Il concetto di libertà sta guadagnando un significato sempre più marcato nel mondo dei videogiochi. Sembra passata un’eternità da quando il primo GTA poligonale (il seminale terzo capitolo, apparso circa un milione di anni fa sulle console a 128 bit), muoveva i suoi primi passi all’interno di quella che sarebbe poi diventata una consuetudine nel panorama videoludico, quella sensazione di totale immersione in un mondo aperto, capace di proporci le attività più disparate. E perché no, anche permetterci di dedicarci al più innocuo cazzeggio, tra un investimento di pedoni ed un altro. Nella passata generazione di console, la serie di Just Cause è sicuramente stata una di quelle che più di ogni altra ha innalzato il concetto di free-roaming fine a se stesso ad un livello superiore. Sia il primo capitolo realizzato dal team Avalanche Studios, che in misura ancora maggiore il secondo, hanno saputo offrire quella sensazione di poter realmente fare “quello che ci pare e piace” all’interno di uno scenario enorme, fosse anche atterrare sopra un gruppo di nemici, lanciandoci precedentemente da una jeep in corsa dritta verso un burrone, il tutto mentre un gruppo di narcotrafficanti ci sparava a più non posso da una camionetta in fiamme. Puro divertimento senza alcun obbligo di realismo; questo il punto di forza assoluto del prodotto Square Enix, che in Just Cause 3 guadagna un significato ancora più eclatante. Ed è sempre e solo pura adrenalina.
THIS IS JUST CAUSE
Il primo approccio è proprio come ce lo aspettavamo: dopo averne passate di cotte e di crude, il nostro Rico Rodriguez vuole solo tornare a casa. Per farlo, decide di tornare nel proprio paese Natale a bordo dell’aereo di un vecchio amico contrabbandiere. Madornale errore: il veivolo viene puntualmente vabbattuto (non senza una certa resistenza da parte del nostro) ed il superstite catapultato nel bel mezzo di una guerra civile. Facciamo subito il punto della situazione: il mondo di gioco è grande, enorme. Parliamo di una mappa di oltre 1000 Km quadrati, più precisamente sullarcipelago di Medici, un luogo che rimanda alla memoria certe note cartoline del Mar Mediterraneo (Malta e isole greche in primis), dominato da un dittatore spietato e senza scrupoli che prende il nome di Generale Di Ravello (grazie, Avalanche, per aver omaggiato l’Italia in questo modo). Il buon Rico Rodriguez, non pago delle precedenti peripezie, si lancia a capofitto per detronizzare il perfido comandante e liberare così la sua terra d’origine, e lo farà ovviamente nel modo che tutti noi abbiamo imparato a conoscere molto bene. Ovvero con il caos più totale. Poco sopra accennavo all’area di gioco, talmente grande che anche solo andando a zonzo dentro i suoi spazi aperti raramente c’è il rischio di attraversare due volte la stessa zona o lo stesso sentiero battuto. Se già con Metal Gear Solid V o gli ultimi due capitoli di Far Cry avevamo assaggiato quello che un titolo open world a tema naturalistico può fare, con Just Cause 3 i programmatori di Avalanche Software si sono realmente superati, grazie ad un’ambientazione tra le più gigantesche mai viste (ed attraversate) in un videogioco del genere. E con una mappa così estesa è ovvio che per spostarci abilmente da un punto all’altro saremo chiamati a salire a bordo dei mezzi più disparati, siano essi automobili, moto, aerei o addirittura barche. E il bello è proprio nel mezzo: potremo prendere il controllo di una vettura atterrando letteralmente sopra di essa, dopo esserci lanciati da un aereo in fiamme o planando dolcemente grazie alla nostra tuta alare. Il fulcro del gioco però è nel rampino: questo strumento ci permetterà di coprire enormi distanze in tempi brevi, oppure raggiungere luoghi apparentemente inaccessibili semplicemente agganciandoci e scagliandoci su appigli o sporgenze. E non è tutto: potremo anche aggrapparci a veicoli in movimento, oltre a poter usare il rampino anche (e soprattutto) come strumento di distruzione, visto che agganciandolo sapientemente a uno o più elemento della mappa potremo innescare una reazione a catena che devasterà intere strutture e gli ospiti al loro interno, con noi comodamente a distanza di sicurezza intenti a goderci lo spettacolo.
UNA VACANZA SENZA PARAGONI
Se da una parte le sezioni esplorative vengono quindi scandite da missioni al cardiopalma che ci vedranno attraversare una delle più grandi distese mai viste in un videogioco, dall’altra dobbiamo fare i conti con un sistema di gioco semplice ma non per questo poco interessante: la mappa è suddivisa in isole di svariate dimensioni, quelle più grandi ricche di paesi e porti di mare, mentre quelle più piccole caratterizzate da arcipelaghi marini e isolette. Attraverso un’apposita segnaletica sul manto stradale potremo subito conoscere la direzione da prendere per raggiungere la destinazione il più rapidamente possibile. Il controllo delle vetture utilizzate per attraversare il tragitto non è mai complesso o macchinoso, tanto che bastano due tasti (uno per l’acceleratore e uno per il freno) per godere di ogni mezzo motorizzato messo a disposizione. Le armi, siano esse pistole, mitragliette, fucili a pompa, fucili di precisione, bazooka o granate, vengono adoperate con la consueta visuale in terza persona già vista nei precedenti capitoli, e se da un lato la praticità è garantita, purtroppo il gunplay risulta da subito essere la cosa meno riuscita del titolo Avalanche (peccato per la mira assistita). Attenzione però, si tratta di un “difetto” da riconsiderare, in virtù dell’enormità delle varie locazioni e della stupefacente mole di cose da fare/distruggere/demolire. A tal proposito torna in campo ancora il rampino, vero co-protagonista del gioco, il quale si rivela essere anche un utile strumento di morte: grazie a lui potremo infatti agganciare letteralmente un nemico ad una parete, oppure fiondare un veicolo ad una serie di enormi silos, facendoli poi esplodere in sequenza. Ma non solo: Rico potrà anche scagliarsi contro un avversario, eseguendo un colpo volante che neppure Chuck Norris ai tempi d’oro. E a tale devastazione non può non accostarsi un comparto grafico altrettanto massiccio: la versione del gioco da noi testata (ossia quella per Personal Computer, a cui si affianca ovviamente anche la consueta edizione per console) non soffre di particolari difetti che minano l’esperienza, anche impostando i requisiti di sistema non al massimo (è comunque caldamente consigliato avere almeno 8 GB di RAM e una scheda video NVIDIA GeForce di fascia medio alta). Importante sottolineare come i problemi di frame rate segnalati dall’utenza che ha ingenuamente rotto il day-one sono già stati risolti in larga parte da una prima patch disponibile proprio mentre leggete queste righe. E anche solo la resa delle esplosioni, o ammirare l’orizzonte planando con la nostra wingsuit, sono certo, varrà per molti il prezzo del viaggio di sola andata nella Repubblica di Medici.