(Nota: questa recensione è stata scritta a quattro mani, al fine di prendere in esame il gioco da un punto di vista originale, che analizzi non solo il prodotto base, ma anche il fenomeno dietro alla saga di Tomb Raider)
In questa prima fase dell’ultima generazione di console, finora dominata da Sony con la sua PS4, il colpo migliore messo a segno da Microsoft è stato l’esclusiva temporale relativa a Rise of the Tomb Raider, sequel del glorioso reboot con il quale la statunitense Crystal Dynamics ha resuscitato la leggenda britannica di Lara Croft, l’eroina che non solo portò in trionfo i poligoni ma che, a metà degli Anni Novanta, si impose come nuova icona del Videogioco, decisamente più fisica, matura e sensuale rispetto ai vari Mario, Sonic, Space Invaders o Pac-Man. Diciamo che, quali che siano i vostri gusti, Tomb Raider e la sua star portarono il videogioco in territori inesplorati, spostando in avanti il confine del gaming e in alto l’asticella del gameplay e della grafica. Dopo un’epoca buia (Angel of Darkness vi dice nulla?), il reboot rimise le cose a posto, ristabilendo l’ordine naturale delle cose. Non solo Lara recuperava il gap accumulato in termini di struttura di gioco e gameplay in genere, ma la figura di Miss Croft assumeva un nuovo spessore, non solo più realistico, ma più verosimile e umano. Più donna e meno bambola, se volete, in conformità a un’epoca dove, giustamente, le donne della game industry hanno conquistato la posizione che da sempre competeva loro, reali o virtuali che siano.
LA RINASCITA DI LARA CROFT
Per parlare di questa nuova edizione del gioco, Rise of the Tomb Raider – 20 Year Celebration, splendida conversione di un assoluto capolavoro che è il “nuovo” Tomb Raider, due sono le strade da percorrere, e il dinamico duo Metalmark & Pavo le percorrerà entrambe per voi. La prima è la (ri)valutazione critica approfondita di un titolo già recensito e, inevitabilmente, del peso storico del suo predecessore, affrontando la spinosa questione dell’innominabile confronto (coraggio, sapete benissimo a che cosa ci stiamo riferendo…); la seconda la valutazione delle numerose novità tecniche e contenutistiche di questa versione celebrativa, che meritano di essere affrontate e sviscerate a dovere. Ma basta preamboli. Rise of the Tomb Raider rende evidente ciò che molti, forse dalla vista un po’ annebbiata, non avevano ben compreso. La saga di Tomb Raider è nettamente superiore a quella di Uncharted, e sotto tutti i punti di vista. Nessuno scandalo e nessuna sorpresa, gente: è solo l’obiettiva analisi dell’ovvio. Tanto per cominciare, Uncharted è la rimediazione intelligente e realizzata ad arte di Tomb Raider, ben calibrata specialmente in quanto a tempismo. In un momento di vuoto di potere nel quale l’archeologa più sexy della game industry era sostanzialmente fuori dai giochi, Naughty Dog, implacabile braccio armato delle più delicate operazioni di Sony, ha creato il suo Tomb Raider alternativo. E lo ha fatto da Dio, perché parliamo di uno dei team più forti e preparati al mondo. Non è un insulto, infatti, né c’è da scandalizzarsi, ma lo schema è lo stesso da sempre, e se la storia insegna qualcosa, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di ammetterlo, a patto di non essere un critico bambino nato negli anni novanta e poco avvezzo allo studio e alla lettura, uno di quelli, insomma, che crede che il gioco più bello con i kart sia CTR e che il Dio del platform sia Crash o, peggio, Jak. C’è il genio che inventa e c’è il grande artigiano che imita e cerca di perfezionare le formule, talora riuscendoci. Negli Anni ’80 avremmo detto: c’è Rocky che si allena nella neve e c’è Ivan Drago che si pompa a bestia con droghe e macchine in un laboratorio, ma quella, dannazione, era fottuta propaganda da guerra fredda. Sapete una cosa, però? Lo schema regge. E Lara Croft è Rocky, mentre Nathan Drake (nomen omen) è Ivan Drago, magari dopo una tinta di capelli.
