Assassin’s Creed Syndicate – Recensione

Partiamo dalla fine: Assassin’s Creed Syndicate è, a parer mio, il miglior gioco della saga di Ubisoft e rappresenta la formula perfetta di quanto creato dalla software house francese in questi anni. Il nuovo capitolo della saga del Credo è il manifesto dell’intera serie, di un modo di fare giochi che può non piacere a tutti e che ha, oggettivamente, alcuni limiti, ma non può che essere portato come esempio in quanto esponente, di successo ed efficace, di una IP nata nel mondo dei videogiochi, ma capace di diventare un brand crossmediale pieno di spunti e suggestioni. Questa volta, però, ai valori produttivi estremamente alti si accompagna un gioco incredibilmente divertente, solido e privo di grosse sbavature in termini di design. Al netto dei limiti di cui sopra, si intende.

FRA PASSATO E PRESENTE

Assassin’s Creed, di natura, è un gioco sospeso fra il passato, che rappresenta sotto forma di reinterpretazione pop, e il presente di una storyline complessa che nel corso degli anni si è andata un po’ perdendo ma che, comunque, rappresenta il nucleo fondativo della saga. L’Animus è una metafora fantastica dell’esigenza umana di proiettare il proprio ego nelle storie, nella storia, e andare alla ricerca di risposte. Il connubio tra i due piani narrativi e le linee temporali è probabilmente uno dei meccanismi più funzionanti che Ubisoft aveva messo in piedi originariamente e il perderselo per strada non ha contribuito alla fama degli ultimi capitoli. Syndicate ricuce lo strappo, restituisce la saga al suo originale intento, fa luce su alcuni avvenimenti passati, ci accoglie di nuovo tra le braccia della prima civilizzazione e tesse fili di collegamento tra le diverse linee temporali dei vari episodi, spin off inclusi. Da questo punto di vista, il nuovo Assassin’s Creed si riappropria della sua identità e, ciò che più importa, mette il giocatore al centro della sua rivoluzione restauratrice. D’altronde, anche Unity mostrava una chiara intenzione di ritornare alle origini della saga, pur perseguendo un’ambizione fin troppo ottimistica nella costruzione del mondo di gioco.

Syndicate parte dagli stessi assunti e dalle stesse novità di gameplay introdotte con Unity, ma le sviluppa in maniera totalmente opposta: se Parigi era una città magniloquente, gigante, un mostro di sublime bellezza impossibile da domare e in cui non si poteva fare altro che perdersi all’inseguimento di frammenti di storie, Londra è una città che non sconvolge per la sua bellezza, ma conquista per la sua densità e il suo pragmatismo. Chiunque conosca la topografia della capitale britannica si accorgerà presto che all’ottimo lavoro di ricostruzione estetica dei landmark e del mood industriale vittoriano è stata affiancata una vera e propria opera di modulazione urbanistica per comprimere gli spazi, piegarli e gestirli per fini totalmente pratici: Londra è piena di cose da fare, non dà mai tregua e trasforma il concetto di città di Assassin’s Creed da luna park dispersivo in un palcoscenico dove tutto favorisce lo sviluppo della trama. Il design della campagna di gioco fa il resto: il 70% dell’intera campagna (intorno alle 30 ore abbondanti) è fatto di cose funzionali ai fini di un’esperienza ricca e soddisfacente, mentre solo il restante 30% delle possibilità di sincronizzazioni è costituito da attività più o meno ripetitive, utili per farmare risorse e soldi, recuperare collezionabili, conquistare il dominio su Londra nelle solite missioni di liberazione delle zone. Queste attività sono facoltative, dato che per accedere alla parte finale del gioco basta liberare 3 quartieri su 7 e poi concentrarsi sullo sviluppo narrativo e le quest dei vari personaggi storici, ma soprattutto è possibile completare l’opera anche dopo la conclusione della storyline principale, dato che per la prima volta Assassin’s Creed offre una sorta di “end game”, con missioni aggiuntive che vengono sbloccate alla fine e si aggiungono alla lista di cose da completare.
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UNITI, MA ANCHE NO

L’elemento che più di tutti contribuisce a rendere varia, fluida e divertente l’esperienza di gioco è sicuramente la scelta di proporre, per la prima volta, due protagonisti: Evie e Jacob Frye. I due gemelli sono i personaggi migliori che la saga abbia avuto dai tempi di Ezio e, soprattutto l’affascinante assassina è, a mio avviso, il miglior esponente dell’Ordine che abbia mai incontrato, nonché uno dei personaggi femminili più importanti degli ultimi anni. Al di là dei profili estremamente interessanti, però, le novità introdotte dal doppio protagonista si riflettono sul gameplay e sul sistema di gioco. Da un lato, infatti, abbiamo la possibilità di sviluppare Evie e Jacob su due binari completamente diversi attraverso il funzionalissimo sistema di abilità ad albero, creando due Assassini complementari, ma dall’altro dobbiamo anche fare i conti con alcune missioni in cui dobbiamo utilizzare obbligatoriamente uno dei due. Questa responsabilità apre scenari interessanti e abbastanza inediti per la saga, con approcci molto più elastici ma ugualmente efficaci per portare a termine i nostri compiti, che tra l’altro vanno ben al di là dell’assassino con le tre “vie d’accesso” possibili.

