Durante Milan Games Week, abbiamo avuto l’onore di intervistare il guru della manifestazione, Tim Schafer, portato in Italia grazie all’instancabile opera di valorizzazione del medium da parte di AESVI, l’associazione di categoria della games industry in Italia. Assieme a Ron Gilbert, Schafer è uno dei volti più famosi della leggendaria, e purtroppo defunta, LucasArts, e ha contribuito a creare alcuni dei suoi giochi più celebri. La nostra chiacchierata, che purtroppo non è stata condotta tramite interfaccia SCUMM, ci ha portato a scavare nei ricordi del grande game designer, che ricordiamo fu inizialmente rifiutato da LucasArts e venne assunto solo quando mandò un curriculum sotto forma di avventura grafica su carta! Il sornione Schafer ci guarda, incuriosito da questi italiani, esuberanti come uno dei suoi personaggi, mentre cerchiamo di capire innanzitutto come nasce la sua passione e cosa l’ha condotto a lavorare nell’industria dei videogiochi. “Sono sempre stato appassionato di videogiochi”, rivela Schafer. “Ho iniziato a videogiocare nel 1963, e ho imparato a programmare giochi con l’Atari 400. A un certo punto della mia vita ho capito che la mia vocazione era raccontare storie tramite la scrittura. E fu così che mi imbattei in un’offerta di lavoro presso LucasArts. Cercavano qualcuno che programmasse, ma allo stesso tempo scrivesse le sceneggiature dei giochi. Erano le due cose che amavo di più, perciò colsi l’occasione al volo”.
Ci sono compagnie che hanno un’aura di leggenda, e chi ha lavorato presso di loro porta sempre con sé incredibili racconti, che sfociano molto spesso nella bizzarria. LucasArts, ovviamente, non fa eccezione. “Lavorare lì era fantastico, magnifico. Lucasfilm Games era un luogo frequentato da grandi talenti, e spesso attraeva personalità provenienti da Hollywood. Perciò, quando venivano in visita questi personaggi, noi nerd dei videogiochi ci nascondevamo in un angolino per la timidezza! Abbiamo cambiato diverse volte la nostra postazione, proprio perché venivano trasportati materiali e progetti di film, e noi dovevamo fare spazio. Però, in ognuna delle nostre stanze, trovavamo sempre qualcosa di assurdo; per esempio, una volta abbiamo scoperto dei fuochi d’artificio che servivano per le esplosioni, c’era sempre qualcosa del genere”.
Chiedere di The Secret of Monkey Island a Schafer è un po’ come rivolgere a Thom Yorke dei Radiohead una domanda su Creep, ma il nostro in realtà è più che ben disposto a parlare di un gioco che ha cambiato la nostra vita… e la sua. Ma come ha avuto origine questo progetto leggendario? “Ai tempi, la compagnia cercava di creare qualcosa di completamente nuovo, un prodotto diverso da tutti gli altri. Io, insieme ai miei colleghi, mi occupavo dell’aspetto comico dei videogiochi e, data la sua natura così particolare, fummo incaricati di lavorare su questo progetto. Ci sottoponemmo a intense sedute di brainstorming, dove tutti insieme cercavamo di definire i puzzle, le tematiche, la storia, e così via. Io mi occupavo dei combattimenti a bordo della nave e di altre meccaniche, anche se la parte del leone la fece, ovviamente, Ron Gilbert”.
Uno degli elementi più noti di Monkey Island è la geniale commistione tra l’azione e la risoluzione degli enigmi, che sfondano la quarta parete, sovvertono le convenzioni ed esplorano territori prima d’allora mai affrontati nelle avventure grafiche. “Prendiamo il combattimento: quando i giocatori iniziavano una battaglia, si aspettavano un tipo di azione più frenetica rispetta a uno scambio di battute. Per come era strutturato il mercato all’epoca, questa soluzione sarebbe potuta essere un’arma a doppio taglio, perché bisognava tenere conto della reazione dei giocatori di fronte al sovvertimento. Con queste premesse, presentai il progetto a Gilbert, che tuttavia ci credette fermamente e volle implementarlo a tutti i costi. Questo ci insegna che, a volte, pensare fuori dagli schemi crea delle opere memorabili, così tanto che ancora mi esalto a parlarne in un’intervista. A vent’anni di distanza”.
Non ci sono dubbi che Tim Schafer sia un game designer “rock”; una delle sue perle, purtroppo non baciate dal successo commerciale, è proprio Brütal Legend, un videogioco fuori dagli schemi dove un personaggio doppiato e ispirato dall’attore Jack Black si muove in un mondo fantasy ispirato alle copertine dei dischi metal. “Mi piace molto l’heavy metal, è una passione nata quando mio fratello mi fece ascoltare i Black Sabbath. La musica ha un potere straordinario, riesce a farti immaginare mondi incredibili semplicemente grazie alle note; è quello che mi succede sempre, per esempio quando mi trovo in macchina e ascolto la musica, quella bella. L’heavy metal, su cui si fonda tutta la premessa di Brütal Legend, non ha limiti. Spesso, i mondi che ti fa immaginare assomigliano quasi a degli incubi. Grazie alle sensazioni che ci ha trasmesso l’heavy metal siamo riusciti a dare forma al mondo di Brütal Legend. Non poteva essere altrimenti, sarebbe state come fare un gioco di ciclismo… senza andare in bici!”.
