di sana soddisfazione da loot prima di continuare la scalata verso il nostro primo Demone. La zona della nostra prima prova è oltremodo evocativa: vasta, munita di panorama mozzafiato ed un enorme spada incastrata nella roccia ad attenderci… sorvegliata da un’inquietante e granitica figura in armatura. Iudex Gundyr è il primo boss che incontreremo. Imponente e ben corazzato, soffrirà ovviamente tutti i mali di un nemico lento ma forzuto sul cammino di un piromante o di un mago. Tiriamo un sospiro di sollievo nel notare che l’avversario ruoterà intorno a noi e non su se stesso, come bloccato da un perno sul terreno immaginario. La prova del nove è scongiurata: Miyazaki è tornato e non ci ritroveremo davanti 47 boss da raggirare nello stesso modo in un estenuante girotondo. Almeno, non all’inizio delle nostra geste. Fungeremo infatti noi da perno dell’azione, costringendo l’enorme cavaliere a inseguirci all’interno di un’area piuttosto vasta e che farà al caso nostro. Fireball dopo Fireball, il colosso crollerà fragorosamente al suolo riempiendo il nostro ego. Otteniamo un oggetto chiave, il primo falò d’accendere e una porta gigantesca da aprire. La sensazione, è proprio quella speravamo. La soddisfazione, è quella che soltanto un soulslike può donare. E mentre continuiamo la nostra prova sul campo dell’attessissimo Dark Souls 3, un sorriso fanciullesco ci si dipinge sul volto. Si continua a salire verso una fortezza ora, tra dettagli visivi che spingono nel modo giusto l hardware della PlayStation 4, sul quale abbiamo provato il titolo, senza incappare nei noiosissimi caricamenti bibblici che tanto affliggevano Bloodborne al tempo release. Il contrasto del cielo, degli effetti atmosferici e la palette di texture ed effetti particellari: tutto è vivido, definito ed esente da rallentamenti e frame-drop degni di segnalazione.
[quotedx]La prova del nove è scongiurata: Miyazaki è tornato[/quotedx]
Non appena al riparo e all’interno della fortezza, la sua particolare architettura interna fa già scattare più di un campanello dall’allarme di pieno deja-vu: la sua struttura circolare e a torre, infatti, richiamerà alla memoria dei giocatori di lunga data una sola ed unica ambientazione: il Nexus. E difatti, è propriamente dove ci troviamo: all’interno dell’HUB di Dark Souls 3. E non c’è HUB senza una Maiden in Black. Farmare, comunque, ci appare subito piuttosto proibitivo, guardando i requisiti di anime per ogni livello e il quantitativo lasciato finora dai nemici base. Ma confidiamo nella presenza di una farm-zone ben precisa che individueremo quando avremo a nostra disposizione il titolo senza angoscianti limiti di tempo. Il nostro nuovo amico di ferro si chiama Andre e offrirà tutti i servizi a cui gli appassionati saranno abituati. Purtroppo non siamo avanzati abbastanza nel gioco per poter analizzare il sistema di crafting delle armi a dovere, che non dovrebbe discostarsi troppo da quelli dei titoli precedenti.
Dopo aver esplorato la nostra casa-base a sufficienza, potremo andare avanti accendendo il falò più importante di Dark Souls 3, ovvero quello del suo HUB, al quale faremo spesso e volentieri ritorno per farmare il nostro PG e craftare i nostri set. Resta ancora da vedere se potremo invitare qualche PNG in giro per il mondo alla nostra accogliente casa, come in passato. Una volta utilizzata la spada e acceso il falò, sbloccheremo la nuova area che apparirà fin da subito troppo familiare. La seconda e ultima area che abbiamo avuto modo di esplorare tra le mura della chiesa di Kulturkirche Altona, è infatti Lothric. Dopo averla sviscerata a dovere nella beta, ci lanciamo quindi con fin troppa sicurezza in una speedrun che si rivelerà però fin troppo punitiva. La nostra classe, ancora fin troppo definita all’interno dei suoi canoni, mostra il fianco in questa seconda fase di gioco e ci porterà davanti alla schermata del game-over più e più volte. Cominciamo a scendere dai tetti verso l’area del Demone precedentemente affrontato nella beta tra sorprese, imprecazioni e una fastidiosa orda di ladri, cani zombie ed esseri oscuri la cui trasformazione potrà essere sempre bloccata con una kill fulminea. Lothric è un’area articolata verticalmente e che mette in campo tutto il genio creativo nel campo del level design di Miyazaki. Una genialità la cui assenza ha segnato in negativo tutte le mappe del precedente capitolo, dove la terza dimensione non era quasi mai sfruttata e che finiva con l’appiattire l’intera esperienza di gioco. La contorta discesa, sebbene già nota, si rivelerà impegnativa e a tratti frustanti, costringendoci spesso a temerarie speedrun sul filo del rasoio, causa l’assenza di un ben più comodo falò sui livelli bassi. Ma una volta arrivati sul fondo, troveremo una sorpresa: al posto del boss incontrato durante la beta, infatti, una anziana signora su di un trono ci consegnerà un oggetto chiave: uno stendardo, che dovremo affiggere per proseguire più avanti. Dal lato opposto, però, la strada sarà spianata e il cancello spalancato. Al suo interno un’area enorme e che puzza di boss, come quella che appare come una fessura sul fondo della sala. Vordt, che abbiamo poi ribattezzato ufficialmente “Mastino Corazzato”, è l’ultimo dei boss sulla quale abbiamo avuto la meglio. Dall’aspetto pesante ma dalle movenze sinuose, ha richiesto svariati tentativi prima di averne la meglio. Ancora una volta, la velocità con la quale i pattern di attacco e le strategie correlate e richieste andranno a variare, appaiono come un enorme bandiera con su scritto “Hidetaka Miyazaki è tornato”. In poche ore di gioco, infatti, ci siamo ritrovati a cambiare totalmente il nostro approccio al gioco per vincere e poter proseguire.
Senza incappare in ulteriori spoiler, ci fermiamo e tiriamo le conclusioni di questo lungo e soddisfacente primo appuntamento con Dark Souls 3. Il ritorno di Hidetaka Miyazaki per quello che è stato annunciato come l’ultimo capitolo della saga “dark” dei souls, trasuda effettivamente in ogni istante dell’esperienza offerta finora. Dall’autocitazionismo al ritorno di un level design ben più illuminato, fino al gameplay libero dalle logoranti meccaniche di farming del predecessori e di nuovo orientato verso le reali capacità e riflessi del giocatori. Il tutto, ammantato da un versante tecnologico solido e decisamente meno claudicante del comunque immaginifico Bloodborne. Tuttavia, rimangono svariate promesse ancora da verificare. Dal mondo di gioco, decantato fin da subito come impensabile su old-gen per la sua vastità: pensiamo alla mancanza di coerenza del mondo di Dark Souls 2 rispetto al primo capitolo, ad esempio. Fino ad arrivare al multiplayer, che non abbiamo avuto modo di testare durante la nostra sessione di gioco. Ma quello di cui siamo sicuri, una volta lasciata la chiesa di Kulturkirche Altona e preso il nostro cammino verso l’albergo per le fredde di Amburgo, è soltanto una cosa. Che pagheremmo qualsiasi prezzo, per continuare a giocare il nostro salvataggio non appena rientrati nelle nostre stanze. E che pregheremo il sole affinché il prossimo 12 aprile arrivi il più presto possibile.
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