Ah, gli anni ’90. Mentre la console-war tra Sega Mega Drive e SNES imperversava a suon di comparazioni tra bit, processori e ricchezza delle reciproche librerie, la software house Rareware iniziò a sviluppare un grande progetto, forte di un know-how talmente avanguardistico da convincere Nintendo a rilevare il 49% della compagnia, facendone uno studio first-party. Si trattava nientemeno che di Donkey Kong Country, titolo che avrebbe rilanciato lo storico personaggio del gorilla ispirato al celebre King Kong (nonché prima nemesi dell’idraulico Mario) che apparve per la prima volta sui CRT delle sale giochi più di dieci anni prima. Nel fervore della Silicon Valley, lo studio di origine inglese creò un’avventura di genere platform dalla spettacolare grafica pre-renderizzata, basata su modelli 3d elaborati da super-computer. La leggenda narra che lo stesso Shigeru Miyamoto, che pochissimo tempo prima aveva diretto il sublime (e forse ad oggi ancora insuperato) Super Mario World, fosse preoccupato che cotanta cosmesi servisse solo a distrarre i giocatori, fungendo da specchietto per le allodole per celare un gameplay mediocre. I primi test fugarono però ogni dubbio: Rare e Nintendo concepirono delle meccaniche di gioco perfette, avvincenti e al contempo profondamente diverse da quelle legate all’eroe del Regno dei Funghi. Il resto è storia: i tre episodi di DKC rilasciati per Super Nintendo sono monumenti della storia del videogioco. Ci sono voluti una decade e il coraggio di un nuovo sviluppatore, Retro Studios, per rivedere su schermo le avventure di Donkey e Diddy, con Donkey Kong Country Returns (Nintendo Wii, 2010) e Donkey Kong Country: Tropical Freeze (Nintendo Wii U, 2014). Se il primo capitolo del revival del franchise è stato premiato da pubblico e critica (e riproposto in una altrettanto felice edizione per 3ds), sorte diversa è toccata al secondo, molto meno conosciuto a causa della a dir poco rarefatta presenza sul mercato della sua piattaforma nativa, quel Wii U oggettivamente mal concepito e mal presentato che fallì nel replicare il successo planetario del suo predecessore. Nel 2018, Tropical Freeze debutta finalmente su Nintendo Switch.
Nostalgia canaglia? Sì… e no!
Donkey Kong Country: Tropical Freeze è un gioiello, nonché uno dei migliori platform bidimensionali mai prodotti. La sua architettura è un inno al rispetto delle tradizioni e al veicolare tali tradizioni nel futuro, di fatto superandole con totale consapevolezza. Questo principio di simultanea conservazione e reinvenzione interessa ogni componente del titolo in oggetto: lo stile estetico, ad esempio, perde la connotazione “matura” della trilogia originale, ne conserva però ogni archetipo, e passa attraverso una matrice di stampo più Disneyano frutto del gusto dei nuovi artisti. L’universo sonoro raccoglie l’eredità dell’incredibile lavoro di David Wise di 20 anni fa e al contempo si riscrive; l’acclamato compositore britannico torna al lavoro per Nintendo e ci regala un viaggio nelle sue partiture attraverso straordinari arrangiamenti orchestrali, che all’interno dei livelli di gioco sono interessati costantemente da cambi di tono, remix, contaminazioni in abbinamento al gameplay. Gameplay che è poi il fulcro di questo processo di costruzione del design complessivo; se in apparenza somiglia a quanto di eccezionale fatto nelle incarnazioni a 16-bit, approfondendo la conoscenza e la padronanza di ogni meccanica ci si accorgerà di quanto il feeling sia davvero rinnovato profondamente. La parola chiave è varietà: per quanto si possano scorgere delle macro-categorie nelle tipologie dei livelli, queste sono comunque ogni volta declinate in nuove sfumature al punto di rendere unica ogni singola sezione. In sostanza, non esiste un livello troppo simile a un altro, ed ognuno è pronto ad accoglierci all’insegna della sorpresa, della sfida e, non ultima, della meraviglia. La difficoltà proposta è tarata alla perfezione, perché se da una parte la dose richiesta di prontezza di riflessi e rapidità di esecuzione dei comandi è davvero intransigente, dall’altra tutte le routine e i pattern che interessano il comportamento di ogni elemento disseminato nel gioco (nemici compresi) sono più precisi di un orologio svizzero. Pertanto, ogni volta che perderemo una vita (e succederà molto, molto spesso), questo sarà imputabile solo ai nostri errori; e quando (e se) diventeremo dei maestri nella gestione dei controlli, potremo perfino completare ogni livello in un’unica, enorme sequenza di evoluzioni al cardiopalma, tant’è che è possibile, per i più temerari, cimentarsi una spietata modalità time-attack.
