Epico. È la prima parola che ti viene in mente dopo che i primi venti minuti di God of War III ti sono stati sparati in faccia con una potenza che ben pochi videogiochi hanno saputo esprimere nella storia. Ci sono opening che sono entrate di diritto nell’immaginario videoludico, ma l’incredibile battaglia di Kratos sul dorso del Titano Gaia, durante la scalata al Monte Olimpo, rimane una delle sequenze più stupefacenti e azzardate che un qualsiasi sviluppatore si sia mai permesso di mettere assieme. Uno stupefacente mix di straordinarie doti artistiche e capacità più uniche che rare di saper danzare intorno alle limitazioni di una console, portandola ai suoi limiti e oltre, umiliando il resto del mercato, che ai tempi non faceva altro che lamentarsi di quanto fosse difficile domare il mostro nero di Kutaragi. Ma in quel di Santa Monica, gomito a gomito con l’ICE Team e i Naughty Dog, in un crogiolo di menti geniali e incapaci di arrendersi di fronte alle sfide più insormontabili, sono nati alcuni dei giochi che hanno segnato il passo nella computer grafica in tempo reale. Se i primi due God of War si erano distinti su PlayStation 2 per alcune soluzioni tecniche da mascella slogata, il terzo capitolo della saga ha alzato di così tanto gli standard da far sembrare qualsiasi titolo uscito fino a quel momento poco più che un esercizio di stile. E dire che lo sviluppo non fu dei più semplici e vide anche un cambio al vertice in piena corsa, con tutte le conseguenze del caso sul percorso lavorativo.
Cory Barlog, il creatore del secondo GoW, dopo soli otto mesi lasciò le redini di questa imponente bestia nelle mani di Stig Asmussen, che fino a quel momento aveva vestito i panni del direttore artistico della serie. Quasi una maledizione per questa saga, che non è mai riuscita a tenersi a stretto un game designer per più di un singolo episodio: Ascension infatti fu ideato da Todd Papy, mentre il padre putativo del Fantasma di Sparta, come ben sappiamo, è il controverso David Jaffe. Quest’ultimo aveva tra l’altro in mente ben altro finale per il suo tormentato protagonista. Nella sua testa Kratos avrebbe dovuto sconfiggere Zeus nei primi momenti di gioco e da lì iniziare una vera e proprio guerra contro le divinità del passato, comprese quelle egiziane e nord europee, con lo scopo di far dimenticare all’umanità l’esistenza degli dei, determinandone quindi la totale sconfitta. Nel finale si sarebbero dovuti vedere i Re Magi seguire la stella verso Betlemme, nel luogo della nascita di Gesù, a segnare la fine del politeismo e l’inizio del cristianesimo. Sì, forse un pochino troppo sopra le righe, diciamocelo…
LA CADUTA DEGLI DEI
Per nostra fortuna (o almeno, mi piace crederlo), il caro Stig preferì rimanere fedele al pantheon olimpico, decretandone lo sterminio, in un tripudio di sangue e sbudellamenti senza eguali. Kratos, accecato da una furia venditrice senza pari, si scaglia quindi contro gli olimpi, uccidendoli uno dopo l’altro, e decretando immensi cataclismi su tutta la Terra, totalmente preda di tempeste furibonde, devastanti inondazioni, violente eruzioni e mortali pestilenze. Ma la furia degli elementi non sembra impensierire minimamente il Fantasma di Sparta, un uomo ormai senza più nulla da perdere, per troppo tempo incatenato al ruolo di obbediente esecutore, soggiogato dalle divinità e senza alcun controllo sulla propria esistenza.[quotedx]quando un semidio incontra uno spartano con le Spade di Atena, il semidio è un uomo morto[/quotedx]Forse un’immagine finanche stereotipata, l’ennesimo personaggio mosso solo da istinti di brutale vendetta, ma è difficile non intravedere in Kratos quell’antieroe disperato, schiavo dei propri tormenti, che in qualche modo riesce a compiere l’impossibile, ribellandosi agli dei e sconfiggendoli nel luogo ove si sentivano più sicuri, in cima all’irraggiungibile Monte Olimpo. E poco importa se per arrivare a infilare Zeus come un pollo allo spiedo ha dovuto strappare la testa a Elio, il dio del sole, o tagliare di netto le gambe a Hermes, solo per impossessarsi dei suoi calzari alati. Tutto fa brodo, anzi, fa plasma, visto quanto ne viene sparso in lungo e in largo, non risparmiando neppure eroi leggendari e “buoni” come Ercole. Ma del resto, come recita un vecchio adagio greco, quando un semidio incontra uno spartano con le Spade di Atena, il semidio è un uomo morto.
