NBA Live 16 – Recensione

Ogni tanto mi chiedo come ci si senta a dover marcare gente come LeBron, Durant o un fenomeno del genere ed essere un giocatore normale, magari anche uno di belle speranze, che al college o all’arrivo in lega era caricato di responsabilità e da parole incoraggianti. Dev’essere deprimente e ci vuole tanta, tanta forza di volontà a uscirne fuori non ridimensionati nell’ego e nella fiducia in se stessi. Questa è un po’ la situazione che vive da qualche anno EA Tiburon, uno degli studi sportivi teoricamente più talentuosi di EA Sports (sono quelli di Madden, dopo tutto), che hanno ereditato la patata bollente del basket a stelle e strisce e che si devono scontrare contro la maestosità di 2K Sports. Una sfida impossibile per definizione per una IP che ha bisogno di ritrovare un’identità che la riporti in una situazione che possa ricordare, quantomeno da lontano, i fasti degli anni 90.

AMLETICO DUBBIO: SEGUIRE O INNOVARE

Dopo il disastro di NBA Live 14 e la semplice piattezza del 15, la nuova edizione del basket secondo lo studio di Maitland è sospesa a metà strada tra il seguire le tracce del campione o improvvisare qualcosa di nuovo e, volendo, diverso. Il problema principale dell’innovare è che alcune cose funzionano talmente bene e sono così consuetudinarie per il basket virtuale che è impossibile reinventare la ruota, ma è altrettanto complicatuccio farle meglio di 2K Sports. Così il sistema di tiro basato sul tempismo e la ricerca dell’apice del salto è un omologo verticale e meno preciso del concetto di ritmo su base orizzontale che ha debuttato l’anno scorso in NBA 2K15, mentre l’ottima gestione dei blocchi dell’ultimo capitolo del gioco di Visual Concepts polverizza un’idea che è nata proprio in NBA Live 15 e che nel 16 è rimasta uguale, mostrando però qualche indecisione di troppo sulla reattività dei giocatori. Proprio la mobilità degli atleti in campo poi è la questione principale su cui lo scontro sul parquet tra EA e 2K finisce malino per i primi.
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Tornando al paragone con il malcapitato difensore normale che marca il fenomeno, è come se in NBA Live si arrivasse sempre sul pallone troppo tardi, con un tempo di gioco in più del necessario e di quanto si dovrebbe. L’altro, il campione, fa tutto in meno tempo e fa sembrare tutto armonico, mentre lui, quello normale, è macchinoso nei movimenti e finisce per apparire goffo. In termini di gameplay quello che non va è il rapporto tra input dei comandi e animazioni: c’è un po’ di lag dovuto alla poca grazia con cui sono collegati i movimenti, e il ritmo di gioco, di conseguenza, va a farsi benedire. Certo, ci si può fare la mano e per carità, dopo la partita in campo funziona pure, ma l’azione non è mai completamente fluida. A mitigare un senso di frustrazione abbastanza inevitabile, però, c’è un approccio di gioco che, come il difensore normale che a un certo punto capisce di non avere più nulla da perdere e osa l’improbabile, si scrolla di dosso lo scomodo paragone e regala momenti di sano divertimento. NBA Live 16 è un gioco che ha un’anima arcade, spettacolare e veloce che dona ad alcune azioni offensive un quid di emozione in più e un barlume di personalità all’intera produzione.

Il merito va a un sistema di controllo che favorisce clamorosamente l’attacco e spinge verso le giocate spettacolari, che riescono con una certa scioltezza e in maniera abbastanza semplice. In termini di ritmo e di giocabilità questa latente deriva, un po’ ruffiana e da instant play, migliora le cose soprattutto online, dove ci si può divertire senza fronzoli e in totale delirio di giocate spettacolari, ma va a penalizzare in maniera clamorosa la difesa, francamente imbarazzante in termini di movimenti sul parquet e approcci possibili. Contestare i tiri è faticoso perché la levetta destra con cui si dovrebbe gestire il movimento delle braccia e lo scivolamento risulta scomoda per fare più cose contemporaneamente e le animazioni farraginose di cui abbiamo già parlato finiscono per rendere davvero impossibile la vita dei difensori.
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I (DON’T) FEEL THE GAME

Se l’anno scorso in EA sembravano tutti seguire il mantra del “feeling” fino all’eccesso, NBA Live 16, purtroppo, manca clamorosamente l’obiettivo a causa di una pessima implementazione della fisica di gioco. Se, infatti, alla predisposizione al gioco veloce e offensivo ci si può adattare, il non sentire mai il peso durante i contatti fisici o anche semplicemente in fase di rimbalzo castra notevolmente il titolo da qualsiasi velleità di resa della parte più intensa del basket. Le partite ben presto diventano uno showreel di giocate plastiche e anche piacevoli, ma quasi museali per quanto siano impalpabili e decontestualizzate. Un peccato, questo, molto più grave degli altri difettucci che minano l’intera produzione, che va a inficiare anche gli indubbi lati positivi e i miglioramenti introdotti da EA Tiburon. L’attenzione degli sviluppatori, però, forse si è concentrata maggiormente sulla struttura, favorendo di fatto la presentazione e le modalità di gioco rispetto a ciò che accade in campo.

Guardando il titolo in termini di offerta ludica, NBA Live 16 ha poco da invidiare alla concorrenza, e per certi versi la batte anche: la collaborazione con ESPN fa tanto e la modalità scenario/rewind è un bel tocco di classe, così come la presenza di un corposo e succulento Ultimate Team. La modalità con le carte, piacevole anche offline con oltre 150 sfide, garantisce al solito un ecosistema multiplayer davvero senza fine, considerando soprattutto la qualità del servizio offerto da EA, indiscutibilmente superiore a quello di 2K. Sugli scudi c’è anche, probabilmente, la miglior modalità del lotto, quella Pro Am (Live Run e Summer Camp) che ci permette di creare il nostro giocatore e portarlo sui campetti e parquet di tutti gli States in emozionanti sfide offline e online. In quel contesto, che poi punta tutto sulla nostra performance di giocatori e singoli atleti, il gioco dà il meglio di sé, complice la naturale inclinazione allo spettacolo che NBA Live 16 si ritrova. Anche la verve caciarona, però, espone il gioco a un rischio, che porta a una considerazione che va a oscurare anche i più fulgidi meriti dell’approccio spettacolare: il più delle volte, sia sfruttando il nostro giocatore nella carriera che andando online, le partite diventano degli show personali, oltre i limiti dell’egoismo da playground, perché è proprio il sistema di gioco che favorisce questo tipo di interpretazione dei match. Se vi piace quest’idea di basket, una sorta di “run and gun” in versione solitaria, allora NBA Live 16 può anche fare al caso vostro, soprattutto se non avete il tempo di interiorizzare le dinamiche iper realistiche della concorrenza, mentre se siete alla ricerca di un’interpretazione collettiva dello sport della palla a spicchi, sapete a quale citofono bussare. No, non quello di Spike Lee, ovviamente.