Manolete

Manuel Rodríguez, detto il Manolete, è stato uno dei massimi toreri spagnoli. Dopo l’esordio nella plaza de toros alla tenera età di 13 anni, provenendo come tanti calciatori o pugili dalla miseria…

Regia: Menno Meyjes
Cast: Adrien Brody, Penelope Cruz
Distribuzione: Eagle
Voto: 60

Manuel Rodríguez, detto il Manolete, è stato uno dei massimi toreri spagnoli. Dopo l’esordio nella plaza de toros alla tenera età di 13 anni, provenendo come tanti calciatori o pugili dalla miseria più assoluta (siamo nella Spagna del franchismo, negli anni ’30 e ’40), aveva conseguito fama mondiale diventando l’idolo delle folle, una vera “pop star” ante litteram di un paese che usciva a pezzi dalla Guerra Civile. Ma tutto questa era grazie ad una vita durissima, di disciplina, di rischio costante, di solitudine in mezzo ad una folla di approfittatori. Manolete era un uomo timidissimo, chiuso, austero: un uomo la cui espressione triste rispecchiava lo stato d’animo interiore. All’apice del successo incontra Lupe Sino, attricetta di facili costumi. La donna è spavalda e spregiudicata, promiscua e affascinante. E pure repubblicana, “di sinistra”. Il malinconico e solitario torero se ne innamora follemente. Il loro rapporto sarà osteggiato da tutti, dalle più alte autorità fino al popolino più ignorante (non dimentichiamo che siamo nella cattolicissima Spagna, per di più fascista), passando ovviamente per il suo entourage che vedeva la donna come un elemento di disturbo nella gestione del torero e degli introiti che assicurava.

Ma sarà forse il rapporto più bello, anche se più sofferto, per un uomo che dalla vita aveva avuto fama e ricchezza, ma a prezzo di sovrumani sacrifici. E il sacrificio più grande lo opererà nel 1947 nell’arena di Linares, quando, per reagire alle critiche, alle maldicenze e alla concorrenza spietata di un nuovo torero (Miguel Dominguin, l’uomo che sposerà Lucia Bosè, diventando poi padre di Miguel), esponendosi troppo per compiacere la folla, porterà all’eccesso la sua tecnica e finirà incornato dal toro Islero, per questo passato pure lui alla storia. A soli 30 anni, vissuti come fossero molti di più. Ma è storia che Manolete morì anche grazie all’approssimazione e all’incompetenza di chi gli prestò i primi soccorsi. Del resto, quando è destino….Se fosse morto di vecchiaia nel suo letto forse non sarebbe divenuto leggenda.

Stavano anche mutando i tempi e si stava imponendo un modello hollywoodiano, mondano e venale, di un mestiere che per gli spagnoli è sempre stato avvolto dalla sacralità, che trovava allora proprio in Dominguin il suo eroe, emarginando i personaggi puri come Manolete. Il regista racconta la storia con un’accurata ed elegante ricostruzione d’epoca, tralasciando il rapporto strettissimo che Manolete aveva con la madre, che nel film diventa solo pretesto per l’equivoco finale. Il fulcro è la passione fra i due amanti che però è rappresentata con tinte melò piuttosto convenzionali. Il rapporto fra i due protagonisti si adegua al registro melodrammatico scelto dal regista, con il retorico dualismo fra la solare e appassionata Lupe e l’ombroso e malinconico torero, perennemente sovrastato da un senso di morte, attribuendo il suo declino anche alla nefasta presenza della solita femme fatale, bestia nera di tanti sportivi (si sa che sport e sesso non vanno d’accordo), senza indagare maggiormente sui cattolici sensi di colpa e sui problemi famigliari.

Adrien Brody presta al personaggio la sua lunga e delicata faccia malinconica, dalla notevole somiglianza col vero torero. Per prepararsi al ruolo, si è allenato con Rivera Ordoñez, nipote dell’altro mitico torero Antonio Ordoñez, a sua volta rivale di Dominguin, oltre che suo cognato. Penelope Cruz rifà lo stereotipo della focosa appassionata come talvolta le viene richiesto, anche se è attrice capace di buone prestazioni, senza che però il legame col suo amato riesca a trasmettere la passione che dichiara. Dirige Menno Meyjes, al suo terzo film come regista, più celebre come sceneggiatore de Il Colore Viola, Indiana Jones e L’Ultima Crociata, L’impero del Sole. Le ricercate scenografie e i costumi eleganti sono fotografati da Robert Yeoman, che riveste di tonalità sature le riprese volutamente barocche di certe sequenze. A che se nel film non ci sono sequenze cruente, quello della corrida non è oggi un argomento gradito né in Europa né in America, dove se ne chiede l’abolizione da anni. Dice Meyjes: “La “Fiesta” nella Spagna degli anni ‘40 era una sorta di televisione a colori che Franco sfoggiava in giro per il paese, simile in un certo senso al circo Romano. Ma era una cosa comprensibile, la gente era molto povera, i divertimenti erano relativamente pochi, era il riflesso della società di quel periodo”. Il film, che attendeva una distribuzione da quasi tre anni, resta il ritratto di un torero passato alla storia, di uomo oppresso da troppe aspettative, senza gli strumenti per opporre la giusta resistenza, che solo in una danza ravvicinatissima col toro trovava la sua ragione di vita. Fuori dall’arena era indifeso, debole, una vittima predestinata: “triste, solitario y final”.