Donkey Kong si è rifatto… il naso!
Se la qualità del titolo originale è assodata, cosa è lecito aspettarsi dalla sua riproposizione per Nintendo Switch? Prima di tutto, un boost grafico: la risoluzione raggiunge ora lo standard di 1920×1080 con scansione progressiva in modalità docked, ridotta a circa 720p in versione portatile; i 60 fotogrammi al secondo, garantiti in entrambe le possibilità, riducono al massimo i tempi di input/risposta, aspetto fondamentale in un prodotto tanto esigente in termini di precisione. Una curiosità è legata al leggero re-design del protagonista, Donkey Kong, al quale è stato letteralmente rifatto il naso (è ora più tondeggiante). Se lascerete i comandi per qualche secondo senza aprire il menu di pausa, inoltre, assisterete a una nuova “idle animation” che vedrà il nostro eroe giocare con un Nintendo Switch per qualche secondo. La modalità cooperativa per due giocatori è poi pervasa da una nuova linfa grazie ai controller Joy-Con e alla loro anima incline alla condivisione: con un rapidissimo cambio di mappatura controlli sarà semplicissimo permettere ad un amico seduto accanto a noi di seguirci nell’avventura. Il piatto forte di questa edizione è però la nuova modalità alternativa inserita in contrapposizione al cosiddetto Original mode (che preserva il gioco nelle sue caratteristiche datate 2014). Il feedback fornito dai giocatori, che in buona parte sono rimasti scottati dall’alto tasso di sfida della release per Wii U, ha spinto Nintendo al proporre il Funky Mode: se avviato in questa peculiare versione, pur rimanendo fondamentalmente identico, Donkey Kong Country: Tropical Freeze tenderà la mano ai giocatori meno smaliziati, poiché sia DK che i suoi compagni Diddy, Dixie e Cranky avranno a disposizione un HP extra a testa. C’è dell’altro: sebbene il Funky Mode permetta di affrontare l’avventura nei panni degli eroi classici, sarà possibile prendere per la prima volta il controllo di Funky Kong (introdotto proprio in questa edizione per Switch), un super-personaggio dotato di ben cinque punti cuore e capace di compiere dei trick con la sua tavola da surf che gli permetteranno di imitare tutto il move-set del trio di compagni (Funky non ha infatti bisogno di caricare nessun sidekick sulle spalle per sfruttarne le abilità, come avviene invece nel caso di Donkey). Anche il negozio di Funky, lasciato in gestione a un bizzarro pappagallo nella modalità che lo vede protagonista, vede variare il suo assortimento con oggetti ancora più efficaci. I programmatori hanno comunque tenuto in considerazione anche le esigenze dei più insaziabili hardcore-gamer; oltre alla miriade di livelli segreti sbloccabili (per non parlare di altri collezionabili come artwork, modellini 3d, splendidi diorami e brani per il juke box della colonna sonora), al completamento dell’original mode saremo ricompensati con l’aggiunta di una tostissima hard mode, dove potremo impersonare unicamente Donkey, peraltro munito di un solo punto-cuore.