Il nome è tratto da concetti di antiche mitologie ed è la combinazione tra due antiche parole: AB, che significa oceano, e ZÛ, che sta per “conoscere”. ABZÛ è l’oceano della conoscenza.
Il videogioco tradizionale, nel senso stretto del termine, è un’esperienza di gioco che prevede una sfida ben definita da porre al giocatore o, quantomeno, ne offre varie di minore portata lungo un percorso più o meno lineare. Il recente passato ci ha presentato opere multimediali che hanno provato a infondere maggiore impegno e personalità sul lato emozionale, mettendo in disparte il gameplay puro in favore di una ricerca di situazioni capaci di suscitare un certo tipo di emozioni o reazioni da parte di chi si trova pad alla mano. C’è chi ha voluto portare al limite questo concetto, ottenendo risultati confusi e difficilmente catalogabili come “videogiochi”, avendo rinunciato in toto alla componente di intrattenimento basilare per presentare al pubblico una visione troppo personale o dotata di una chiave di lettura fin troppo oscura. Altri hanno invece stretto i denti alla ricerca del giusto equilibrio tra esperienza e intrattenimento, tra gioco e arte, consegnandoci delle vere e proprie perle capaci di ritagliarsi il giusto posto nella storia del videogioco.
ABZÛ, pubblicato da 505 Games, nasce dal genio di Matt Nava – che ricordiamo come Art Director già per Flower e Journey – con l’intento di segnare un ulteriore passo avanti per quel che concerne l’approccio al gaming in cui non si mette al centro la sfida o il punteggio, bensì si cerca di ottenere un certo tipo di impatto attraverso l’uso di immagini, suoni e colori, ricreando un sottotesto narrativo che ci restituisce una storia (e un messaggio) senza necessariamente utilizzare voci o dialoghi. Trattasi di un’esperienza decisamente atipica se raffrontata a quanto di recente ha affollato le librerie degli hardware da gioco di maggior successo e si ha quasi il timore di non sapere come comunicare al meglio la portata di un prodotto che, è bene dirlo ora, rappresenta un picco assoluto nel mondo del gaming così come lo conosciamo. Il pretesto è semplice, e proprio per questo funziona e cattura fin dai primissimi istanti di gioco: il nostro avatar giallo e nero si risveglia galleggiante su uno specchio d’acqua e, d’istinto, vi si immerge.
Si identifica dunque immediatamente la natura di un essere che non è naufrago, ma ricerca invece la sua strada nelle profondità marine ove – sorprendentemente per la nostra comune concezione – ella riesce a respirare e comunicare con la fauna ittica. Il tutto avviene con naturalezza, con semplicità e con una delicatezza disarmante. Le prime bracciate sono leggere, dolci, e fanno percepire una libertà – sebbene confinata nei limiti dei bacini in cui ci muoviamo – inattesa e fresca. Immaginare un titolo ambientato sott’acqua ci porta a pensare a sezioni molto costrette o ad una vastità priva di ordine e struttura, criticità che invece sono ben lontane dal caratterizzare ABZÛ. Il risultato ottenuto dal team Giant Squid Studios nel tentativo di dare forma alle idee del loro visionario Art Director è encomiabile sotto numerosi punti di vista, alcuni convenzionali, altri meno: innanzitutto ABZÛ è un titolo praticamente perfetto a livello grafico, riuscendo a reinventare l’Unreal Engine 4 in un contesto ricco di colori saturi, trasparenze e sfumature senza la minima incertezza.
