Il 20 aprile ancora non si è affacciato, ma God of War promette già di essere il gioco dell’anno 2018, soppiantando da subito ogni possibile rivale. Non è difficile capirne il motivo: da tanto aspettavamo un ritorno in grande stile di Kratos, ma la narrativa con cui Santa Monica Studio ce lo propone lascia stupefatto chiunque si aspettava di ritrovare il tamarrissimo dio della guerra desideroso di sangue e vendetta della prima serie di giochi. Andiamo con ordine, partendo dall’accenno di trama che noi poveri mortali possiamo estrapolare dai trailer usciti: Kratos si è preso una vacanza di lunghissimo termine dalle scaramucce avute con gli dei dell’Olimpo in Grecia, spostandosi in Scandinavia; lì, con Faye, una donna del posto, ha avuto il suo secondo figlio, Atreus. Ella morirà di lì a poco, e questo tragico fatto sarà il punto di partenza delle vicende narrate nel corso del gioco: ella voleva sparse le sue ceneri sul Picco dei Regni, e Kratos ed Atreus attraverseranno tutti i nove regni narrati dalla mitologia norrena per esaudire questo desiderio. È proprio la connessione tra il dio greco della guerra e i miti scandinavi ad offrire interessanti spunti di riflessione sulla rotta che Santa Monica Studio vuole far prendere alla saga, e su ciò che il personaggio di Kratos vuole lasciare ai giocatori.
Scandinavia: tra boschi innevati e folklore magico
Non c’è dubbio alcuno sul fatto che, grazie alla varietà dei suoi ambienti naturali ed il fascino che esercita il suo folklore, il mondo norreno stia ultimamente conquistando il cuore di molte persone. Basti pensare alla popolarità raggiunta dalla serie TV “Vikings”, o a quanto sia amato il personaggio di Thor nella saga degli Avengers, ma qui si vola più in alto rispetto alle mere tendenze: God of War vuole fare molto di più che mostrare biondini dal viso simpatico che scaraventano giganti a terra, trasmettendoci l’essenza della vera cosmologia norrena, la quale fa a sua volta da sfondo alla crescita fisica e mentale dei due protagonisti. In effetti, a ben vedere, durante il gameplay troviamo poche tracce della presenza dei grandi déi norreni che siamo stati abituati a conoscere grazie ai film Marvel, avendo molto più a che fare con le creature e divinità minori (come gli Jotunn) facenti parte di ognuno dei Nove Regni. Inoltre, a giudicare dalle decorazioni che adornano gli edifici in cui Kratos e Atreus si troveranno a compiere alcune delle loro imprese, gli sceneggiatori sembrano aver attinto a piene mani dall’Edda Recente (o Edda in prosa), ovvero la più completa fonte di racconti circa la mitologia norrena originaria, scritta dallo storico e filologo Snorri Sturluson intorno al 1220, almeno stando agli espliciti riferimenti alla guerra tra Aesir e Vanir fatti da Sony stessa nei trailer della serie “The Lost Pages of Norse Myth”. Senza contare poi i riferimenti a Thamur, il gigante caduto dallo Jotunheim dopo essere stato abbattuto da Thor. Ogni cosmologia deve rifarsi al dualismo ordine/caos per giustificare la propria gerarchia e successione di avvenimenti, e quella norrena non è certo da meno: al genocidio degli Jotnar voluto da Odino per fermare il Ragnarok, a cui segue la cacciata di una contrariata Freyja da Asgard, dovrà succedere un nuovo periodo di stabilità portato da colui che fermerà lo scempio perpetrato da Thor per conto di suo padre. E chissà che non sia proprio Kratos, aiutato da suo figlio, il predestinato a tale compito…
Leviathan: il nuovo Mjolnir?
Tale teoria appare avvalorata dall’arma che il grande serpente Jormungand dona al nostro eroe: l’ascia Leviathan. Essa può essere scagliata contro i nemici, stordendoli, ed ha il potere di tornare indietro se richiamata da Kratos; tale arma può inoltre essere potenziata tramite due rune magiche da incastonare nell’elsa, conferendole ad esempio l’abilità di immobilizzare i nemici se scagliata. Il potere speciale dell’arma richiama pericolosamente alla memoria il Mjolnir, il martello magico del dio Thor, forgiato dai nani fabbri Brok e Sindri: nella lore di questo nuovo capitolo di God of War sono stati proprio i due fabbri a concepire Leviathan, divorati dal senso di colpa per i morti che Thor ha causato con la loro creazione. Infine, le frecce scagliate da Atreus sono elettrificate, cosa che collega ulteriormente i due personaggi all’universo nordico.