Il genere delle avventure grafiche ha avuto sicuramente una storia travagliata: dopo il grande successo negli Anni ’90, dove il genere era popolare e diffuso almeno quanto lo sono gli FPS oggi, l’evoluzione tecnologica ne ha sancito l’inevitabile obsolescenza. Lo stesso Schafer ha dovuto fare i conti con questa evoluzione, andando a toccare altri tipi di gioco nel corso della sua carriera. “Il punto è che l’industria, a un certo punto della sua esistenza, si è espansa in maniera esplosiva. Dai primi shooter, fino alle console Nintendo, siamo stati bombardati da nuove idee e tecnologie, che hanno allargato in maniera enorme il mercato dei videogiochi, e la loro stessa definizione. In tutto questo, le avventure grafiche non hanno smesso di esistere, semplicemente la fetta di mercato alla quale si rivolgevano era diventata sempre più ristretto. Per ogni cosa che diventa popolare, ce n’è un’altra che perde in notorietà. Ora fortunatamente, grazie al crowdfunding, è addirittura possibile che nicchie come la nostra riescano a sopravvivere e ad arrivare sul mercato, per un pubblico di giocatori affezionati”.
Con la decadenza delle avventure grafiche, abbiamo assistito anche a un declino dei giochi basati sull’umorismo, come potevano essere Maniac Mansion e lo stesso Full Throttle. È qualcosa di insensato, se pensiamo che invece, al cinema, la commedia è un genere apprezzato ed esplorato largamente, e sarebbe impensabile il contrario. “Penso che ci siano diverse ragioni dietro tale fenomeno”, ci spiega Schafer. “Sicuramente, questa tendenza ha radici nelle esigenze di mercato, ma anche nella natura stessa dell’esperienza. Mentre un film si può guardare sul divano, in compagnia dei propri amici per ridere tutti assieme, in un videogioco è difficile avere il coinvolgimento degli altri spettatori/giocatori. Oltretutto, anche i dati anagrafici dei giocatori sono importanti. Il range ideale considerato dagli sviluppatori va dai 18 anni ai 24 anni, almeno secondo la concezione prevalante, e a quell’età si vogliono provare emozioni forti, intense, che difficilmente si possano provare in altre situazioni. Come quelle che ti dà un FPS. In fondo, è un discorso puramente economico: le compagnie non vogliono prendere rischi utilizzando il tema della comicità, preferiscono puntare sul sicuro”. Insomma, è il classico caso di cane che si morde la coda. Fortunatamente, ci sono compagnie che tendono ancora a fare un discorso diverso, che guardano alle storie e che hanno ereditato a pieno diritto il bagaglio culturale di LucasArts, pur adottando meccaniche più snelle e moderne, adatte al pubblico di oggi. Ovviamente, il pensiero va a Telltale. Schafer non ha perso la speranza di vedere giochi narrativi salire alla ribalta anche oggi. “Al momomento, sembra che il mercato sia più che altro improntato ai giochi online, al multiplayer, e predilige quei titoli che si possano trasmettere bene attraverso lo streaming. Però, a volte, arrivano titoli story-driven come Gone Home, Uncharted, le opere Telltale, che si basano su una fortissima esperienza narrativa in single player. Sono contento di vedere che case come Telltale cercano di proporre nuove esperienze narrativa, e credo che lo stile adottato da loro vada nella direzione giusta, e ci permetterà di avere un futuro radioso anche per le vetuste avventure grafiche”.
Anche se Tim Schafer ha di recente prodotto Broken Age, un’avventura grafica finanziata tramite Kickstarter, la speranza per tutti i suoi fan è il ritorno alla serie culto per eccellenza, The Secret of Monkey Island. Chiediamo quindi a Tim se è possibile anche solo sperare in una reunion tra lui, Dave Grossman e Ron Gilbert, alla testa di un nuovo episodio di Monkey Island. “Mai dire mai! Tutti noi stiamo lavorando ai nostri progetti, compreso me, ma non abbiamo smesso di produrre avventure grafiche. Non si può mai sapere”. La nostra ultima domanda riguarda le passioni di Tim: il gioco e la canzone metal preferiti. Scopriamo così che: “Katamari Damacy è il mio gioco preferito in assoluto. La mia canzone heavy metal più amata invece è The Ides of March degli Iron Maiden, anche se è stato difficile scegliere tra le tante”. E il cibo? “Il pane. Qualsiasi tipo di pane. Letteralmente”. Siamo fiduciosi che a Milano il caro Tim abbia avuto l’imbarazzo della scelta in quanto a delizie ad alto contenuto di carboidrati.