Race – Il colore della vittoria immortala sul grande schermo un eroe di importanza mondiale: Stephen Hopkins dirige il biopic sui momenti salienti della vita e dell’ascesa sportiva di Jesse Owens, il campione che vinse quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi del 1936, l’atleta di colore che sconfisse il razzismo con l’influenza dello sport. Una delle star attoriali in rapida ascesa nel cinema contemporaneo, Stephan James, interpreta il mito dell’atletica leggera nel mondo dello sport della prima metà del Novecento, James Cleveland Owens, conosciuto da tutti come Jesse Owens, offrendo una performance intensamente credibile (ed incredibile) non solo dal punto di vista emotivo, ma anche da quello più meramente fisico.
La storia vera di Jesse Owens si svolge nel primo Novecento, quando un giovane studente della Ohio State University si distingue come l’astro nascente dell’atletica americana, un runner dal talento ineguagliabile. Mentre Jesse si allena al fianco di un coach, consigliere e amico sincero che risponde al nome di Larry Snyder, impersonato dal formidabile Jason Sudeikis, il Comitato Olimpico Americano riflette sulla possibilità di boicottare le Olimpiadi prossime venture, da svolgersi nella Berlino sotto il crescente dominio nazista, in segno di protesta contro il regime hitleriano. Dopo accesi dibattiti in cui prendono parola i due premi Oscar William Hurt e Jeremy Irons, rispettivamente interpretanti il presidente del Comitato Olimpico Americano e il miliardario industriale Avery Brundage, si decide che gli Stati Uniti parteciperanno alle Olimpiadi del 1936: sarà il momento del riscatto per Jesse Owens, la possibilità di affermare il suo talento, un talento di pari livello a quello di un atleta bianco, se non superiore, davanti ad una folla gremita, pronta ad esultare in nome dello sport, indifferentemente dal colore del vincitore.
[quotedx]Al razzismo “dittatoriale e democratico” si risponde con la forza dello sport[/quotedx]
Race – Il colore della vittoria non si concentra unicamente sulla prova olimpionica sostenuta da Jesse Owens, ma indaga anche momenti e difficoltà connesse alla vita privata dell’atleta, uomo di colore in un’America in cui ancora persiste una separazione radicale tra bianchi e neri. Il film è in grado di portare avanti parallelamente i due aspetti preponderanti della storia vera di un campione mondiale: da una parte permette al mondo intero di assistere nuovamente al trionfo sportivo di Jesse Owens, dall’altra mostra la piaga del razzismo, che può assumere diverse forme, ma in ultima istanza tutte aventi alla base la presunzione che alcuni siano “più uguali degli altri”, per ricollegarci ad un passo di orwelliana memoria. Mentre nella dittatoriale Germania, e quindi nella Berlino allestita a festa per le Olimpiadi, stava dilagando la folle idea della supremazia della razza ariana, che non doveva e non poteva essere contaminata da razze inferiori, nella democratica America era già profondamente radicata l’idea della conservazione della razza bianca, diversa da quella nera. Stephen Hopkins, dunque, pone in risalto le drammatiche somiglianze tra due Paesi profondamente diversi, soffermandosi su quanto lo sport possa lenire le piaghe della politica, unendo popoli e persone sotto lo stendardo di una passione in comune. E allora il coach Larry Snyder consiglia Jesse Owens “Ascolta solo te stesso, gli altri intorno producono solo rumore”.