Kara, ovvero le emozionanti origini di Detroit: Become Human

Senza Kara, a parere di chi scrive la più bella opera mai creata dall’autore di videogiochi francese David Cage, Detroit: Become Human non sarebbe mai esistito. Eppure Kara, il corto dello studio Quantic Dream, sarebbe stato semplicemente perfetto anche senza un seguito. Perfetto nella regia, nei tempi, nella tecnologia, ma soprattutto nel coinvolgimento emotivo. Ironia della sorte, Cage ha dato il meglio di sé proprio in questo demo, forse perché libero da vincoli di ogni sorta: anche il filmato del casting di Heavy Rain è, ancora oggi, da brividi.

Per chi non lo ricordasse, Kara fu pubblicato intorno al 2012 da parte di Quantic Dream, e in molti fin da subito sperarono in un videogioco completo realizzato a partire da quelle premesse. Il video mostrava la fabbricazione di una ginoide, la Kara del titolo, modellata sulle fattezze di Valerie Curry, modella e attrice che le prestava per giunta la voce. La costruzione del cyborg rimanda alla sequenza iconica di Ghost in the Shell di Mamoru Oshii, e come l’autore giapponese anche Cage ben presto vola nella psiche di questo essere sintetico. Kara è un essere che rasenta la perfezione, parla infinite lingue, canta con perfetta intonazione Sakura, la canzone tradizionale giapponese resa famosa dalla Madama Butterfly. È, in tutto e per tutto, umana: Become Human, ricorda niente?

Tuttavia, non viene trattata come tale mentre viene costruita, non c’è dignità, e nessun rispetto per la sua individualità. È solo un lavoro in pelle, dopotutto. Il momento più toccante del filmato è quando Kara domanda al suo creatore che cosa ne sarà di lei, sentendosi rispondere che sarà venduta. D’altronde è solo merce… o forse no? Kara a questo punto si tradisce, dicendo di aver pensato qualcosa. Il fabbricante deve interrompere il processo e disassemblarla, quando, impietosito dalla capacità di Kara di provare paura, la lascia andare, libera di mischiarsi agli altri robot. In soli 7 minuti, Cage ha lasciato al mondo il suo manifesto: i videogiochi possono trattare tematiche importanti, scuotere gli animi… persino far piangere. Sì, perché Kara è uno dei video più toccanti che siano stati realizzati per un videogioco.

Il filmato funziona a livello emotivo per la storia di fondo, ma anche per i piccoli gesti del personaggio: per lo sguardo di Kara, che non lascia dubbi sull’intelligenza che muove quell’essere sintetico, per il modo in cui la ragazza cyborg si copre rendendosi conto di non avere vestiti addosso… Un pudore che la fa sembrare umana, e che ci fa quasi scomodare la Genesi della Bibbia. I dialoghi sono pochi, eppure più che mai significativi: le parole del fabbricante suonano così crudeli di fronte a un essere artificiale che tuttavia incarna tutti i canoni della bellezza umana, indistinguibile da una donna “reale”.

In Kara, Cage cattura un momento che oggi sembra fantascienza, ma che non è poi così remoto. Con l’intelligenza artificiale che giorno dopo giorno diventa sempre più sofisticata, forse, vivremo abbastanza anche noi per vedere il momento in cui un sintetico acquisisce l’autocoscienza. Cosa distanzia effettivamente il cyborg da noi esseri umani? Quando l’IA raggiungerà una potenza di calcolo paragonabile a quella del cervello umano (e ci siamo vicini), quale sarà la discriminante per distinguerla da donne e uomini? Il senso del sé è solo il frutto della complessità di un cervello, umano o sintetico che sia?

Non possiamo che sperare che questi interrogativi, più che mai stringenti, trovino una risposta in Detroit: Become Human che, quando finalmente uscirà il 25 maggio, ci permetterà di muoverci all’interno di quel mondo che continuiamo a sognare fin dal lontano 2012.

Micaela Romanini, collaboratrice di GamesVillage e VR Gamer, appassionata di realtà virtuale e narrazione interattiva, è esperta dell'opera di David Cage, sul quale ha scritto un libro con Metalmark e il Gu nella collana Ludologica di Matteo Bittanti. Responsabile del Centro Studi e Ricerche del VIGAMUS, collabora con la cattedra di Teoria e Critica delle Opere Multimediali e Interattive dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Ah già, e ama Rihanna disperatamente!