Che bravi, chapeau! Non c’era un altro Spider-Man possibile oltre quello di Homecoming, oggi. Hai presente quella storia di un ragazzo che viene morso da un ragno radioattivo, e allora si sente un mito perché cammina sui muri, che ha uno zio che sai che sta per morire perché subito prima di morire dice sempre una certa frase? Spider-Man: Homecoming ti da la possibilità di vedere un film sull’Uomo Ragno senza sorbirti la solfa. C’è solo un problema: quello non è l’Uomo Ragno.
È Peter Parker sotto steroidi. Per chi è cresciuto con lo Spider-Man di Sam Raimi, quello cui bastava vestirsi di nero per sentirsi figo abbastanza da camminare come un idiota per strada, l’effetto è brutale. Per tutti gli altri è una piacevole passeggiata. Al Peter di Tom Holland viene tutto facilissimo: è stato morso, non sai come né quando, perché lui ha culo e tu no; ogni volta che interviene per sventare un crimine spacca mezza città manco fosse suo compare Hulk, ma tutti lo amano incondizionatamente; è il più bravo della classe anche se non tocca mai libro; salta mezzo semestre e se la cava con un buffetto sulla guancia: è un genio, punto. Accettalo.
Per giunta la stangona della scuola, miracolosamente single, è innamorata di lui nonostante lui si ecciti ancora per il set Lego della Morte Nera. Vorrebbero farti credere che è uno sfigato, ma il bullo della scuola ha la faccia di Tony Revolori. In un paese di Revolori, lo sfigato è re. Steroidi a parte (alcuni lo chiamano barare), Peter è un quindicenne come tanti: non appena gli crescono i baffetti è tutto uno smaniare di rivalsa puberale. La sua figura paterna aka Tony Fucking Stark, dice lui, non riconosce il suo valore, nonostante Tony gli abbia graziosamente regalato una tuta da milioni di dollari. E io che mi accontento di un “auguri” a Natale?
Ma il target di Homecoming è inquadrato dal titolo stesso: il teenager. E il teenager, questo è almeno ciò che pensa Disney, vuol solo vedere gente che sia come minimo cool, bella e simpatica (fatta eccezione per le spalle comiche, loro possono anche essere obesi e orientali). Il film di Jon Watts inaugura così un nuovo sotto-genere fastidiosissimo, il young adult superhero. Peggio di così c’è solo il sempre più dilagante auto-compiacimento di Robert Downey Jr. quando interpreta se stesso.
Ok, la recensione mi è venuta peggio di quello che credevo. Il film non è male, anzi. I momenti comici sono dosati bene, e alcuni fanno persino ridere. I combattimenti sono girati e montati benissimo, gli effetti speciali ottimi. I personaggi sono tutti sensati, a parte quello di Revolori che rimane un mistero. Il villain di Michael Keaton, che non deve aver capito l’ironia di Birdman (o l’ha capita troppo bene?), è bellissimo sia quando se ne sta appollaiato su un palazzo sia quando sbraita contro i sottoposti.
Il film, dicevo, non è male. Ma domani te ne sarai già scordato. Puf.