Ridurre Ghost in the Shell al rango di “cartone giapponese” ĆØ un errore madornale. Ed ĆØ altrettanto madornale non comprendere la natura di questa serie, che vive di molte anime. Nel trattare l’adattamento hollywoodiano, può quindi essere utile ricordare cosa ĆØ veramente Ghost in the Shell: ĆØ un fumetto, un film di culto e una serie animata, ma anche un lungometraggio minimalista e intimista come Innocence. Per far capire in che direzione si ĆØ mossa la serie, basterebbe proprio parlare di Innocence, in cui il geniale regista Mamoru Oshii attuò un vero e proprio colpo di mano rispetto al primo Ghost in the Shell cinematografico: la protagonista, Motoko, non appariva mai, e le scene d’azione venivano ridotte a pochi minuti di girato, preferendo piuttosto un trip malinconico fatto di citazioni bibliche, buddiste e strane teorie queer. Anche la serie animata, Stand Alone Complex, non scherzava, con un “nemico” ispirato al Giovane Holden, e riflessioni sulla natura del sĆ© e sullo sviluppo dell’autocoscienza. Di fronte a un franchise cosƬ vasto e frammentato, mi rendo conto che l’impresa di trasformarlo in un film hollywoodiano non dev’essere stata semplice.
[quotesx]Ghost in the Shell ĆØ cyberpunk quanto Zombi di Romero ĆØ horror[/quotesx]Il film di Rupert Sanders soffre molto di un fraintendimento del materiale sorgente, ma anche di sostanziale incomunicabilitĆ tra la sensibilitĆ giapponese e occidentale. Si ĆØ parlato tanto di “whitewashing” riguardo al Ghost in the Shell di DreamWorks, ma come al solito in queste polemiche si ĆØ guardato il proverbiale dito che indica la luna. Il “whitewashing” non ĆØ avvenuto a livello di attori (anche perchĆ©, ehi, negli anime nessun personaggio ha tratti somatici orientali), quanto piuttosto a livello tematico. Non per questo biasimo gli autori dell’adattamento: Hollywood ha le sue dinamiche, e regole di sceneggiatura ben precise, da osservare prima di dare in pasto al pubblico un prodotto e sperare che abbia successo. Peccato che queste regole siano diametralmente opposte all’essenza di Ghost in the Shell. Il film di Sanders ĆØ un tipico viaggio dell’eroe, con tanto di scoperta di se stessi e finale eroico (che eviteremo di spoilerarvi), e questo ĆØ quanto di più lontano ci sia dall’anima di GITS, che ĆØ invece un inno al collettivismo, al panteismo e all’annullamento del proprio io in un “tutto” più grande. La poetica dell’opera originale ĆØ diventata irrimediabilmente “lost in translation”, e la sensazione che ho avuto ĆØ di aver assistito a un film di supereroi brandizzato con gli elementi superficiali di Ghost in the Shell. Eh giĆ , perchĆ© Ghost in the Shell ĆØ un’opera cyberpunk almeno quanto Zombi di Romero ĆØ un film horror. Intendiamoci, Ghost in the Shell ĆØ ovviamente sci-fi, ma il punto dell’intera opera non sono i robot o il cyberspazio, quanto piuttosto quello che essi hanno da raccontare a proposito della condizione umana. E purtroppo nel film di Sanders non ĆØ rimasta traccia di tutto questo, e la rimediazione finisce per essere letterale e didascalica, ladddove l’opera originale era filosofica e simbolica.
Con questo non vorrei che la mia recensione venisse fraintesa per il rant di un fan di Ghost in the Shell, anche perchĆ© sono consapevole delle sfide dellāadattamento e della sensibilitĆ culturale. Il problema di fondo ĆØ che, senza lo spirito della serie, i suoi dilemmi filosofici e la sua introspezione, rimane soltanto un guscio vuoto, uno shell se volessimo usare il linguaggio del film. Un guscio vuoto bellissimo, per caritĆ , e devo dire che la trasposizione live action degli elementi dellāanime funziona bene. La sequenza in cui viene creato lo shell di Mira ĆØ meravigliosa, e anche la cittĆ ĆØ un vero e proprio trip allucinogeno in una distopia cyberpunk. Per certi versi, lāadattamento di Sanders mi ha ricordato le trasposizioni di Zack Snyder, ossia molto fedeli a livello visivo allāoriginale (se vi ricordate, per esempio, 300 o Watchmen). CāĆØ da dire che lāoriginale Ghost in the Shell ĆØ potentissimo a livello cinematografico, e quindi ho apprezzato la scelta di riprendere pedissequamente alcune sequenze, come per esempio la famosa scena in cui Motoko (che qui si chiama Mira⦠anche se cāĆØ un colpo di scena) si lancia dal grattacielo prima di irrompere in un palazzo usando la mimetica ottica.
[quotedx]Le scene di combattimento sono spettacolari[/quotedx]Anche le scene di combattimento sono state egregiamente trasposte, e sono tecnicamente spettacolari. Proprio questa ĆØ la mia perplessitĆ a livello narrativo: lāanime esiste ed ĆØ considerato un capolavoro, quindi ĆØ davvero difficile a livello critico inquadrare un ottimo esercizio di stile. In realtĆ , anche da questo punto di vista ci sono delle debolezze: il problema nasce sempre dallāidentitĆ della trasposizione. In un anime, certe soluzioni visive funzionano perchĆ© ci si trova allāinterno di un contesto fortemente astratto come quello dellāanimazione. Una volta trasposte al cinema, queste perdono di efficacia. E alla fine, anche lāadattamento visivo rischia di sfigurare nonostante il suo essere competente e manierista, perchĆ© ĆØ chiaro che un set cinematografico reale non può competere con la libertĆ di un contesto animato. Per cui il film ĆØ indubbiamente bello da vedere, ma non ha il potenziale iconico, per fare un esempio illustre, di un Blade Runner, nĆ© tanto meno lāoriginalitĆ estetica di un film di Blomkamp.
I veri problemi si riscontrano tuttavia a livello di sceneggiatura. Buona lāidea di recuperare le suggestioni di diversi prodotti dellāuniverso di Ghost in the Shell (quindi, il film e la serie animata), al fine di generare un racconto originale che risuona anche con un pubblico che non ĆØ avvezzo al franchise. Ć qualcosa che i cinefumetti fanno da anni, con ottimi risultati al botteghino. Il problema ĆØ che i dialoghi sono davvero scadenti, piatti e banali, e le tematiche tipiche della serie vengono infilate a forza senza mai godere di un vero approfondimento. Nonostante lāappiattimento cerebrale, Ghost in the Shell ĆØ un bel giocattolone, sicuramente interessante a livello visivo e comunque bello da vedere per chi ha amato lāanime. Un risultato tutto sommato soddisfacente, ma certo si esce dalla visione con lāamaro in bocca di quando si assiste a unāopera che poteva, e doveva, osare qualcosa di più.