Benvenuti ad una nuova puntata de “Il povero appassionato di JRPG occidentale”: nell’episodio di oggi vi parleremo del particolare caso di 7th Dragon III Code VFD, titolo sviluppato sotto l’etichetta SEGA che si presenta ai giocatori europei come terzo capitolo di una saga che, sfortunatamente, è rimasta confinata nel sol levante per quel che concerne i primi due episodio. Così su due piedi, non trattandosi di un franchise a la Final Fantasy che permette di fruire di ogni capitolo in maniera indipendente, parrebbe davvero insensato proporre un prodotto simile: eppure le grandi qualità in gioco e la capacità di porsi come capitolo conclusivo al tempo stesso senza escludere chi non ha partecipato ai precedenti, consente al gioco di arrivare sugli scaffali con grandi potenzialità.
UN DRAGO NEL FUTURO
Dopotutto stiamo parlando di un titolo che vanta nel suo team nomi che hanno segnato importanti capitoli del genere, tra Etrian Odyssey e Phantasy Star, risultando in una commistione tra dungeon crawler e stile avveniristico capace di attualizzare in modo convincente meccaniche e stilemi di gioco non sempre così stimolanti. Fin dal primo approccio emerge un contesto stile anime in cui il protagonista, che può essere creato scegliendo tra 16 preset estetici e 4 classi (che diventeranno 8 avanzando nella storia), si ritrova ad affrontare una minaccia globale semplicemente perché la sua voglia di provare il videogioco immersivo più in voga del momento lo porta a scoprire che in realtà di virtuale c’è ben poco. Trattasi infatti di una sorta di test creato per individuare i combattenti che possono affrontare i temibili draghi – in particolare quello del titolo – che minacciano il mondo a causa della loro potenza e dei… fiori che li accompagnano, che creano miasmi venefici per gli esseri umani. Tutto abbastanza consueto e accettabile in ottica videoludica.
[quotedx]7th Dragon III Code VFD non è per niente un gioco semplice[/quotedx]
Da qui ha inizio un viaggio attraverso passato, presente e futuro per raccogliere i fondamentali campioni genetici dei temibili draghi, utili a scoprire come sconfiggere il settimo “Vero Drago” che è destinato a distruggere il mondo completando il lavoro dei suoi predecessori. La struttura di gioco è abbastanza definita, in quanto prende come hub centrale la misteriosa associazione Nodens e consente di trasportarsi istantaneamente nelle aree di gioco obiettivo della missione, permettendo di ritornare alla base raggiungendo e sbloccando portali in determinati punti delle mappe. I dungeon sono molto vasti e caratterizzati dalla classica struttura a bivi continui che stimola la curiosità al limite del rischio: gli spostamenti sono ritmati da una barra colorata che passa gradualmente dal verde al rosso per indicare la prossimità di un incontro causale, consentendoci di arrivare sempre preparati alla sfida. Dettaglio da non sottovalutare perché 7th Dragon III Code VFD non è per niente un gioco semplice, anzi: la tradizione del JRPG punitivo verso il giocatore distratto o in capace di sfruttare a dovere le abilità a disposizione trova qui espressione massima, con incontri casuali che possono portare alla sconfitta senza troppa difficoltà e boss a volte titanici. Ci sono elementi di contorno come la ristrutturazione del quartier generale che donano oggetti come ricompensa, così come l’opportunità di instaurare relazioni tra i personaggi creati per ottenere effetti speciali e bonus extra. Un bel modo per staccare tra una missione e l’altra, al tempo stesso dando corpo a personaggi privi di una vera e propria caratterizzazione essendo frutto di un editor.
Si tratta comunque di un gioco abbastanza leale nei confronti del giocatore, donando item ideati appositamente per curare – un numero limitato di volte – il party nella sua esplorazione, oltre i consueti consumabili, e consentendo di ripetere i match che ci hanno visto sconfitti per evitare il game over. In generale la difficoltà può definirsi severa ma bilanciata, ma è possibile anche optare in qualsiasi momento per un abbassamento ad un livello più semplice per superare i momenti più tosti o avere un’esperienza più tranquilla. È però vero che in questo genere di titoli, dove sono le sfaccettature del battle system a dare corpo all’esperienza, cedere alle prime avversità è controproducente per l’apprezzamento del gioco stesso. Le potenzialità di questi sistema di gioco si esprimono grazie alla gestione di un party di tre personaggi che nel tempo viene affiancato da altri due team di supporto, che possono sostituire chi è in battaglia o partecipare in potenti attacchi di gruppo. Essendoci una distribuzione dell’esperienza lungo tutti i membri di queste squadre, non si rischia di lasciare dietro nessuno, permettendo quindi di esplorare le possibilità offerte dalle 8, originali, classi, le quali rispecchiano gli archetipi standard del offrendo però un approccio più fresco.
[quotesx]cedere alle prime avversità è controproducente0[/quotesx]
L’healer di base è anche maestro di “God Hand” e attacca sferrando colpi sequenziali di potenza crescente nei vari turni, mentre l’Agent è un maestro dell’evasione che “hackera” i nemici per prelevarne punti magia o controllarne le azioni. Il Samurai consente di essere abbastanza efficace in attacco ed avere buoni valori statistici in genere – consentendo inoltre di utilizzare due tipi di armi – mentre il Duelist è maestro nell’usare il suo deck per alterare status, settare trappole ed evocare creature. Le classi avanzate espandono queste possibilità con Rune Knight, Fortuner, Mage e Banisher che espandono le capacità delle precedenti e si concentrano su specifiche peculiarità, che sia il supporto del team (Fortuner) o l’estrema efficacia contro i draghi (Banisher). Ogni classe è personalizzabile spendendo i punti abilità ottenuti in battaglia, sbloccando e potenziando determinate skill, con particolare attenzione alle abilità passive, che spesso fanno la differenza in battaglia.
Durante il gioco si respira l’aria tipica della produzione che osa a livello stilistico ma che al contempo fa tutto quello che deve fare a dovere: tecnicamente siamo su livelli decisamente buoni, sebbene manchi la pulizia di produzioni di livello superiore come i Bravely di Square, ma il character design di Shirow Miwa tiene testa anche nei semplici modelli poligonali, che in battaglia si esprimono al meglio grazie alle vivaci animazioni. Lo stile si mostra al meglio negli artwork presenti durante i dialoghi, con personaggi maschili molto caratteristici e donne provocanti, affiancanti da personaggi bizzarri come Nagamimi, coniglio robot dal carattere focoso che sarà anche la nostra guida. Assente il 3D, ma è una mancanza che si metabolizza abbastanza facilmente.
[quotedx] si respira l’aria tipica della produzione che osa a livello stilistico[/quotedx]
Manca purtroppo il voice over, che i limita a ad alcune frasi ed esclamazioni specifiche in battaglia o fuori. Bizzarro in quanto la presenza di attori specifici è segnalata al punto che le numerose opzioni in fase di creazione dedicate alla voce del proprio personaggio corrispondono a nomi e cognomi. Nel complesso però il comparto audio si difende con melodie familiari a cui viene donato brio con inserti techno molto ritmanti, a tratti reminiscenze di quanto sentito nella serie Persona. Nota: è possibile giocare la demo del titolo per poi ottenere oggetti e soldi bonus, nonché trasportare il salvataggio, precludendosi però così la possibilità di creare il protagonista, che di default risulterà essere la giovane Yaiba, samurai in divisa e gonna presente al centro di tutte le illustrazioni del gioco.