GUIDA PRATICA AL DEICIDIO
Per chi non avesse mai avuto a che fare con God of War, tanto nei suoi titoli originali, quanto nei remake per PS3 (ottimi) e PS Vita (pessimi), è doveroso fare un piccolo riassunto. Certo iniziare dal terzo capitolo non è un grande affare, dato che di fatto parte esattamente dal finale del secondo, quindi potrebbe risultare un pelo spiazzante, soprattutto se non avete una certa dimestichezza con i miti ellenici. In pratica dopo che Kratos ha sconfitto Ares, diventando quindi il nuovo dio della guerra, Zeus e gli altri dei hanno iniziato a temerlo seriamente, a tal punto da decidere di scagliarlo nell’Ade. Pessima idea, dato che qua incontra il Titano Gaia, che gli suggerisce di andare a prendere a calci nei denti le Parche, in modo da impossessarsi del Filo della Vita, che di fatto gli permetterà di viaggiare nel tempo. Dopo una serie di rocamboleschi eventi, capirà che Zeus è nientemeno che suo padre, deciso a ucciderlo esattamente come lui stesso fece con Crono. Il Fantasma di Sparta quindi, un pelo innervosito per la faccenda, andrà a reclutare tutti i Titani prima della loro caduta, trasportandoli nel presente e iniziando così l’atto finale della sua furiosa cavalcata iconoclasta.
[quotesx]il clou arriva nelle mosse finali, affidate ai consueti QTE[/quotesx]Il risultato è un action game dal ritmo sincopato, sebbene a volte un po’ troppo altalenante (le prove da Pandora in particolare sono di una noia mortale), fatto di combattimenti al fulmicotone, caratterizzati da una versatilità davvero fuori dal comune. Il fatto che si possa cambiare arma e quindi stile di lotta al volo è forse una delle novità più importanti aggiunte in questa saga, tanto da introdurre una varietà nel combat system piuttosto notevole e appagante, specie una volta potenziate le abilità di base. Fra le Lame dell’Esilio, gli Artigli di Ade, i Cestus di Nemea e le Fruste di Nemesi c’è abbastanza materiale per sbizzarrirsi e provare le più svariate combinazioni, cui poi vanno sommate le “magie” relative a ogni arma. Il tutto immerso in scontri spesso e volentieri comprendenti un gran numero di nemici, alcuni così corazzati e imponenti da richiedere una discreta padronanza per essere eliminati senza subire troppi danni. In questi casi si apprezza particolarmente il buon sistema di parry e la notevole agilità di Kratos, in grado di schivare gli attacchi con un’insospettabile abilità. Certo, il clou arriva nelle mosse finali, affidate ai consueti (specie all’epoca) QTE, che, pur non essendo il top dell’innovazione, hanno permesso di dar vita ad alcune delle sequenze più truculente e soddisfacenti di sempre, con tanto di sbudellamenti e viscere in bella vista. Eh sì, God of War non è un gioco per cuori deboli e animi gentili.
GOD OF 1080P
Con una premessa simile era piuttosto logico attendersi una conversione su PS4 assolutamente di prim’ordine. Badate, ho scritto “conversione” non a caso. Infatti più che a una remastered, questa edizione assomiglia molto a un porting tirato a lucido, senza troppi eccessi in termini di riqualificazione dell’engine. Abbiamo i 1080p, i 60 frame al secondo praticamente granitici, ma in quanto a upgrade visivi si tratta più che altro di limature a un gioco che fortunatamente continua a portare molto bene i suoi anni. La pulizia visiva si avvantaggia della risoluzione incrementata più che dell’antialias, il quale fa proprio il minimo indispensabile per eliminare le classiche scalettature, fortunatamente poco visibili. In quanto a texture, la qualità parrebbe solo leggermente superiore alla controparte PS3, non un dramma nella maggior parte delle situazioni, grazie all’ottimo lavoro svolto ai tempi dagli artisti di Santa Monica Studio. Un po’ di amaro un bocca lo lasciano le sequenze d’intermezzo, semplicemente upscalate e riprodotte a 30 fps come nel titolo originale, cosa che inevitabilmente stona con la fluidità pressoché raddoppiata nelle fasi di gameplay. In generale comunque è difficile trovare qualcosa di cui lamentarsi, ma non tanto per l’adattamento in sé, quanto perché l’originale era talmente straordinario di suo da poter ancora competere a testa alta persino con produzioni più recenti. In ultimo vale la pena spendere un paio di parole sul photo mode, un plus sempre apprezzato, ma che in God of War III non permette di raggiungere gli spettacolari risultati di The Last of Us, giusto per fare un esempio recente. La ragione sta tutta nella telecamera, drammaticamente fissa e inamovibile, cosa che di fatto permette movimenti assai limitati, lasciando allo zoom l’unica possibilità di intervento sull’inquadratura. Certo, ci sono i filtri e le cornici, ma risulta comunque ben difficile esprimersi in soluzioni artistiche paragonabili al titolo di Naughty Dog.