Blood Bowl 2 – Recensione

Avevamo già apprezzato Blood Bowl 2 alla Gamescom di Colonia, per quel poco che eravamo riusciti a giocare, e la lunga prova di questi giorni non ha fatto che confermare le sue ottime qualità. La seconda trasposizione dell’omonimo board game di Games Workshop riesce nel non facile obiettivo di risultare contemporaneamente sfaccettato e accessibile, sia per i veterani del gioco che per i novizi alla ricerca di un ibrido davvero ben fatto, a cavallo tra tattica a turni, GdR e temi “sportivi” in salsa fantasy. Merito del lavoro praticamente ininterrotto da parte dello sviluppatore francese Cyanide, che ha sviluppato il primo e buon Blood Bowl, ha fatto tesoro dei tanti punti migliorabili segnalati dalla comunità ed è tornato con un gioco “leggero” nel senso positivo del termine, per la notevole fluidità su schermo e per come propone con levità le tante regole del gameplay. È facile che i giocatori del primo Blood Bowl lo trovino una versione 2.0 del predecessore, cosa anche vera in alcuni aspetti tecnici, ma l’adattamento del gameplay risulta così divertente da far passare subito il mal di pancia, prima di farselo venire nelle leghe multiplayer a suon di calci nei denti. O forse no, che stavolta sono partito meglio.

TE LO SPIEGO A SCHIAFFONI

La presentazione del gioco è stata rivista e corretta in molti aspetti, a cominciare dalla campagna in single player. Il compito di introdurre un semplice storymode è stato lasciato a due commentatori – il giornalista Jim e l’ex energumeno da centrocampo Bob, rispettivamente Vampiro e Ogre – impegnati a chiacchierare delle partite, delle tattiche sul campo e a seguire il nostro percorso sui terreni di gioco, da piccola e risibile squadra di mentecatti a una vera e propria star del campionato. Il tono è piacevolmente ironico, e soprattutto risulta perfettamente propedeutico allo scopo, che non è quello di introdurre piccoli tutorial in una semplice simulazione di campionato, come nel primo capitolo, bensì di raccontarci e introdurre le varie regole in una forma più elaborata e gentile, affrontando una dopo l’altra tutte le razze disponibili in questa edizione di base, ovvero Umani, Bretoniani (i miei preferiti, con grande enfasi sui Blitzer), Skaven, Chaos, Alti Elfi, Elfi Oscuri, Orchi e Nani.

Si parte dai concetti più banali, in una forma così semplice che inizialmente ho quasi aggrottato il sopracciglio, nel dubbio che l’intero gameplay fosse stato rivisto in chiave elementare. Per fortuna non è così: percentuali di rischio degli interventi, possibilità d’infortunio, crescita delle unità, skill e altre fondamentali regole vengono inizialmente rimosse (ma sono presenti fin da subito, sia chiaro, in multiplayer) per poi essere reintrodotte gradualmente, insieme all’acquisto di giocatori, star-player, sponsor e bonus vari, fino a raggiungere un quadro d’insieme simile – ma meglio organizzato – rispetto al gioco del 2009. Alla base abbiamo sempre due squadre di undici giocatori che si sfidano in una violentissima variante del football americano, all’interno di una griglia di caselle e di un sistema a turnover che sancisce il passaggio dell’azione all’altro giocatore, quando una delle nostre unità viene atterrata o fallisce nel compiere una determinata mossa. Il contesto, insomma, è quello di uno spin-off di Warhammer ridanciano ma più fedele al modello, che preferisce i turni alla più morbida (e “sofisticata”, in entrambi i sensi della parola) interpretazione degli RTS.
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RISSA RAGIONATA

Le meccaniche più importanti riguardano i blocchi e i “Blitz”, padroneggiati in modo diverso dalle razze e comunque fondamentali in qualsiasi partita. Nel primo caso si tratta della possibilità di atterrare gli avversari con il contatto diretto fra caselle, per poi affidarsi ai dadi (da uno a tre, a seconda dei rapporti di forze) e a tutti i fattori che possono dirigere la sorte da una parte o dall’altra, influenzati dai 4 attributi, dalle skill individuali (rilancio dei dadi per specifiche azioni, blocchi ai tentativi di atterramento, trucchi d”agilità e tante altre) e dal numero dei compagni che ci stanno spalleggiando. L’importanza dei blocchi è presto detta: i giocatori di Blood Blowl tendono ad avere le mani di burro, a eccezione parziale di Elfi e Skaven, e la rissa per il possesso della sfera è un ottimo momento per tentare di sfoltire le fila avversarie, come ulteriore strumento strategico per risolvere brutalmente la partita.