Pulito e fluido, il comparto tecnico rifulge di scelte cromatiche vincenti e mai cacofoniche, proponendo fondali ricchissimi di colori vivaci dovuti all’alternanza di coralli, alghe e licheni, così come scogli e piccoli crostacei. Anche al momento di proporre situazioni alternative, più dinamiche o legate ad inquadrature automatiche a cura della regia virtuale, l’impressione è quella di avere tra le mani un prodotto che ha richiesto anni e anni di sperimentazione e test visivi, per essere certi di proporre non le scelte migliori, quanto le uniche plausibili in determinati contesti. A parte un paio di leggeri rallentamenti, non c’è davvero nulla per cui è possibile biasimare la cosmesi visiva, capace di saltare tra ambientazioni e colori diametralmente opposti con efficacia. Di pari passo si muove il comparto audio, curato da Austin Wintory, che aveva già accompagnato Matt Nava nella realizzazione di Journey, esordendo invece nel settore con flOw. Traspare evidente l’esperienza maturata in un genere così di nicchia, con tracce capaci di accompagnare le immagini a schermo in maniera simbiotica, inducendo il giocatore a provare le emozioni che il creatore si aspetta di suscitare in determinati momenti. Il delicato oboe che si immerge insieme a noi al primo tuffo segna il passo dell’esperienza audiovisiva, definendo i toni di cosa ci attende nella avventura. Gli effetti sonori fanno il loro dovere, rispettando comunque la morbidezza richiesta ad un contesto simile. Anche automatismi e macchinari si adeguano la protagonista quando necessario, settando invece il giusto distacco nel momento in cui vogliono rappresentare ostacolo o pericolo. Pare forse eccessivo riportare esperienze personali in fase di analisi di un titolo, ma il comparto audiovisivo nel suo insieme è riuscito più volte a trasmettere al sottoscritto un senso di commozione, senza contare i momenti in cui si rimaneva a bocca aperta a contemplare una serie di stringhe di codice e di pixel, capaci nel loro insieme di penetrare fin sotto la pelle. La possibilità di meditare su alcuni punti specifici per “trasmigrare” nello spirito delle creature subacque ci consente inoltre di ammirare la loro riproduzione digitale e seguirne il comportamento, cosa che può anche farci perdere la cognizione del tempo.
È d’obbligo però fornire anche una valutazione della componente più strettamente interattiva, per capire se le qualità mostrate da ABZÛ nel comparto audiovisivo siano sostenute da un level design ed un gameplay di pari livello. La risposta non è semplice in virtù della natura fortemente inclusiva del titolo, che vuole avvicinare ogni tipo di giocatore: i controlli sono ben ottimizzati e richiedono giusto un minimo esercizio di familiarizzazione nella sincronia tra movimenti del personaggio e della telecamera, permettendo a chiunque di destreggiarsi nelle limpide acque con discreta facilità. Sempre nell’ottica di consentire a chiunque di recepire il proprio messaggio ritroviamo una progressione assolutamente lineare e priva di qualsivoglia digressione che non sia l’esplorazione alla ricerca di segreti, collezionabili o semplicemente per il proprio compiacimento di scoprire ogni dettaglio ed ogni cesello, sia esso in bella vista o nascosto. Siamo invitati ogni tanto a perdere qualche minuto per identificare ove siano posizionati gli interruttori che ci consentono di proseguire, ma non c’è nulla che sia definibile come puzzle e che non sia superabile semplicemente guardandosi bene attorno. Dulcis in fundo l’impossibilità di morire: in ABZÛ sono ben poche le situazioni in cui ci troviamo in pericolo e anche in quelle non è in nessun modo previsto che il personaggio sia messo in condizioni di interrompere il suo viaggio costringendoci a caricare un save o ripartire da un checkpoint precedente. Ovviamente il giocatore più smaliziato ai comandi potrà evitare gli ostacoli in maniera agile così da rendere più fluido il proprio incedere e passare di scena in scena senza soluzione di continuità, così da vivere a pieno i momenti topici come immaginati dallo sceneggiatore, ma chiunque può giungere alla fine dell’avventura con facilità, portandola a termine in circa due ore se non si porge lo sguardo agli elementi collaterali e ci si limita a tirare dritto per giungere al finale.
Avendo a disposizione artworks e video gameplay è difficile parlare ancora del titolo senza rischiare di svelare anche solo in minima parte ciò che è stato pensato per la fruizione diretta del giocatore, tanto da arrivare a consigliare a chiunque voglia provare questo gioco di ignorare tutto ciò che verrà mostrato da oggi in poi, limitandosi a valutare l’acquisto dopo aver osservato i trailer o i video della demo mostrata all’E3. ABZÛ non è abbastanza vasto perché un video di troppo non possa rovinarvi gran parte dell’esperienza, che trova la sua massima espressione nella scoperta e nella contemplazione. Si possono perdere ore a nuotare al fianco dei pesci, facendosi seguire all’atto di compiere balzi al di fuori dell’acqua o seguendo il moto perpetuo dei banchi come un direttore d’orchestra, Siamo circondati da vite, vite che sono consapevoli della nostra presenza, accogliendoci e accompagnandoci, offrendoci a volte supporto o incantandoci, comunicando con noi con semplici sguardi o leggeri movimenti in nostra presenza. Viviamo un viaggio di rimembranza che è presa di coscienza e ricerca della redenzione, in cui la natura ci accoglie come una madre e invoca il nostro aiuto. Tutto questo andrebbe vissuto in prima persona, senza “spoiler”, senza essere sporcato e affievolito dall’adocchiamento di stralci di gioco estrapolati dal loro contesto e privati della loro forza. Uomo avvisato.