Un “romanzo di formazione”
Il gioco mostra già dal suo antefatto l’intenzione di voler mutare la forma mentis del suo personaggio di punta: infatti troviamo un Kratos visibilmente cambiato dal punto di vista del fisico; certo porta con sé il suo marchio rosso distintivo e le stesse cicatrici delle sue antiche battaglie contro gli dei dell’Olimpo (comprese quelle lasciate sulle braccia dalle Lame del Caos), ma la lunga barba folta che ora gli copre il volto ci porta quasi a vederlo più come un vero e proprio vichingo che come un dio greco. Il suo sguardo appare più riflessivo e saggio, come se stesse abbandonando le vesti del guerriero vendicativo ed assetato di sangue per concentrarsi sulla sua crescita personale come divinità e come padre. Il passato tormenta ancora la sua coscienza, ma ora sta a lui far sì che non sia più causa di rovina per suo figlio e soprattutto dovrà arrivare a patti con sé stesso e con la propria natura, onde insegnare al piccolo Atreus che “noi siamo più che uomini”, con annesse tutte le responsabilità che conseguono all’essere semidei. Non c’è dubbio: il mondo norreno fa da transizione alla mente di Kratos, e mostra come non solo questo capitolo, ma tutto God of War nel suo complesso voglia essere più una “serie di formazione” che una semplice scusa per menare le mani a destra e a manca. Kratos ora è un padre vedovo, preoccupato più a mantenere una promessa che a cancellare i propri incubi, e tale cambiamento di personalità non può far altro che legarci ancora di più al nostro protagonista, rendendoci ancora più motivati a far fuori orde di nemici.
Come si diventa un uomo?
Scordatevi poi i bambini irritanti da salvare à la Ashley di Resident Evil: Atreus, a quanto pare, è invece un compagno di viaggio più che valido, occupato perlopiù a trafiggere le orde di nemici che ci si pareranno davanti. Inoltre, essendo il più radicato agli usi e costumi del territorio tra i due, sarà colui che ci farà da interprete durante tutto il viaggio, traducendo le iscrizioni runiche che Kratos troverà lungo tutto il percorso; tale potenzialità del ragazzo viene rivelata anche dai primissimi secondi di trailer, in cui recita le frasi di una preghiera vichinga (“Lo, there do I see my father, Lo, there do I see my mother, Lo, they do call to me”) ripresa dal film “Il tredicesimo guerriero”, e a sua volta tratta dal racconto che Ahmad Ibn Fadlan, un cronista arabo che si è occupato di documentare le usanze dei Vichinghi, fa di un rito sacrificale a cui si è voluta sottoporre la concubina di un generale caduto (“Behold, I see my father and mother. I see all my dead relatives seated. I see my master seated in Paradise and Paradise is beautiful and green; with him are men and boy servants. He calls me. Take me to him”). Il rapporto tra lui ed il signore della guerra appare da subito complesso e travagliato: suo padre sembra caratterialmente lontano rispetto a lui, e non si è nemmeno preoccupato di insegnargli l’arte della caccia, compito spettato principalmente alla moglie Faye. La morte di quest’ultima li porta a rinsaldare il loro legame, e Kratos insegnerà a suo figlio la tempra e l’autocontrollo che contraddistinguono un vero guerriero. Intenerisce il fatto che il giovane Atreus appaia combattuto tra il dovere di un guerriero e i sentimenti di un bambino, che portano a vedere del buono anche nei nemici che vogliono far fuori lui e suo padre, ma saperlo nostro compagno di avventura con un arco munito di frecce elettrificate – piuttosto che come zavorra che rischia costantemente di essere rapita dai boss (qualcuno ha detto Ashley?) – aiuta a mostrarcelo come il degno figlio del coattissimo dio che abbiamo imparato ad amare, e a vedere in lui il suo degno successore.
Come Odino e Thor
Dalle parole di Kratos verso suo figlio, traspare come la sua mente sia cambiata, più disposta a mettere da parte i rancori passati e le colpe autoinflitte per fare del ragazzo un vero dio, così come Odino mette costantemente alla prova Thor per testare la sua forza ed il suo valore. Le analogie tra i due protagonisti e le due divinità più adorate dell’intero pantheon norreno non finiscono certo qui: per ottenere dal dio Mimir le informazioni che servono ai due per proseguire nella loro avventura Kratos gli taglia la testa e la porta con sé, proprio come fece Odino tornando dallo Jotunheimr dopo aver bevuto dalla fonte della saggezza custodita dal dio stesso; inoltre, Atreus scaglia frecce elettrificate, e ricordate Thor quale elemento naturale governava? Speculazioni a parte, Kratos passa dall’essere un guerriero assetato di vendetta ad un padre riflessivo, e la serie di God of War si rivela sempre più il romanzo di formazione di un dio che impara a camminare fra gli uomini, senza però perdere il desiderio di uccidere che lo contraddistingue come marchio di fabbrica. La lirica e i miti norreni, legati da sempre alle idee di legame al territorio, sacrificio e valore del guerriero, accompagneranno Kratos durante la sua transizione, e costituiranno il più grande fattore di accrescimento di una LORE già affascinante e magica come quella di God of War. Che, chissà, tra una mazzata e l’altra potrà anche riuscire ad insegnarci qualcosa.