Se vi è scesa una lacrimuccia ogni volta che Dungeon’s & Dragons veniva citato in Stranger Things, si dà il caso che il nuovo titolo remastered della Vanillaware, Dragon’s Crown Pro, sia proprio ciò che fa al caso vostro. La software house creatrice di colossi come Odin Sphere e Muramasa: La spada demoniaca, quando ancora si chiamava Puraguru ed era formata da soli tre membri (ex-dipendenti scontenti della Atlus), ha sempre avuto in mente un obiettivo molto preciso: unire semplicità e giocabilità.
D&D Docet
Già in Princess Crown, a cui Vanillware lavorò su Saturn per conto di SEGA, si può notare quanto la filosofia di unire l’influenza RPG all’action puro sia una loro peculiarità. Certamente una scelta azzardata, se teniamo conto che già dai primi anni Duemila la grafica sempre più curata e l’universo tridimensionale cominciava a far venire l’acquolina in bocca alla stragrande maggioranza dei consumatori. Questa consapevolezza non fece minimamente demoralizzare il nostro director George Kamitani che, fin da quando rinominò la compagnia in Vanillaware nel 2004, affermò di voler utilizzare il “tebineri” per tutti i suoi titoli. Questa è una tecnica che, richiamandosi ad un antico metodo giapponese di lavorazione del vetro, lascia ai propri artisti la libertà di disegnare gli scenari esclusivamente a mano. Il “tebineri” venne infatti utilizzato anche per il Dragon’s Crown originale, facendo un botto in mezzo pianeta e facendo acquistare all’azienda il rispetto e la fama meritate. La loro idea di riesumare un genere ormai quasi estinto unendolo alla tecnica del disegno a mano, con i corpi dalle fattezze esagerate e le creature che ricordano molto Dungeon’s and Dragons: Tower of Doom, fa acquisire a Dragon’s Crown Pro un’atmosfera fantasy quasi parodistica, degna di un bel libro di Pratchett. A quanto pare il nostro Kamitani ci aveva visto giusto: la remastered si è fatta attendere per 5 lunghi anni, ma ritorna finalmente in grande stile per PS4.
Virtuosismi estetici
Il videogioco, ormai diventato una rarità che pochi fortunati potevano ancora permettersi di giocare. Riesco persino a caricare i vecchi salvataggi PS3 e Vita attraverso il nuovo titolo, e ciò mi aggrada non poco, sebbene questo attaccamento ortodosso alle origini abbia i suoi pro e i suoi contro. La trama rimane infatti praticamente invariata: i personaggi, le creature e la storia anche. Si parte dalla taverna della capitale, Hydeland, e si finisce per scontrarsi con varie creature, alla ricerca di bottini e molteplici soluzioni per far evolvere il personaggio e sfidare il fantomatico boss di fine livello. Tutto questo per aiutare la nostra regina ed infine raccogliere dei talismani attraverso nove dungeon, ognuno dei quali è dotato di bivi e boss differenti. Fino a qui nessuna sorpresa. Passando al comparto grafico invece la situazione cambia: per chi ha la fortuna di possedere una PS4 Pro e la TV che supporti il 4K, l’esperienza visiva sarà un regalo per le retine, in virtù di una fluidità generale nettamente superiore alla controparte Ps3. Ma purtroppo i problemi a livello di gameplay rimangono (quasi) invariati: il gioco invita sì al multiplayer ma, ironia della sorte, più saranno i giocatori più i combattimenti diventeranno caotici e confusionari. Non riusciremo a seguire davvero fino in fondo gli spostamenti del nostro personaggio poiché ci perderemo in una folta schiera di colpi speciali e non. Inoltre il backtracking estenuante, direi alla giapponese, che il gioco ci propone potrebbe scoraggiare i giocatori meno pazienti.
L’unica novità vera e propria di cui sono venuto a conoscenza per vie traverse è un DLC originariamente offerto con le prime copie in Giappone, ma che qui prende la forma di un gioco di ruolo cartaceo duro e puro. Sarebbe interessante andare a ripescarla, almeno per dissetare l’insana voglia che ho di aprirmi varchi nella narrazione a colpi di D20. Ma come mai tutti questi parallelismi con Dungeons & Dragons: Tower of Doom? Il motivo è presto detto: il director Kamitani lavorò infatti per Capcom e Racjin alla realizzazione del capolavoro appena citato. Pare infatti drammaticamente radicato nel nostro George il seme dell’ossessione per un titolo che è ancora oggi l’emblema del gioco di ruolo, oltre che vessillo del nerdismo militante. In Dragon’s Crown Pro ho ad esempio trovato una somiglianza mostruosa tra il Drago Antico, quello che controlla Hydeland, e il famosissimo Drago Rosso di D&D:ToD, oppure cavalcare belve come in Golden Axe. Ma questi sono solo alcuni dei tanti Ester Egg che il gioco nasconde. So che ciò farà felici tutti gli amanti di un’epoca videoludica oramai scomparsa. Come già menzionato in precedenza, il sistema di controllo dei personaggi è ridotto all’osso: si parte con salto, colpo normale, colpo speciale e schivata, oltre a pergamene e anelli magici che possono essere usati durante le quest. In questa remastered il combat system, in effetti, è rimasto identico a come lo ricordavamo. Il gioco inizia con la scelta del personaggio tra i soliti 6 sospetti già menzionati nella preview: Nano, Guerriero, Elfo, Mago, Strega ed Amazzone. Il resto è il tipico picchiaduro a scorrimento in 2D, perfetto per essere condiviso in compagnia di amici. Il sistema è infatti fortemente legato al lavoro di squadra e la cooperazione in particolare. Quando troveremo i resti appartenuti ad un guerriero, durante l’esplorazione dei dungeon, potremo resuscitarlo portandoli al Tempio con la possibilità di aggiungerlo al roster di personaggi selezionabili per il nostro party.
La squadra sarà in parte comandata direttamente dalla CPU, laddove ci siano meno di 4 giocatori in carne ed ossa in gioco, e rimarrà con noi durante tutta la durata dell’avventura. Quando invece ci dovremo occupare di scassinamenti e ruberie varie, entrerà in gioco il ladruncolo Ronnie, un vero e proprio NPC che ci seguirà ovunque, pur rimanendo effettivamente utile solo in quei casi. Il nostro Ronnie, che sarà indispensabile per trovare tesori ed equipaggiamenti, deve aver preso alla lettera la tradizionale freddura da indirizzare ai nullafacenti: “Va a rubare!” Più si gioca, più si viene risucchiati dall’atmosfera che questo titolo è capace di creare: il doppiaggio in giapponese, assieme alla colonna sonora composta da Hitoshi Sakamoto e suonata per questa remastered da un’orchestra dal vivo, cooperano alla perfezione alla definizione di uno scenario assolutamente suggestivo.