Todd Howard contro tutti: la deriva online di Fallout 76 può davvero funzionare?

Fallout 76

Con buona pace del mio uomo, faccio coming out e confesso apertamente: il mio corpo, cuore e portafogli appartengono a Bethesda e a Todd Howard.

Io, come molti di voi, mi sono ritrovata assalita da mille dubbi quando quel gran figo di Howard annunciò platealmente alla #BE3 che Fallout 76, il nuovo capitolo della mia serie preferita in assoluto, sarà “completamente online” e che “ci sono i missili nucleari da lanciare, potete farci quello che volete”, con quel sorrisetto che lo avvicinava non poco al Pepe the Frog dei tempi andati. L’Internet tutto, ovviamente, si è scatenato, spinto da un urlo univoco: “Oh mio dio, non l’ennesimo battle royale!”. Effettivamente, guardandomi intorno e intrufolandomi in varie conversazioni, virtuali e non, mi sono accorta di come ogni rimostranza alla fine si riversasse in quell’unica grande preoccupazione, unita al fatto che gli aficionados si vedranno stravolta la narrativa e meccanica di una delle saghe più individualiste del panorama degli RPG. Pur unendomi alla frotta di giocatori dubbiosi, e temendo una brutta fine per la mia saga preferita, oggi voglio fugare tutte quelle perplessità sorte a proposito di Fallout 76, invitando tutti a riporre, per una volta, piena fiducia nel lavoro di Todd Howard e del suo team di mostri sacri, perché la passione e la cura che ci hanno messo stavolta è più che tangibile, e si può chiaramente vedere negli scintillanti occhioni da cucciolo di Howard alla conferenza dell’E3. E mettiamoci subito nell’ottica che quegli stessi dubbi che ci poniamo tutti noi come pubblico sono gli stessi che hanno accompagnato tutto il team di Bethesda durante ogni singola fase di sviluppo. Sono loro i primi ad innamorarsi del gioco, sono loro i primi ad avere paura di come evolveranno le cose; nessuno di loro vuole essere distante da noi.
Ergo, cominciamo subito questo viaggio tra ironia, pessimismo e perplessità.

Come at me, bro.

Microtransazioni, not again

Partiamo dal più facile. Ormai qualsiasi giocatore, sentendo parlare di microtransazioni in un titolo tripla A pensa istantaneamente al sistema di loot box venuto alla ribalta con il caso Star Wars: Battlefront II, o all’acquisto di DLC a parte indispensabili per il proseguimento del gioco principale, ma niente paura: il Development Director Chris Mayer, ai microfoni del canale YouTube NoClip, ci assicura che esse riguarderanno solo oggetti cosmetici per il giocatore (come skin o decorazioni per le armature et alter) e oggetti estetici per le basi, i quali saranno comunque ottenibili durante il gameplay. Quindi possiamo immediatamente considerare scongiurato il rischio di veder tramutato Fallout 76 in un pay-to-win, e vi dirò di più: ci sentiremo addirittura spinti a comprare skin e oggetti, poiché Mayer ha chiarito che i guadagni delle microtransazioni verranno spesi interamente per il mantenimento dei server e per lo sviluppo di aggiornamenti e DLC periodici completamente gratuiti per i giocatori in modo tale da aumentare di volta in volta il ciclo di vita del gioco, rimanendo comunque ancorati al mood generale dei giocatori sul campo. Good game, Bethesda.

Giù le mani dal mio server!

Parlando del diavolo, una delle preoccupazioni principali da parte dei giocatori riguarda proprio la gestione dei server multiplayer e di come tale caratteristica influisca sulla godibilità del gameplay: come posso godermi io, giocatore individualista/elitario, un gioco in cui la mia avventura da Lone Wanderer è continuamente interrotta da rompiscatole pronti a farmi la pelle da un momento all’altro? Stavolta è lo stesso Todd Howard a dirci che i server conterranno al massimo 24 giocatori per sessione, e che Fallout 76 è concepito essenzialmente come un co-op per 4 persone a squadra; inoltre non si parla minimamente di modalità offline, e il gioco al lancio non prevederà inizialmente dei server privati. Ma mettiamo a posto i forconi: il team di Bethesda ha intenzione prima di comprendere come creare un servizio abbastanza robusto ed efficiente per poter gestire lunghe sessioni di gioco multiplayer, per poi offrire la possibilità a tutti di metter su dei server privati ed infarcirli di mod. E tutti sappiamo quanto Todd Howard adori le mod, quindi negare tale possibilità ai giocatori sarebbe insensato alla base. All we need is just a little patience.

