ATTENZIONE: nella speranza di invogliare alla visione questa recensione si manterrà vaga relativamente alla storia, evitando spoiler sia sul lungometraggio finale sia sulle due stagioni precedenti. Si esimerà dunque dal rivelare dettagli sulla trama, se non a grandi linee, e si concentrerà molto sulle tematiche affrontate da serie e lungometraggio, oltre che sulla qualità tecnica.
Quando le sorelle Wachowski decisero di mettersi a lavorare a Sense8, l’obiettivo era quello di creare una serie televisiva che avesse sul medium lo stesso impatto avuto da Matrix nel mondo del cinema. Siamo ormai arrivati alla fine del travagliato percorso di questo prodotto televisivo ed è tempo di tirare le somme. La serie Netflix non ottenne il successo sperato inizialmente e, dopo la seconda stagione, venne cancellata. Le ragioni dietro questa scelta furono molteplici. Non è che Sense8 fosse priva di seguito, ma i costi di produzione erano molto alti. Sebbene il progetto fosse sotto la direzione delle sorelle Wachowski, diversi registi erano stati coinvolti nella realizzazione della serie, principalmente per problemi logistici: le riprese si erano difatti svolte a San Francisco, Chicago, Londra, Nairobi, Seoul, Città del Messico, Reykjavík, Berlino e Mumbai. Nonostante l’affezionatissimo gruppo di appassionati, gestire una simile produzione richiede degli incassi da record, che purtroppo non sembrano esserci stati. Tutto sembrava perduto quando venne annunciata la cancellazione della terza stagione, ma un racconto come quello messo in piedi dalle prime due stagioni di Sense8 non poteva essere abbandonato senza una degna conclusione. Fu grazie alla passione dei fan che la serie ebbe un’altra possibilità, tempestati dalle richieste di chi non sopportava l’idea di un brusco addio al Cluster di Homo Sensorium, Netflix ha acconsentito ad un lungometraggio conclusivo, per tirare le fila del racconto in 2 ore e 30 minuti.
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Un’eredità importante
Sense8 non è una serie come tutte le altre. Il fatto che sia associata al cognome Wachowski dovrebbe di per sé essere una garanzia della sua qualità. Stiamo parlando delle stesse persone che ci hanno consegnato film del calibro di Matrix, una pellicola in grado di modificare per sempre il medium cinematografico tanto quanto la percezione del mondo. Al centro dei racconti di questa incredibile accoppiata registica c’è quasi sempre la libertà e Sense8 non fa eccezione, portando questo concetto verso la sua massima espressione sia in termini astratti, sia in applicazioni concrete. Riguardando indietro, appare evidente come esista un collegamento più o meno diretto tra le opere di questi registi, che giunge al suo climax proprio con questo Sense8. Comincia tutto con Matrix, dove la prima grande prigione da cui evadere è la propria mente. Solo rinunciando a tutto quello che sa Neo potrà liberarsi dalla sua costrizione mentale, solo aprendo la sua mente all’ignoto riuscirà a comprendere di aver vissuto prigioniero di una bugia, piena di succose bistecche, ma pur sempre una bugia. Ho sempre considerato quella di Matrix una bellissima metafora su come spesso tendiamo a vivere una vita fasulla, quasi artificiale, prigionieri delle bugie che raccontiamo a noi stessi, troppo timorosi per scrutare sotto la superficie ribollente del nostro animo più profondo. Dopo Matrix viene Cloud Atlas, una storia che racconta di come le nostre azioni e vite siano intrecciate nel tessuto del tempo, un racconto sul concetto di responsabilità dove ogni azione buona o malvagia, è un istante inequivocabile del tutto, con le sue conseguenze a lungo e breve termine. Un racconto spesso sottovalutato che tocca tematiche molto interessanti, cercando di dare un significato a quel deterministico turbine di eventi che è la storia dell’umanità, collegando passato presente e futuro attraverso ciò che ci viene lasciato, siano essi libri, video o sinfonie. Anche nel caso di Cloud Atlas viene ribadito il concetto della libertà, vista come un inarrestabile forza di rivoluzione opposta al freddo potere dello status quo. Solo dopo queste due digressioni arriva infine Sense8.
