In un’epoca come quella attuale in cui i videogame hanno acquisito un ruolo di primo piano nel circuito mainstream, i publisher conoscono fin troppo bene il pubblico con cui hanno a che fare e i limiti oltre i quali è sconsigliabile spingersi.

Laddove le orwelliane indagini di mercato di cui amano servirsi non dovessero garantire sufficienti riscontri, subentrano peraltro direttive supplementari quali i criteri di classificazione PEGI che, almeno a livello formale, assicurano un certo controllo sui contenuti.

Per quanto possa risultare strano immaginarlo è tuttavia esistito un tempo in cui l’industria dei pixel navigava sostanzialmente a vista e persino le aziende più facoltose non avevano le idee troppo chiare riguardo i gusti, le esigenze e l’età media dei consumatori. In assenza di vincoli legali o linee guida che circoscrivessero l’area di influenza dei prodotti a fasce d’utenza ben delineate, niente avrebbe in altre parole impedito che proposte a dir poco estreme finissero per condividere gli scaffali con prodotti quali Dig Dug e Pac-Man.

Per avere un’idea più precisa riguardo questa discutibile forma di “sperimentalismo”, vale senz’altro la pena tornare agli albori della Golden Age del pixel e soffermarsi sulla controversa linea Swedish Erotica pubblicata della Mystique tra il 1982 e il 1983. Come alcuni ricorderanno, quest’ultima sarebbe infatti passata agli annali per aver seminato sesso matto e oscenità nel catalogo dell’Atari 2600, sollevando i primi, storici dibattiti relativi alla necessità di stabilire dei confini “morali” entro cui contenere l’estro degli sviluppatori.

Ben lungi dal rappresentare una proposta competitiva, i prodotti legati a questa collana puntavano essenzialmente a stuzzicare la curiosità del pubblico con immagini esplicite, lasciando che il gameplay si sviluppasse nell’arco di elementari soluzioni dinamiche: il loro reale obiettivo non consisteva d’altronde nel puntare ad un’improbabile affermazione ai botteghini, bensì nel raccogliere feedback di mercato volti a stabilire se il settore dei videogame potesse costituire un novello terreno di espansione per il business della pornografia!

Scavando nell’organigramma della Mystique era in effetti possibile rintracciare palesi legami con la Caballero Control Corporation, al tempo una delle più grandi holding specializzate nella produzione di VHS a luci rosse… In barba all’assunto secondo cui il sesso rappresenti una calamita commerciale irresistibile, l’iniziativa non riscosse comunque gli effetti sperati.

Se i primi due titoli della serie, Beat’em & Eat ‘em e Bachelor’s Party, vennero semplicemente stroncati dalla critica specializzata, Custer’s Revenge si sarebbe anzi trasformato in un clamoroso boomerang mediatico. A scatenare la reazione a catena destinata a travolgere il progetto, gli eccessi di un concept fin troppo dissoluto che affidava ai giocatori il compito di stuprare un’inerme indiana vestendo i (pochi) panni del redivivo Generale Armstrong Custer.

Malgrado l’intento originario del gioco fosse parodistico e la stessa impostazione grafica altrettanto macchiettistica, esso non venne affatto accolto con ironia: sin dal day one l’operazione venne infatti additata da associazioni femministe, nativi americani e autorità federali e bollata non solo quale razzista, ma anche come lesiva della dignità della donna.

Temendo che il tutto potesse istigare i giovani alla violenza sessuale, i procuratori distrettuali di svariati Stati s’affrettarono inoltre a chiedere il repentino ritiro del prodotto dai negozi. Prontamente seguita da una nutrita schiera di commercianti terrorizzati dalla prospettiva di essere in qualche modo complici di questa “deriva morale”, la direttiva riuscì a scuotere persino i vertici della Atari.

Nel goffo tentativo di sottrarsi alle accuse di connivenza, questi avrebbero in tal senso provato ad intentare azioni legali contro la Mystique, ottenendo però scarsi risultati: solo qualche mese prima, la major aveva dopotutto finanziato una colorita campagna promozionale tesa ad esaltare il realismo dei titoli per adulti disponibili sulla propria console ammiraglia…

Sebbene la querelle favorì un’iniziale boom di vendite, alla lunga il caso Custer’s Revenge finì comunque maturare conseguenze significative sulla politica dei publisher. Di lì a poco, quasi tutti sembrarono ad esempio convenire che sul fatto i videogame fossero materia per minori e, nel giro di pochi anni, nessun marchio di prima o seconda fascia si sarebbe mai sognato di produrre materiale contenente richiami diretti alla sessualità.

Da futuribile alfiere del business videoludico, la pornografia si ridusse così al più inaccettabile dei tabù: roba che, almeno in occidente, non avrebbe avuto canali di diffusione all’infuori del mercato underground, rimanendo poi ai margini dell’industria fino ai giorni nostri.