Immergersi in mondi nuovi, surreali e a tratti un po’ inquietanti, vuoi per quel senso di ignoto o per la cattiva accoglienza che riservano ai personaggi, è sempre affascinante. Che si tratti di un videogioco, di un libro o di un film. L’ambientazione fantasy e fantascientifica è di recente stata ben spremuta anche nell’ambito seriale e Lost in Space, nuovo show Netflix disponibile sulla piattaforma dallo scorso 13 aprile, non fa che continuare questo riuscito trend.
Per chi non lo sapesse, si tratta del reboot dell’omonima serie degli anni ’60 e si prefigge l’obiettivo di incorporarne certi elementi e disfarne altri raccontando, sì, una storia vecchia di 50 anni ma con tonalità che richiamano produzioni sci-fi dell’ultimo decennio. Proprio questo ripescare vecchie carte rende la nuova serie tv un po’ prevedibile in un certo senso, ma dato che prende in prestito interessanti elementi da Star Wars, Battlestar Galactica e (un pizzico di) Lost riesce a catturare anche gli spettatori più esigenti. Come me.
In questo approfondimento cercherò di non fare spoiler di alcun tipo, ma qualche riferimento minore ai primi due episodi potreste trovarlo. Lost in Space torna a raccontare le vicende della famiglia Robinson che, precipitando su un pianeta alieno in seguito a un incidente nello Spazio, si trova a dover sopravvivere su un corpo celeste sconosciuto e ostile, nel tentativo di contattare la nave madre da cui si è staccata per rimettersi in rotta.
I Robinson erano tra i pochi eletti in viaggio verso la colonia terrestre Alpha Centauri, un pianeta ospitale e adatto a far prosperare la razza umana in cerca di una nuova “casa” dopo che la cosiddetta “Stella di Natale” ha colpito la Terra rendendola sempre meno abitabile: ciò che il pubblico apprende dal background dei protagonisti attraverso i flashback sarebbe sufficiente a riempire una stagione intera, ed è un peccato che i produttori siano voluti arrivare direttamente al dunque senza sviluppare cotanto materiale.
Ma veniamo a noi: ho già detto che la sceneggiatura soffre un po’ l’età e ha il sapore di qualcosa di già visto ma, attingendo da film e serie più attuali, Lost in Space si ridefinisce e rinnova per una nuova generazione. Per certi versi mi ha ricordato Battlestar Galactica, rebootata nel 2004, dove robot malvagi ambiscono allo sterminio dei pochi superstiti umani sparpagliati nell’Universo. Anche nella nuova serie tv Netflix ci sono macchine spietate che attaccano gli uomini senza indugio alcuno; mentre Battlestar Galactica si concentra su una storia ricca di intrecci politici e di strategie di guerra (un po’ come Star Wars), Lost in Space dà tuttavia spazio al senso di scoperta, catalogandosi più nel genere survival.
Sebbene non ci azzecchi molto come trama e ambientazione, lo show Netflix si avvicina piuttosto a Lost, serie ABC ormai divenuta cult che ha fatto innamorare milioni di spettatori negli anni zero. Lì, i passeggeri del volo Oceanic 815 precipitano su un’isola misteriosa in seguito a un incidente aereo, trovandosi costretti a esplorare un’ambientazione sconosciuta e pericolosa, cercando il più possibile di sopravvivere e trovare un modo per tornare a casa: Lost in Space trasporta tutto sul pianeta di una galassia lontana, ma il succo del discorso rimane lo stesso, così come lo scopo dei protagonisti. Ritrovare la via, senza perdere la vita. Entrambi gli show inoltre riescono a far forza sul senso di mistero che permea l’intera opera: in Lost è più trascendentale e mistico, in Lost in Space più concreto (ma pur sempre surreale) e tangibile.
In questo reboot della serie anni ’60 vedo inoltre una gradita somiglianza con i nuovi Star Wars, più che altro dal punto di vista puramente scenico. Le riprese della Jupiter (la navicella con cui i Robinson si schiantano sul pianeta sconosciuto) in volo e le inquadrature della straordinaria ambientazione dall’alto mi hanno ricordato il Millennium Falcon e le suggestive distese verdeggianti di Naboo. Guardare Lost in Space su un televisore da 50 pollici non è come guardarlo su un monitor qualunque o su una TV più piccolina, gli effetti speciali hanno il loro perché e sono una vera gioia per gli occhi. Anche le musiche sono ispirate e si adattano piuttosto bene alle diverse situazioni – o disavventure, per essere precisi – che i protagonisti affrontano sin dal loro atterraggio sul nuovo mondo.
Altro richiamo a Lost può essere il voltafaccia di alcuni personaggi e le loro personalità a tratti imprevedibili, il loro passato oscuro, le menzogne dietro cui si celano e con cui si creano nuove identità. Non c’è un protagonista principale nella storia, tutta la famiglia trascina la trama attraverso relazioni interpersonali, vecchi ricordi che riaffiorano e condizioni attuali da fronteggiare, mai singolarmente ma come corpo unico e funzionale. I fan del genere sci-fi apprezzeranno senz’altro questi esplosivi 10 episodi e non avranno difficoltà nel constatare che il suo DNA è condiviso con altre grosse produzioni del genere. Per loro gioia.