Sherlock Holmes: The Devil’s Daughter è tanto piacevole nel suo essere avventura grafica post-classica, quanto insopportabile nelle sue fasi action incapaci di scimmiottare, anche in maniera solo sufficiente, titoli come Assassin’s Creed o, addirittura, Uncharted. Merito, il primo lo è di certo, di una formula collaudata, ma ora mescolata, ed ecco che arrivano le colpe, a fasi di inseguimento, pedinamenti o raffazzonati puzzle ambientali. Il tentativo è tanto mal riuscito quanto coraggioso. Perché coraggio, tanto coraggio, sarà servito a Frogwares quando ha cercato di ampliare l’universo della saga verso altri lidi. In tasca, tanta buona volontà, ma anche un sistema di controllo legnoso e impreciso e un motore grafico che ci prova, ci prova davvero, ma proprio non ce la fa. Questo, in sintesi, è il nuovo Sherlock Holmes.
OPERA DI DIAVOLO
Nel dettaglio, si fa per dire, tutta un’altra storia. Storia che, appunto, intreccia una trama orizzontale, con protagonista la figlioccia del detective, in 5 episodi per cinque casi diversi. Un espediente narrativo già utilizzato nel precedente Crimes & Punishments e che, nell’economia di gioco, produce sicuramente i suoi frutti. La suddivisione in casi, infatti, esalta ambientazioni, personaggi e situazioni, favorendo la varietà di situazioni. Ne guadagna il ritmo e, quindi, anche il giocatore. Impossibile, per gli amanti dei gialli e, in particolare, del personaggio creato dalla penna di Arthur Conan Doyle, non restare affascinati dalla Londra Vittoriana di fine ‘800, dalle vie buie e strette di White Chapel, dallo Studio in Rosso, e stavolta anche “in verde”, dove riordinare le idee ed avanzare postulati davanti allo sguardo severo dello scettico, ma fidato, dottor Watson, ringiovanito per l’occasione. Impossibile, per gli amanti della saga video ludica creata nel 2003, non ritrovare, almeno a fasi alterne, lo stesso feeling dei più o meno fortunati episodi precedenti. La struttura dei casi è, mutatis mutandis, sempre la stessa. Di fronte ad un mistero o, più spesso, ad un omicidio, Sherlock Holmes dovrà indagare su circostanze, fatti, eventi. Persone, anche, con lo studio attento dei vari personaggi reso ancor più complesso rispetto al passato grazie alla possibilità di “scegliere” una manciata di deduzioni durante il “ritratto” del sospetto di turno. Pollice su anche per i dialoghi, ottimamente curati, e per le varie fasi investigative, caratterizzate da un nuovo “imagination mode”. Tutto finalizzato, come manuale Frogwares insegna, a raccogliere indizi, collegarli tra loro e poi, facendo leva sul metodo induttivo dell’investigatore, raggiungere le conclusioni, condannando o assolvendo colpevoli e criminali all’interno delle solite e libere scelte morali. Se il gioco, appunto, si limitasse a seguire questo schema, ormai non più originale eppure ancora appagante, non sarebbe stato certo un dramma ritrovarsi di fronte ad un motore grafico obsoleto e incapace, nonostante la natura current gen limitata a Pc, Xbox One e Ps4, di rendere giustizia ai processori delle macchine citate. Nonostante i due anni trascorsi dall’episodio precedente, infatti, poco è cambiato nella qualità visiva del titolo.
La modellazione facciale dei personaggi è sicuramente discreta, ma animazioni e, più in generale, il polygon count risultano essere insufficienti. Lo stesso dicasi per il pacchetto texture, che alterna superfici sufficientemente varie ad una qualità tendente verso il basso. Complessivamente, insomma, il balzo generazionale non c’è stato. O se c’è, non si vede. Le risorse dello sviluppo, infatti, sembrano essere andate in tutt’altra direzione. Quella che, per certi versi, mina nelle fondamenta il valore complessivo del titolo. L’ampliamento degli spazi e delle aree, vincente sulla carta, rivela in tutta la sua drammaticità le magagne, altrimenti ben nascoste, del vetusto Unreal Engine 3. In termini prettamente didascalici , una conferma che mal si presta alla voglia degli sviluppatori di dare maggiore spazio al nostro detective, chiamato a fasi di esplorazione che, abbracciano persino interi quartieri o, comunque, aree ben più vaste rispetto agli ambienti chiusi che hanno marchiato il passato ludico dello Shelock Holmes Made in Frowares. Insomma, largo spazio a imbarazzanti crolli di frame rate, alla pedissequa ripetizione di texture ed altri elementi, ad una sincroniza zoppicante e alle difficoltà ludiche del movimento del personaggio che combatte non solo con i nemici, ma anche con l’assenza costante di fluidità. Circostanza, specie quest’ultima, particolarmente frustrante durante le fasi action, introdotte in grande quantità nell’avventura tra pedinamenti alla Assassin’s Creed e puzzle ambientali, simili ad alcune sezioni, fondamentalmente le peggiori, apprezzate nella serie di Uncharted. Quando durante le indagini, che da Baker Street arrivano sino alla campagna inglese passando per l’Est End della capitale londinese, al nostro detective è richiesto di correre, aggrapparsi e combattere, The Devil’s Daughter mostra il fianco alle critiche e, anche, alla frustrazione. Evidentemente consapevoli della pochezza ludica dell’offerta, comunque, gli sviluppatori hanno inserito la possibilità di “skippare” le fasi incriminate, alleggerendo il nervosismo, ma di fatto banalizzando l’intera avventura. Paradossalmente, la “Figlia del Demonio” potrebbe essere quell’onesta voglia di rendere il titolo più vario, completo, avvincente. Peccato che il Diavolo faccia sì figli e pentole, ma non i coperchi.