Non è sempre facile poter dire la propria su un videogioco, specie quando questo si rivolge esclusivamente a uno specifico target anagrafico. Se per le varie incarnazioni giocose di Barbie, Giulia Passione o Style Boutique mi è capitato spesso di volgere gli occhi al cielo e maledire l’esistenza quella misteriosa “utenza specifica”, posso pensare senza alcuna remora che Fossil Fighters Frontier si rivolga all’altra faccia di quell’incarnazione fumosa ed evanescente, ovvero quella dei maschietti in età pre-adolescenziale. In effetti gli ingredienti ci sono proprio tutti: protagonisti giovanissimi, creature colorate da collezionare, un’atmosfera da cartone animato della domenica mattina… insomma, quello che molti definirebbero un titolo sulla falsariga di Pokémon, rivolto, tuttavia, al solo pubblico di giovanissimi.
SAURI DA COMBATTIMENTO
In realtà il titolo di Spike Chunsoft pubblicato da Nintendo raccoglie l’eredità di una serie nata su DS e arrivata al terzo episodio sul più recente 3DS. Esattamente come nei predecessori, in Fossil Fighters Frontier il giocatore veste i panni di un protagonista imberbe – bimbo o bimba, in piena tradizione Pokémon, appunto – e ha a che fare con “vivosauri”, ovvero dinosauri riportati in vita dai fossili grazie all’ausilio di avveniristiche tecnologie. A differenza di quanto ci insegnò Jurassic Park negli anni ‘90, la resurrezione forzata del genere lucertoloso è qui alla portata di qualsiasi adolescente, tant’è che la premessa che apre il titolo vede proprio la partecipazione del giovanissimo protagonista alla selezione di un nuovo “custode” per un Paleoparco, luoghi in cui i vivosauri possono vivere in armonia. Neanche a dirlo, gran parte dei comprimari sono agguerritissimi e coloratissimi stereotipi di ragazzini under 15, pronti a far valere il proprio valore di amante dei dinosauri a suon battaglie a turni e scavi paleontologici.
L’esplorazione dell’universo che fa da sfondo allo strampalato pretesto narrativo avviene a bordo di veicoli chiamati Fossilstrada, dune buggy personalizzabili con i quali scorrazzare qua e là alla ricerca di fossili in determinati siti paleontologici. Il modello di guida è ovviamente arcade e ridotto all’osso, con una sensazione di velocità praticamente assente; malgrado ciò, Fossil Fighters Frontier permette di competere in brevi sfide di abilità su circuiti asfaltati contro avversari mossi dall’intelligenza artificiale. Tornando invece ai dinosauri che danno il nome al gioco, ogni singolo reperto fossile recuperato permette di riportare immediatamente in vita una creatura, ma solo la collezione di tutti i pezzi che compongono il suo scheletro garantisce l’accesso a tutte le mosse dell’antico campione. L’operazione di scavo e raccolta dei fossili è gestita completamente dallo schermo inferiore di Nintendo 3DS, con tanto di strumentazione apposita affidata allo Stilo della console, così da curare al meglio il recupero della reliquia. Maggiore è la qualità dello scavo – ed è difficile fare un cattivo lavoro – e migliore si rivelano essere le statistiche del vivosauro riportato in vita.
La gran parte di Fossil Fighters Frontier è tuttavia focalizzata sugli scontri fra vivosauri, siano questi selvatici o comandati da nemici umani. In quest’ambito il titolo Spike Chunsoft non si discosta poi molto dal tipico RPG giapponese a turni. Dopo aver impartito un ordine alla propria creatura è possibile decidere di correre in suo aiuto potenziandola in fase di attacco e di difesa con delle capsule speciali, che possono essere raccolte alla fine di ogni combattimento recandosi in punti prestabiliti della mappa. Come da tradizione del genere, anche in Fossil Fighters Frontier le debolezze elementali giocano un ruolo importantissimo, ma non sono l’unica caratteristica da tenere sott’occhio; l’utilizzo di alcune tecniche speciali finisce infatti per scoprire il fianco delle creature, rivelandone i punti deboli o, semplicemente, mettendole in una condizione di svantaggio. Seppur la formula appaia sulla carta funzionale e anche – perché no – inaspettatamente profonda, la realtà è che gran parte del gioco prevede un livello di sfida talmente basso da rendere impraticabile qualsiasi approccio strategico alla maggioranza delle battaglie. Solo in determinati punti, verso il finire dell’avventura, mi sono trovato in netto svantaggio rispetto ai miei avversari, ma con un po’ di sano grinding la pace è tornata presto a risplendere nel magico mondo dei vivosauri, peraltro in poco meno di una quindicina di ore. Un’altra caratteristica piuttosto sgradevole, con la quale ho dovuto convivere per quasi l’intera durata dell’avventura, è la presenza fissa in squadra di un companion mosso dall’intelligenza artificiale. Se le battaglie si dimostrano blande per via della generale facilità e ulteriormente rallentate da lungaggini tipiche delle navigazione in numerosi menù testuali, immaginate come l’esperienza possa essere resa ulteriormente frustrante dai tempi morti di una IA poco agile.
EASY, MAN!
Il maggior difetto di Fossil Fighters Frontier, in ogni caso, è effettivamente quello di essere palesemente rivolto ad un pubblico in grado di chiudere un occhio sugli evidenti problemi alla base del gameplay, di per sé funzionale, ma mai in grado di tenere ancorata l’attenzione di giocatori più smaliziati o, semplicemente, con qualche J-RPG sulle spalle. E sì, mi riferisco anche al solo Pokémon, titolo dal quale Fossil Fighters Frontier avrebbe potuto trarre ispirazione anche sul fronte della profondità dell’offerta.
La modellazione poligonale dei lucertoloidi è sicuramente ben realizzata, pur non contando su un art design particolarmente originale, mentre i dialoghi dei personaggi sono spesso accompagnati da illustrazioni bidimensionali, dal tratto che si rifà all’immaginario manga shonen, quelli che in Giappone sono sostanzialmente i fumetti per adolescenti e giovanissimi. La produzione rimane in ogni caso sempre in grado di caratterizzare ogni singola situazione con una regia virtuale puntuale e un comparto grafico ben al di sopra della sufficienza, se non si contano le spoglie ambientazioni dei siti paleontologici. Pollice basso, invece, per la pessima sigla introduttiva che apre ogni singola partita: una vera e propria sequenza con tanto di jingle cantato in inglese e sottotitoli che intonano un testo di Valeri Maneriana memoria. Mi avrebbe fatto rabbrividire anche a 5 anni.