Non è un fatto di essere “bello o brutto”. Piuttosto, Resident Evil Zero HD Remaster è un gioco per vecchi. Vecchio nella forma, con i suoi – splendidi – fondali prerenderizzati e i suoi – bruttini – poligoni che compongono protagonisti e creature. Vecchio nella sostanza, con un sistema di controllo pur svecchiato al servizio di un sistema di salvataggi vetusto, un backtracking esagerato e un level design neppure tanto ispirato. Davvero, non è un problema di quanto sia bello o brutto perché, alla fine, è sempre Resident Evil. Quello per vecchi, s’intende.
LE ORIGINI DEL MALE
Apparso agli inizi del secolo in esclusiva GameCube, Resident Evil Zero rappresenta la perla meno bella di quell’accordo tutto speciale che, oltre un decennio fa, caratterizzò il rapporto speciale tra Capcom e la poco fortunata console Nintendo. Nel mezzo, tra il remake del primo Biohazard e il quarto, rivoluzionario, capitolo, Zero si incastonava, sotto l’aspetto cronologico, prima di tutto e prima di tutti. Prima di Villa Spencer. Prima, anche, della stazione di polizia di Racoon City. Prima di Chris, di Jill, di Claire e di Leon c’è Rebecca, novellina del Bravo Team della squadra speciale S.T.A.R.S, spedita nella sua prima missione sulle montagne Arklay ad indagare su una serie di inspiegabili omicidi. Oltre che in esperienza, però, Rebecca pecca anche in fortuna. L’elicottero ha un avaria e il Bravo Team ripiega per un atterraggio nella foresta. Da qui, la scoperta di un treno fermo sui binari che, secondo i documenti, trasportava il detenuto Billy Coen, tenente dei Marine accusato di 23 omicidi e tenuto sott’occhio dalla polizia militare durante il trasferimento sull’ideale patibolo d’esecuzione. Le indagini solitarie di Rebecca portano all’incontro con Billy, secondo personaggio giocabile e compagno di avventura tra i misteri della zona extraurbana di Racoon City. Ovviamente invasa da strane creature e segreti da superare prima del gran finale. Il gameplay di Zero, rispetto alla sua incarnazione originale, vanta il sistema di controllo già apprezzato nella rivisitazione di Rebirth dello scorso anno. Il pesante controllo “tank”, marchio di fabbrica dei primi capitoli della serie, è ancora presente su richiesta, ma il suo utilizzo è fortemente sconsigliato. Questione di gusti, certo, ma anche di tempi. Acquisito il giusto feeling con la dinamicità – eufemismo – del personaggio, Resident Evil Zero si snoda attraverso tre macro aree. La prima, nell’ovvia ragionevolezza di non rovinare la sorpresa a nessuno, è proprio il treno dove la bella novellina farà la conoscenza del tenente Billy, instaurando un rapporto di collaborazione che vede il videogiocatore protagonista. Il perno dell’esperienza di Resident Evil Zero HD Remaster è infatti intrinseco nell’utilizzo dei due personaggi, “switchabili” in tempo reale, all’interno del sistema denominato “partner zapping”, con la semplice pressione di un tasto. Rebecca e Billy hanno abilità e peculiarità diverse. Più veloce la prima, capace anche di mescolare le erbe, più resistente e forte il secondo. La strana coppia, inoltre, potrà, meglio: dovrà dividersi in alcuni momenti espressamente previsti dal gioco al fine di risolvere puzzle ed enigmi. Tutti elementi, questi, pensati dal team di sviluppo per dotare l’esperienza di inedita strategia. Peccato che, al netto delle circa 8 ore per portare a termine la campagna principale, l’espediente non sempre funzioni a dovere. Colpa della banalità di alcuni puzzle piuttosto che di altri. Colpa, anche, di un backtracking esageratamente forzato dalle scelte in fase di sviluppo.
