Requiem, recensione della serie soprannaturale in arrivo su Netflix

Una villa spettrale, una ragazza in preda alla disperazione per via dell’inspiegabile suicidio di sua madre, un’immaginaria cittadina del Galles. Questi gli ingredienti base di Requiem, serie BBC disponibile dal 23 marzo su Netflix, che mescola il genere mystery a un po’ di horror, riuscendo soltanto in parte nella difficile impresa di catturare lo spettatore. Va a vantaggio dello show la sua durata, sei episodi da un’ora ciascuno che scorrono piuttosto in fretta e non annoiano chi li guarda, scritti in modo da far salire il cuore in gola al pubblico e a caricarlo di suspense (o almeno questa era l’intenzione) con sequenze da pura ghost story. Requiem non arriva però fino in fondo, non fa quel salto necessario per spaventare davvero, rimanendo piuttosto come un fiammifero in procinto di accendersi durante una giornata ventosa: viene bruciacchiato, ma non fa la fiammella. Ed è un peccato, perché ha davvero del potenziale nascosto e avrebbe tranquillamente potuto conquistare gli appassionati del genere horror, se avesse osato un po’.

Matilda Grey è una violoncellista di professione, pure di successo, pronta a trasferirsi con il suo agente a New York per lavoro. Avrebbe avuto un futuro probabilmente brillante sennonché la madre, poco prima di una sua esibizione, si dirige improvvisamente in un parcheggio pubblico e la fa finita aprendosi la trachea con un coltello. Tutto questo davanti a sua figlia che, inerme, guarda l’orribile scena a pochi metri di distanza. Il suicidio della madre della protagonista è incomprensibile, la donna pareva conducesse una vita tutto sommato serena e fino a poche ore prima era stata in compagnia di Matilda per una colazione, senza mostrarle preoccupazioni o segni allarmanti.

Nel suo dolore, la giovane violoncellista decide così di visitare l’abitazione di sua madre per cercare un qualche indizio che possa darle risposta al suicidio, e trova sul letto del genitore una scatola contenente una videocassetta, ritagli di giornale e vecchie foto. Il materiale riguarda una bambina di nome Carys, rapita 23 anni prima in una piccola cittadina del Galles, Penllynith. È dunque possibile che il suicidio della mamma di Matilda sia strettamente legato a questo caso archiviato ormai da tempo? Il primo episodio decolla dopo questo preambolo, proiettandosi nella tacita comunità gallese, dove raggiunge la giusta atmosfera per inquietare.

Ho trovato l’inizio di Requiem eccessivamente veloce: nel giro di mezz’ora vengono presentati i personaggi principali, Matilda parte per Penllynith e ci sono ben due suicidi (non è spoiler perché si verificano proprio nei primi minuti). Insomma, avrei gradito un po’ di background perlomeno per la protagonista e il suo amico/collega Hal, che la segue nella follia di vederci chiaro sulla morte della madre – anzi, è lui che la spinge a partire, se vogliamo dirla tutta. Requiem ha un po’ di Rosemary’s Baby, ma si ferma alla superficie, senza scavare nel profondo. C’è una cantina nascosta, degli specchi distrutti, porte che vanno a sbatacchiare nel cuore della notte e una stanza chiusa a chiave. Poi c’è un sogno ricorrente. Omaggi o cliché? La linea è sfocata e non so dirmi se la serie tv attinga a piene mani da tropi del genere horror per onorare grandi classici o se lo faccia per mancanza di idee, cadendo nel banale.

Ci sono momenti in cui riesce a far paura, ma non quanto dovrebbe. Come ho detto, fa un bel lavoro l’atmosfera che, accompagnata da musichette spettrali, garantisce un ritmo incalzante alle sequenze più vertiginose, le quali cedono talvolta il passo a una narrazione più tranquilla per dare allo spettatore un attimo per prender fiato. È questo spezzarsi del ritmo che forse non giova a Requiem, ma d’altronde in ogni mystery/horror ci sono le parti più piatte, meno efficaci. Le scene inquietanti sono troppo brevi, non riescono mai a raggiungere il fine ultimo, quello di terrorizzare. C’è un rumore sordo, una porta che sbatte, ma è tutto un po’ prosaico. Proprio quando sembra che stiamo per vedere qualcosa di agghiacciante, Requiem passa alla scena successiva. C’è un’aria tetra che segue i suicidi, ma nulla che ci tenga svegli di notte.

La sceneggiatura poteva altresì essere migliore, la storia fila e nel complesso regge bene tutti e sei gli episodi, ma ci sono dei buchi di trama che proprio non mi sono andati giù. Purtroppo non posso menzionarli altrimenti vi rivelerei dei colpi di scena interessanti, ma sono certo che non ci metterete molto a capire a cosa mi riferisco (un test del DNA?). Questo non vuol dire che non ci siano segnali positivi: Lydia Wilson è una presenza piuttosto accattivante nei panni di Matilda, con quel look da rockstar più che da violoncellista e quella frangetta platinata. La sua recitazione è sommariamente buona e piuttosto credibile nelle sequenze drammatiche, a differenza degli altri personaggi presenti su schermo, che restano purtroppo anonimi. Forse Hal si salva, ma nemmeno troppo.

Requiem trova il suo posticino nel territorio soprannaturale, ma senza stupire: non è davvero spaventoso, la sceneggiatura fa storcere il naso e i personaggi sono poco approfonditi. Peccato, perché in fin dei conti l’idea di base non era male e mi lascia un po’ di amaro in bocca dargli appena la sufficienza.

La mia sedia a rotelle è come il kart di Super Mario. In qualsiasi cosa devo essere il migliore, altrimenti ci sbatto la testa finché non lo divento. Davanti a un monitor e una tastiera, però, non è mai stato necessario un grande sforzo per mettermi in mostra. Detesto troppe cose, sono pignolo e - con molta poca modestia - mi ritengo il leader perfetto. Dormo poco, scrivo tanto, amo i libri e divoro serie tv. Ebbene sì, sono antipatico e ti è bastata qualche riga per capirlo.