Oltre la barriera fondamentale
In questo progetto, più che in qualunque altro, la libertà è protagonista del racconto. Stiamo parlando di un concetto di libertà che supera quasi tutte le frontiere concepibili, che mette in discussione i dogmi e le sicurezze di una società che inizia a scoprire sé stessa attraverso rivoluzioni sessuali, concettuali ed ideologiche. Protagonisti della storia sono i Sensate o Homo Sensorium, una tipologia di esseri umani sviluppatasi parallelamente agli Homo Sapiens e identici nell’aspetto, che però hanno alcune caratteristiche particolari. I Sensate si dividono in Cluster, ovvero gruppi formati da 8 individui nati tutti lo stesso giorno. Non importa quanto siano fisicamente distanti l’uno dall’altro, questi Homo Sensorium possono condividere pensieri, emozioni ed esperienze. Hanno la capacità di “visitarsi” telepaticamente, come se si proiettassero l’uno nella stanza dell’altro e condividono dolori, gioie e piacere. Durante la prima stagione della serie impareremo a scoprire le loro abilità, conosceremo nel dettaglio i vari personaggi e scopriremo come ognuno di loro abbia diverse attitudini e tendenze. Il legame tra queste persone è estremamente potente, essendo a tutti gli effetti un unico essere con una coscienza collettiva, pur mantenendo la loro individualità. Questo è il concetto di base dietro a Sense8: un gruppo di esseri umani capaci di andare oltre la barriera dell’ego. Quando puoi vedere la vita dal punto di vista di un altro sei ancora la stessa persona? È la condanna di tutti noi esseri umani quella di spendere la nostra vita nella solitudine. Dalla nostra nascita fino alla nostra morte siamo un’entità ben distinta dal mondo che ci circonda. I contatti con le altre persone sono filtrati attraverso i nostri sensi, attraverso la nostra conoscenza del prossimo e attraverso l’interpretazione che riusciamo a darne. Infranta la barriera dell’io (insomma, distrutto l’A.T. Field), tutte le altre convenzioni iniziano a crollare miseramente. Che si parli di omosessualità, musica, adulterio, amore o distanza non conta.
Pillola blu o pillola rossa?
Questa serie vi metterà di fronte ai vostri pregiudizi esorcizzandoli con la sola potenza dell’empatia, in una celebrazione quasi assoluta dell’amore senza confini, siano essi di razza, di genere o di esclusività. Siamo chiari: lo show non critica la monogamia, l’eterosessualità o l’omosessualità, ma sottolinea invece la bellezza della libertà di scelta, in ogni sua forma. Purtroppo però, proprio per via delle sue larghissime vedute, Sense8 non è uno show adatto a tutti. È necessaria un’apertura mentale molto ampia per accettare tutto quello che viene proposto nella serie. Si è messi davanti a una scelta: si può scegliere di prendere la pillola blu e serrare la mente dietro la convinzione di conoscere il confine tra giusto e sbagliato. Disgustare le scene di sesso che coinvolgono gli otto membri del Cluster, giudicare personaggi come Nomi che, dopo aver cambiato sesso ed abbandonato il nome Michael, s’innamora di una ragazza di nome Amanita, e persino prendersela con Riley Blue per il suo stile di vita festaiolo e la scelta di essere una DJ. Oppure si può prendere la pillola rossa e seguire le vicende di queste persone, cercando di comprenderne le motivazioni e scoprire quanto profonda sia la tana del bianconiglio, fatta di sentimenti potenti e contrastanti che non temono di assecondare le pulsioni proprie dell’esistenza umana. Non si tratta di una scelta facile, nessuno è ben disposto all’idea di mettere in discussione la propria visione del mondo e, molto spesso, è più facile crogiolarsi in riflessioni meno impegnative di queste. Per quanto bella potesse essere la realizzazione di questa serie, non è una sorpresa il fatto che le visualizzazioni siano state al di sotto delle aspettative. Forse Sense8 ha commesso l’errore di essere troppo in anticipo sui tempi, troppo proiettata verso un futuro che per noi è ancora lontano.