[quotedx]Prima di Villa Spencer. Prima, anche, della stazione di polizia di Raccoon City.[/quotedx]
Una su tutte: l’assenza delle “casse magiche” già viste nei precedenti capitoli, sostituite da un inventario ridotto all’osso per capienza e, quindi, dalla possibilità di abbandonare gli oggetti raccolti in qualsiasi parte della mappa. Con l’ovvia possibilità, nel proseguo del gioco, di “tracciarli” e, dopo una passeggiata più o meno breve tra zombie, sanguisughe e scimmie assassine, riprenderli alla bisogna. Funziona? Poco, in verità. Perché alla poco amichevole gestione dell’inventario si unisce il “solito”, per quei tempi, sistema di salvataggio basato su inchiostro e macchine da scrivere. Il tutto mescolato ad una difficoltà tarata verso l’alto. Intendiamoci, Zero è un survival horror vecchia scuola dove resta importante, e ci mancherebbe, la gestione della salute, delle munizioni e degli oggetti curativi. Eppure, la sensazione, oggi come allora, è che questo episodio “giochi sporco” nel tentativo di riequilibrare la pochezza del level design, uno dei meno ispirati della serie, con fasi frustranti e spesso noiose. Ad essere sacrificata è l’esperienza complessiva, intaccata da un eccessivo allungamento di un brodo mica tanto saporito. In quest’ottica, a poco servono gli extra, come un “Wesker Mode”, in cui il buon Uncle Albert sostituisce di peso Billy. Un’aggiunta da end game, insieme al classico “Leech Hunter”, più curiosa che realmente utile.
LA MORTE SI FA BELLA
Sotto l’aspetto tecnico, poco cambia rispetto all’originale per GameCube o dalla ripubblicazione widescreen apparsa su Wii. L’aumento di risoluzione al full hd ha in dote, pure, un miglioramento evidente dell’illuminazione e un “ammorbidimento” dei personaggi, meno spigolosi rispetto al passato. Specie quelli principali, sicuramente d’aspetto migliore rispetto alle comparse. Rispetto al Rebirth, la direzione artistica meno ispirata è compensata da una migliore integrazione tra i fondali in 2D con i poligoni dei protagonisti e delle creature, alcune, specie i boss, tra le migliori viste in un Resident Evil vecchia scuola. Visivamente, insomma, l’impatto è più che buono, a patto di sopportare gli ovvi limiti, in termini di animazioni, texture e poligon count, di un motore grafico vecchio di 13 anni. Pessima, invece, la qualità dei filmati, che presenta un livello di compressione inadeguato alla generazione di macchine su cui gira. Nulla di grave o particolarmente fastidioso dato il loro numero esiguo. Resident Evil Zero, infatti, non brilla neanche per sceneggiatura. Il suo compito, all’epoca, fu quello di chiarire alcuni aspetti poco sviluppati dell’universo orrorifico creato da Shinji Mikami. In particolare, le genesi del T – Virus e del G – Virus e, quindi, i rapporti tra i villain Albert Wesker e William Birkin prima dei fatti narrati in Resident Evil 1 e 2. Manca un vero e proprio cliffangher, mancano i momenti in cui si salta sulla sedia. Manca, anche, quella speciale empatia tra i protagonisti, poco caratterizzati e poco carismatici. Eppure, nell’amalgama degli elementi, il titolo Capcom riesce a restare a galla, senza affondare mai. Meriti, più che nell’episodio in sé, da ricercare in quella formula tutta particolare capace, dalla metà degli anni novanta sino allo stesso Zero, di diventare sinonimo stesso di Survival Horror. In questo caso, sicuramente più survival.
BOX COLLECTION – LA RINASCITA E LO ZERO
A pochi giorni dalla comparsa sugli store di Zero, Capcom propone anche la Resident Evil Origin Collection che, insieme a questo capitolo, contiene anche il remaster del remake del primo Bio Hazard. Rebirth, pubblicato nel gennaio dello scorso anno, è sicuramente uno degli episodi più riusciti della saga. Apparso anch’esso originari amente su GameCube, presenta le stesse migliorie tecniche di Zero (alta definizione, widescreen, controlli snelliti e migliore illuminazione), ma in un contesto ludico decisamente più gradevole. Splendido level design, atmosfera impareggiabile, personaggi carismatici e una storia che, pur con tutti i limiti propri di uno z-movie anni ’70, coniuga sapientemente aspetti drammatici e horror. Consigliato, da provare – o riprovare – obbligatoriamente prima di Zero.