Le opportunità speciali tornano anche in Syndicate, ma sono molto più integrate in un design fluido e possibilista. Contemporaneamente al sistema di abilità esiste anche quello dello sviluppo dei Rooks, la banda dei due assassini, in perenne lotta contro i Blighters. In primo luogo l’aspetto gestionale può sembrare meno importante, ma sulla lunga distanza investire soldi e risorse nell’acquisto di alcuni perk cambia drasticamente il tessuto urbano di Londra, le possibilità offerte dal territorio e il modo di affrontare alcune situazioni. L’intera scrittura, d’altronde, gira intorno ai rapporti tra opposti: Jacob ed Evie, Rooks e Blighters, Assassini e Templari, ma soprattutto operai e padroni e personaggi storici che mostrano tutte le contraddizioni di un periodo controverso e una città piena di idiosincrasie. A queste dualità e a questi contrasti è affidata una narrazione che, prima dell’unione e della riscossa, esplora profondamente il concetto di diversità, di contrasto e di polarità diverse che, a conti fatti, hanno molto più in comune di quanto si creda. Tra tutti, forse uno dei personaggi migliori è proprio il “villain”, Crawford Starrick, molto più concreto, comprensibile e affascinante di tutti gli altri cattivoni della saga. Ai personaggi storici e al loro rapporto con i nostri Assassini, invece, è affidato il messaggio politico del gioco, che va a sottolineare il concetto di tolleranza e dignità del lavoro e della diversità.

DINAMICHE DEL CREDO

Reazionario nella struttura ma rivoluzionario nella forma, Syndicate porta il Credo nella modernità anche dal punto di vista delle dinamiche di gioco: il lanciacorda (ovvero il rampino) cambia drasticamente il ritmo di gioco, offrendo opportunità di fuga inaspettate e cambiando completamente i tempi di scalata e gestione degli spostamenti. Questa mobilità amplificata è poi esaltata anche e soprattutto dall’uso delle carrozze che, pur seguendo un modello di guida totalmente irreale, regalano momenti di soddisfazione sia in fase di spostamento che durante i combattimenti, fra spettacolari inseguimenti e salti da una vettura all’altra. Rinnovato è anche il ritmo del combattimento, complice un assortimento di armi ridotto per tipologia – per ragioni storiche e legali sull’uso dell’arma bianca – che favorisce uno scontro corpo a corpo serrato e violento. La base è quella di Unity, ma schivata e contrattacco risultano meno regolari e leggermente più complessi, mentre i nemici sono più aggressivi e osano addirittura rompere le combo. Certo, attaccano massimo in tre, ma almeno i combattimenti non rappresentano più il punto debole della produzione.

Quello che, purtroppo, non è migliorato così tanto è l’AI dei nemici che, pur mostrando durante le fasi stealth una sensibilità (soprattutto uditiva) e una pervicacia abbastanza spiccate, si perdono in reazioni a volte incomprensibili una volta scoperto un cadavere, quando scatta l’allerta, o quando faticano a capire cosa gli succede poco oltre il campo visivo. Un peccato, perché il design delle missioni è talmente bello che un po’ di sfida in più non avrebbe guastato: Syndicate resta un prodotto godibile e divertente, impegnativo a tratti e difficile solo per chi cerca la sincronia completa. In ogni caso, la maggior aggressività dei nemici è comunque un passo avanti e porta anche all’occhio la consapevolezza di Evie e Jacob, che sono sempre coscienti del proprio ruolo di Assassini e non si fanno mai problemi a sporcarsi le mani, mostrando caparbia efficacia, credibilità e dando parecchia soddisfazione pad alla mano. Ma dal punto di vista del piacere ludico, Syndicate soddisfa sotto ogni aspetto ed è forse il primo capitolo che potrebbe far innamorare di nuovo chi, nel recente passato, è rimasto scottato dalle scelte di Ubisoft. Complice una realizzazione tecnica non da capogiro, ma finalmente solidissima ed estremamente pragmatica, il nuovo capitolo del Credo stupisce per densità e bellezza della messa in scena, regalandoci, grazie anche a un comparto audio semplicemente splendido, tra colonna sonora e voci originali di prim’ordine (il doppiaggio italiano, invece, è riuscito solo a metà) uno dei giochi più divertenti dell’anno.