Di anni da quello strambo incontro con il gattino Girolamo, avvenuto a bordo di un treno traballante, ne sono passati davvero parecchi. La console domestica legata al marchio Nintendo era nota come GameCube, mentre i giocatori in possesso della loro copia di Animal Crossing stavano per affrontare un nuovo viaggio, che li avrebbe portati per la prima volta in uno strano mondo bucolico, fatto di amicizie folli, animali antropomorfi chiacchieroni, attività ricreative e mutui da pagare. Il piccolo disco verde conteneva al suo interno una sorta di simulatore di vita quotidiana, si doveva lavorare, pescare, catturare insetti o, ancora, raccogliere conchiglie e frutta. Ci si intratteneva con i vicini, si piantavano alberi, si colpivano sassi con la propria pala e si cercava di racimolare qualche soldino, giusto per potersi permettere l’acquisto di nuovi mobili e oggetti per arredare la propria casetta e non solo. Ogni nuova console ha portato qualche piccola aggiunta alla formula di base, ma quest’oggi, dopo aver accompagnato un paio di generazioni di giocatori verso l’emancipazione, Nintendo prova a proporre una inaspettata variante del suo “communication game”, grazie a questo Happy Home Designer.
È GIUNTO IL MOMENTO DI TIMBRARE IL CARTELLINO
Come da tradizione, i primi momenti di gioco ci vedono impegnati nella creazione del nostro alter ego virtuale: si sceglie il nome, l’aspetto e, nel giro di qualche minuto, si finisce nelle poco rassicuranti mani del duo Frodolo-Toomnook. Qualche scambio di battute, giusto il tempo di conoscere anche la simpatica Casimira e guadagnare l’ambita giacca rossa, e il nostro “Abitante” si ritrova magicamente assunto presso la Immo Nook. Si è pronti così per il primo vero incarico: una piccola stanza vuota da arredare seguendo un tema ben preciso. È proprio in queste battute che il nuovo titolo della serie mostra la sua peculiare anima. “Vorrei una casa bianca e nera”. Oppure, “una piena di libri”. Da una semplice richiesta come questa si parte, si aprono gli scatoloni del proprietario di casa e, grazie ad una serie di menu chiari e leggibili, si selezionano tappeti, carte da parati e suppellettili vari. Lo schermo inferiore della console portatile mostra una semplice mappa della stanza, mentre quello superiore la solita visuale alla Animal Crossing. Volete spostare quel comodino? Nessun problema, armatevi di pennino, toccatelo e trascinatelo nella posizione che più vi aggrada. Tutto il nuovo sistema di controllo, davvero funzionale e ben implementato, si basa sul binomio stilo e schermo sensibile al tocco.
Per ruotare un mobile basta picchiettarlo, tenendo premuto si possono selezionare più elementi contemporaneamente, mentre utilizzando il pulsante dorsale L si può replicare un pezzo di mobilio già presente in casa. Ogni modifica, come facilmente intuibile, viene mostrata in tempo reale grazie allo schermo superiore. Finito il lavoro di arredatore si è pronti per salutare il cliente, ricevere una piccola valutazione e tornare in ufficio; per poi accorgersi che in Happy Home Designer l’orologio interno della console non scandisce lo scorrere del tempo. Anche la possibilità di gironzolare per il villaggio, al fine di ammirare magari il frutto del nostro operato, viene stranamente preclusa e al giocatore non resta altro da fare che scendere a patti con la rigidità del sistema ludico: ci si sveglia, ci si materializza in ufficio, si arreda una o più case e si torna alla propria scrivania, per poi salvare i progressi ottenuti.[quotedx]questo primo spin off legato alla serie Animal Crossing è un gioco dannatamente ripetitivo[/quotedx]Certo è possibile far visita a un vecchio cliente in qualsiasi momento, grazie ad un’apposita lista, ma anche in questo specifico caso si viene trasportati direttamente all’interno dell’abitazione scelta. La lancetta piccola del nostro orologio ha compiuto quasi un giro completo e il difetto più grande del titolo si è già palesato in tutta la sua sconcertante magnificenza: questo primo spin off legato alla serie Animal Crossing è un gioco dannatamente ripetitivo. Con il passare degli incarichi le opzioni aumentano di numero, una vecchia conoscenza di nome Fuffi ci permette di partecipare attivamente al progetto di ampliamento della città, mentre la possibilità di creare piccoli giardini, di scegliere l’aspetto esteriore e la posizione della casa da arredare sembra offrire, al piccolo arredatore che risiede in noi, qualche variante in più. Il problema, credetemi, è che anche in questi casi il divertimento fatica sempre a decollare.
Prendiamo ad esempio la costruzione dell’edificio scolastico. Si parte scegliendo l’aspetto esterno tra una serie di modelli pre-confezionati, si passa all’arredamento delle aule e si finisce inevitabilmente per ricevere i complimenti di Fuffi. Sbagliare è praticamente impossibile. Una nota allegata all’ordine indica il numero minimo di sedie, tavoli e cattedre da posizionare, mentre un minimo di intelletto ci porta a utilizzare il “pavimento scuola” e il “muro scuola” per arricchire un ambiente altrimenti spoglio. Il giorno successivo una rana robotica vi commissiona una casa robot? Tutto come sopra, con l’unica differenza che i mobili da utilizzare dovranno per forza di cose appartenere alla serie “robot”. A onor del vero è possibile anche modificare il ruolo dei personaggi presenti in un edificio o invitarne di nuovi tramite le carte amiibo, ma anche in questi casi gli stimoli sono talmente deboli che la noia non solo busserà alla nostra porta, ma la sfonderà con una facilità imbarazzante.
LA DISOCCUPAZIONE HA I GIORNI CONTATI… BENVENUTE CARTE AMIIBO
Spendiamo ora qualche parola proprio sulle nuove carte amiibo, indispensabili per procacciare al nostro arredatore nuovi lavori. Ogni carta, in vendita in pacchetti da 4, offre di fatto un buffo animale antropomorfo e la relativa abitazione da arredare. Ce ne sono molte, suddivise in serie e pronte per essere appoggiate o sul neonato lettore NFC wireless (in vendita anche in bundle con il gioco) o sullo schermo inferiore del New Nintendo 3DS. Tale implementazione, unita al “corso delle belle case” (che offre nuovi oggetti e possibilità in cambio di qualche “moneta di gioco”) aggiunge ovviamente molte ore all’esperienza, ma non riesce a scalfire l’eccessivo muro di noia che circonda l’intera produzione. Dopo giorni e giorni di duro lavoro ci viene chiesto di arredare (ma anche di espandere) qualche altro edificio pubblico, come caffetterie, negozi o addirittura un piccolo ospedale, ma il gioco si limita a chiedere sempre l’inserimento di un determinato numero di sedie, qualche lettino o una scrivania. Non ho visto nessuno lamentarsi davvero per un lavoro mal svolto e nonostante si arrivi ad avere la possibilità di modificare anche i dettagli più piccoli, come l’aspetto di porte e finestre o il posizionamento di lampadari e ventilatori “sciccosi”, pochi saranno gli arredatori che eviteranno di riporre nell’armadio la propria giacca rossa, chiudendo cosi prematuramente questa nuova carriera lavorativa.