Un’impresa titanica
Scrivere Sense8 dev’essere stato molto complicato. Si tratta di un lavoro orchestrale, una gestione contemporanea di tanti personaggi diversi, interconnessi tra loro nei modi più impensabili. Similmente a Game Of Thrones, la serie ha sparso le sue riprese su tutto il mondo, coordinandosi per un montaggio finale che fosse coerente con quello che la trama voleva raccontare. Un’impresa a dir poco titanica. Immaginate quanto potesse essere difficile tirare le somme di due densissime stagioni televisive in un lungometraggio di due ore e mezzo. Cosa serviva alle sorelle Wachowski per riuscirci a parte un miracolo? Armi, un sacco di armi. Come da tradizione, il lungometraggio finale di Sense8 segue una struttura narrativa tipica del mondo cinematografico. Si potrebbe dividere perfettamente nei classici tre atti narrativi di un qualunque film. Dopotutto, la soluzione utilizzata per risolvere la maggior parte dei problemi è, come avrete capito, l’azione. Le due ore e mezza che costituiscono il finale di questa serie TV sono caratterizzate da un frenetico alternarsi di dialoghi e scene d’azione. Il primo atto ha una funzione assolutamente riassuntiva. Ci viene mostrata la situazione del Cluster esattamente come l’avevamo lasciato alla fine della seconda stagione, con tutti i nodi che furono lasciati in sospeso ancora da sciogliere. Il gruppo è riunito, pronto a organizzarsi per la resa dei conti con la malvagia BPO. Con un prigioniero per parte sarà necessario mettere in scena uno scambio per poter salvare la situazione. Vediamo anche riapparire molti dei personaggi secondari tra cui i membri di altri Cluster e gli amici Sapiens che già avevamo avuto modo di conoscere durante le due stagioni precedenti. Non c’è una sola interpretazione che sia al di sotto delle aspettative. Gli attori sono incredibilmente affiatati e sebbene il tempo sia poco, ognuno di loro riesce a brillare in una qualche scena più che in un’altra.
La corsa contro il tempo
Il tempo stringe sulla produzione come una morsa spietata. Alcuni personaggi, in particolare Riley e Capheus hanno avuto molto poco tempo sullo schermo, anche per via della loro “limitata” utilità combattiva. Perché purtroppo il combattimento e il conflitto contro la BPO ed il malvagio Whispers sono il motore della narrazione. Tantissime delle profonde sfumature psicologiche vengono accantonate per permettere alla storia di giungere alla sua conclusione. Tutti i conflitti che possono essere risolti con una sparatoria saranno risolti con una sparatoria e, contemporaneamente, tutte le sfaccettature misteriose dietro al mondo dei Sensate verranno spiegate senza troppe cerimonie. Nelle due ore e mezzo messe a disposizione delle sorelle Wachowski è lampante la necessità di tagliare corto ma al contempo, si concede dignità al mondo creato nelle due stagioni precedenti. È davvero molto triste sbirciare in tutte queste bellissime idee mai esplorate fino in fondo. Basti pensare al personaggio di Angelica, sul quale si era costruito un bellissimo mistero durante le prime due stagioni che viene poi sdoganato tutto in una volta, senza troppi complimenti per ragioni di tempo. È evidente come ci fosse ancora un sacco di materiale creativo che è stato inevitabilmente mutilato per trovare spazio nel breve film. Arrivati alla fine della pellicola tutto è chiaro e tutto è spiegato. Non ci sono domande lasciate aperte e non ci sono sentieri inesplorati. La storia di Sense8 è conclusa.
Una festa per i sensi
Ad essere davvero incredibili sono la fotografia e la gestione della macchina da presa. Stiamo parlando di un concitato film d’azione in cui gli otto protagonisti possono essere contemporaneamente in otto posti diversi. Nonostante questo, le inquadrature svolgono perfettamente il loro lavoro. In quasi tutte le scene d’azione sarà possibile capire che cosa stia succedendo, chi sta facendo cosa e in che modi, fatta eccezione per un paio di momenti molto concitati, dove la confusione sembra essere quasi voluta, tanto che i personaggi stessi ribadiranno di non sapere dove si trovi chi. Vorrei potervi parlare del paese nel quale sono svolte molte delle riprese, raccontando per filo e per segno quanto alcune inquadrature siano tanto belle quanto un quadro, ma rivelare l’ambientazione degli eventi rischierebbe di spoilerare molte delle vicende. Mi limiterò a dire che gli scorci proposti dalle diverse location accompagnano il ritmo del film in una bellissima gestione del colore che si accosta tanto allo svolgersi della trama tanto quanto alla colonna sonora. I colori in questo film sono espressioni emotive, che permettono di immergersi ancora più profondamente nelle emozioni del Cluster. Musica, colore e trama si muovono di pari passo verso un finale che è un inno alla libertà e alla vita, oltre le barriere del perbenismo e dell’accettabile. Un Vive la révolution che ha il sapore di un grosso e ribelle dito medio all’ordine stabilito delle cose.