I Blitz, in questo senso, rappresentano in assoluto la carta più importante da giocare: in buona pratica, “annunciando” la mossa d’attacco alla prima azione di un atleta è possibile raggiungere un avversario lontano – ovviamente all’interno del quadrato di movimento di quella particolare classe (alcuni ruoli sono ricorrenti, come Lineman, Thrower e Blitzer, altri cambiano a seconda della razza) – cosa che è possibile fare solo una volta per turno e, pertanto, assume una rilevanza strategica di primissimo piano. Accerchiare il portatore di palla o creare una griglia difficile da penetrare? Avanzare compatti in mischia o aggirare i nemici più pericolosi con passaggi e rischiose volate? Ognuna di queste scelte è legata alla creatività del giocatore e al rigore delle regole, con particolare riferimento alle specializzazioni delle razze e a ciò che sono in grado di fare in mezzo al campo, cercando in tutti i casi di non farsi vergognosamente decimare.

I tre gradi di difficoltà delle AI sono posti in crescendo nella campagna, oppure possono essere selezionati direttamente nelle partite con i bot, al di fuori delle leghe presenti anche in single player. Al grado più basso, i semplici schemi delle routine possono essere facilmente rovinati – in modo forse un pochino forzato, a mio modo di vedere – da qualsiasi pressione o aggiramento della palla; quasi lo stesso è possibile dire per il livello medio, mentre quello più alto è riuscito a mettere sotto pressione un arrugginito stratega come il sottoscritto, complice la maggiore audacia degli attacchi e gli ostici obiettivi che talvolta accompagnano i match, slegati dalla semplice vittoria sul campo.
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IL MOMENTO DI SPACCARSI LE GENGIVE

Pur se ben curato, il single player è solo una corposa e discretamente longeva presentazione del gioco, prima di lanciarsi con coraggio nelle arene multiplayer. Anche in singolo è possibile far crescere la propria squadra in diversi campionati, così come giocare partite profondamente personalizzabili, ma nulla che possa sostituire le emozioni di una partita con un vero giocatore, a confronto con fantasia, imprevedibilità e, talvolta, anche con qualche umana debolezza da sfruttare. Fortunatamente abbiamo già potuto disputare diversi match in rete, grazie a diverse leghe già attive e popolate, rilevando la discreta velocità di matchmarking e una fluidità dell’azione che rimane elevatissima anche in ambito multiplayer; come sempre non è possibile dire una parola definitiva su questo aspetto, pur basandoci su un review code già attivo anche in rete, ma davvero non riusciamo a figurarci nessun grave intoppo dell’ultimo minuto, nemmeno in termini di net-code.

Per il resto, possiamo sicuramente rimarcare l’immediatezza delle interfacce per creare squadre o leghe, per vendere gli atleti o comprarli da altri utenti (il denaro è esclusivamente virtuale, come premio delle partite), oppure per dotarsi di carte bonus sotto forma di membri dello staff e, ancora, per studiare le statistiche delle partite.[quotedx]Sul piano grafico Blood Bowl 2 migliora moderatamente le caratteristiche del predecessore[/quotedx]Un ottimo modo per approfondire tattiche e movimenti è anche servirsi di CabalTV, un sistema di registrazione leggero e sempre attivo che non ripropone veri video dei match, ma ricostruisce gli incontri sulla base delle mosse effettuate e dell’agile motore di gioco. Sul piano grafico Blood Bowl 2 migliora moderatamente le caratteristiche del predecessore, conservandone l’accesa palette cromatica e il taglio quasi cartoon dei modelli, senza strafare nelle fantasia per animazioni e inquadrature. Il grado di zoom è sempre generosissimo, e va a insinuarsi in arene piacevoli alla vista e comunque fluide, anche su macchine non esattamente aggiornate, complice un conteggio poligonale volutamente trattenuto. Soprattutto, poi, è davvero rimarchevole la cura con cui sono stati ridefiniti i meccanismi di sovrimpressione e, in generale, di rappresentazione del gameplay: non ci sono più le griglie di caselle, ad esempio, e tutto viene segnalato di volta in volta direttamente sul campo, con le percentuali di rischio e i possibili effetti delle mosse che appaino nei punti in cui le caselle vengono a contatto, attraverso icone grafiche pulite e puntuali.

NON TUTTI I BLITZ RIESCONO COL BUCO

Tra i difetti potrei mettere le piccole attese per le decisioni delle AI, assieme al fatto – ben più rilevante – che la leggerezza di Blood Bowl 2 non è un buon motivo per ridurre drasticamente le opzioni grafiche, limitate a risoluzione e grado generale del dettaglio, o per non permettere in alcun modo di ridefinire i comandi standard (che tuttavia contemplano i controlli del primo capitolo, oltre a una valida mappatura per il gamepad). Pure la quantità di razze disponibili non è esattamente al top, confrontandosi inevitabilmente con l’ultima versione del primo Blood Bowl, arricchita a suon di DLC ed edizioni speciali nel corso degli anni, e questo non può che ridimensionare un pochetto il voto finale, che tiene anche in conto il prezzo non proprio stracciato del prodotto. Il gioco di Cyanide è un ottimo titolo strategico, capace di ammiccare ai nuovi giocatori senza far innervosire gli appassionati, ma un’offerta un pochino più aggressiva potrebbe senz’altro aiutare.