[quotedx]La saga di Tomb Raider è nettamente superiore a quella di Uncharted sotto tutti i punti di vista[/quotedx]
Toby Gard e Core Design inventarono un nuovo modello di protagonista videoludico, e assieme un nuovo gameplay, che portava su schermo lo schema che Indiana Jones aveva mostrato nei cinema, trasformando la visione in gameplay e facendo di quest’ultimo il piatto forte del menu. Perché chi sostiene che esso fosse costituito dalle tette di Lara mente sapendo di mentire. Un paio di belle tette durano un paio di stagioni, non vent’anni. Neanche con la chirurgia plastica del Full HD e del 4K. Uncharted, frullati insieme magistralmente tanti anni di videogiochi, fece ciò che Eidos (Square Enix) avrebbe dovuto fare da tempo. Attualizzare Tomb Raider, rendendola future proof. E sapete che cosa vi diciamo? Chapeau. Ottimo lavoro, tanto che Uncharted è una grande serie, meritevole di ogni onore e riconoscimento. Poi, però, Crystal Dynamics ha capito. Si è svegliata. E Lara è tornata. Rise of the Tomb Raider – 20 Year Celebration è un titolo che mostra in modo lampante la sua superiorità su qualsiasi contendente del segmento che un tempo avremmo chiamato action adventure (ah, triste fine ha fatto la sistematica videoludica, in epoca di fusione genetica e ibridazioni convulse!). In prima battuta, Lara Croft non è Nathan Drake… e non bastano dei flashback studiati ad arte per inventare spessore a un personaggio banalotto e superficiale come il nostro “ladro” preferito.
L’anniversario per i venti anni di Lara non è però solo un modo per dimostrare al grande pubblico qual è l’archeologa numero uno, ma è anche e soprattutto un pacchetto ricco di contenuti, che allontana questa 20 Year Celebration dall’etichetta di semplice conversione di un titolo vecchio di quasi un anno. Si parte dalla vincente modalità “Legami di sangue”, grazie alla quale la nostra Lara potrà esplorare la storica magione Croft per recuperare prove che testimonino che quella, in fin dei conti, è davvero casa sua. L’esplorazione della location è ragionata e riflessiva, complice la presenza di vari puzzle ambientali che richiameranno inevitabilmente alla memoria i primissimi capitoli della serie (tranquilli, non sarete chiamati ad effettuare salti al millimetro). Ma non solo: all’interno del maniero Croft potremo affrontare anche la modalità “L’incubo di Lara”, nella quale la Villa sarà invasa da creature mostruose che sembrano uscite dal peggior incubo di Dario Argento. Miss Croft è quindi chiamata ad abbattere queste mostruosità, in un’opzione di gioco che ricalca neanche troppo velatamente le modalità “zombie” dei più recenti capitoli della serie Call of Duty. Divertente, ma francamente un po’ fuori luogo. Più intrigante e decisamente riuscita, invece, la modalità “Stoicismo” per due giocatori: questa ci metterà nei panni di Lara e Nadia in mappe infestate da nemici e trappole, oltre che da avversari umani. Comunicare col nostro compagno sarà vitale, visto che non ci verrà data alcuna possibilità di orientarci con mappe o altro, tenendo anche sotto controllo gli indicatori relativi alla fame e al freddo. Scopo della missione, recuperare alcuni tesori utili all’acquisizione di carte speciali per le missioni survival. Ultima ma non meno importante, la presenza di costumi aggiuntivi per Lara, tra i quali spicca la leggendaria skin dell’originale Tomb Raider a 32-bit (si, proprio la versione della celebre Lara Croft coi “seni piramidali”). Senza dimenticare ovviamente i contenuti già disponibili su Xbox One, ovvero le missioni aggiuntive “Fredda oscurità” e “Baba Yaga”, rilasciati in precedenza sotto forma di DLC.
Lara Croft è Rocky, mentre Nathan Drake è Ivan Drago, magari dopo una tinta di capelli
E poi c’è la compatibilità col visore PlayStation VR, grazie alla quale sarà possibile immergersi anche in una spettacolare modalità in soggettiva, proposta in esclusiva per la console ammiraglia di Sony. Muovere i primi passi virtuali all’interno di Villa Croft attraverso gli occhi di Lara rappresenta un piccolo sogno che i fan aspettano di vivere da venti, lunghissimi anni. Purtroppo, in fase di recensione non siamo stati in grado di provare con mano la nuova avventura di Lara nello splendore della realtà virtuale: tuttavia, se volete scoprire cosa ci offrirà questa nuova ed affascinante modalità vi rimandiamo al nostro recente hands-on dedicato. Per il resto, Rise of the Tomb Raider – 20 Year Celebration è lo stesso concentrato di avventura, azione e puro feeling cinematografico che abbiamo imparato ad apprezzare mesi fa, un’avventura realmente affascinante che i ragazzi di Crystal Dynamics hanno realizzato con cuore e passione, non dimenticando tuttavia di migliorare il già ottimo motore grafico dell’episodio originale: su PlayStation 4 ogni elemento e dettaglio sembra infatti aver guadagnato una dimensione in più, dagli effetti di luce, ai riflessi passando per la chioma stessa di Lara. Un lavoro certosino a cui fa capolino il medesimo e brillante doppiaggio in italiano che abbiamo già imparato ad apprezzare mesi fa. Un plauso a Crystal Dynamics e Square Enix, ancora una volta.