E la trama dov’è?

Veniamo ad uno dei punti più corposi della questione. Da quel poco che si è potuto desumere dai trailer rilasciati da mamma Bethesda e dalle parole di Howard all’E3, ci troviamo nel 2076, 25 anni dopo lo scoppio della guerra nucleare. L’America è completamente distrutta e i cittadini si sono rifugiati nei Vault, enormi rifugi anti-atomici sotterranei provvisti di tutto il necessario per garantire una vita tranquilla e felice ai loro abitanti finché la Terra non si fosse rivelata abbastanza sicura dalle radiazioni per poter permettere la ricolonizzazione. Il Vault 76, situato nel West Virginia, è il primo ad aprirsi, in occasione del tricentenario degli Stati Uniti d’America, ed il giocatore dovrà cooperare con gli altri giocatori per poter ricolonizzare efficacemente il mondo distrutto.

Già da questo punto non solo possiamo capire come la componente multiplayer si leghi alla storyline principale, ma anche come essa sia l’anima stessa della trama: stiamo parlando di un Fallout in cui non è l’ambiente a manipolare il giocatore, ma è il giocatore che costruisce l’ambiente in cui vive, e per poterlo fare in maniera efficace ha bisogno di una squadra i cui membri siano specializzati in determinati ambiti, come la cucina, la creazione di oggetti, et ceteram. Insomma, un Lone Wanderer non più tanto Lone.

E a proposito del setting, tanti giocatori si sono chiesti perché diavolo in un mondo distrutto dalle radiazioni il West Virginia, dopo soli 25 anni, sia così verde. Beh, è presto detto; come racconta lo Studio Director Ashley Cheng, nella creazione della mappa di gioco, è stato operato un ragionamento molto semplice: con tutte le grandi città che ci sono in America, nessuno toccherebbe mai uno stato pieno di foreste sconfinate e piccoli villaggi come quello. Inoltre il West Virginia si incastra perfettamente, per via di alcune sue peculiarità, con la LORE generale della saga: si tratta, infatti, di uno dei principali produttori di carbone degli Stati Uniti, e l’atmosfera creata dalle fabbriche contribuisce a regalare al posto un feeling post-apocalittico; e ancora il piccolo stato è oggetto di teorie cospirative e strani avvenimenti, oltre a presentare in sé luoghi bizzarri ed abbandonati -come fari in mezzo alla foresta e città fantasma-. Infatti gran parte del West Virginia è oggetto della National Radio Quiet Zone, ovvero una vasta area in cui le trasmissioni radio e l’uso di apparecchiature satellitari sono proibiti per favorire la ricerca scientifica negli istituti che vi rientrano; inoltre sotto al Greenbrier Hotel (un lussuoso resort in mezzo alla catena montuosa degli Allegani) è situato un bunker antiatomico riservato al Congresso degli Stati Uniti, costruito durante la Guerra Fredda. Infine si vocifera che nel piccolo stato americano scorrazzino tranquillamente i criptidi da cui il “Mistero” dei tempi d’oro trasse le sue puntate di successo, come il mostro di Grafton, il mostro di Flatwoods, lo Snallygaster (un mostro metà drago e metà uccello) e il famosissimo Uomo-Falena. Da tutti questi elementi il team di Bethesda ha tratto ispirazione per la creazione dei luoghi esplorabili, di alcune quest principali e dei mostri di Fallout 76.

Ma, come tutti ben sappiamo, non sarebbe un buon RPG senza qualche NPC che viene a romperci le scatole durante la partita, magari dicendoci che c’è “un altro insediamento che ha bisogno di aiuto”, e veniamo qui ad un altro punto critico del gioco: dove sono i cari vecchi Predoni, la Confraternita d’Acciaio o anche solo le Legioni di Cesare?

Beh, è presto detto: in un mondo da ripopolare e dove le interazioni umano-umano sono interamente regolate dal multiplayer, creare fazioni di NPC umani ha di per sé poco senso; dall’altra parte, inoltre, come spiega il Lead Artist Nate Purkeypile ai microfoni di NoClip, il combattimento con i personaggi governati dall’intelligenza artificiale è uni dei pilastri centrali di Fallout. Ed ecco che si ovvia al problema creando i “Bruciati” (Scorched), ghoul ferali abbastanza intelligenti da poter usare pistole ed armi da fuoco contro i giocatori.

Insomma, contando il fatto che si parla di una mappa grande 4 volte rispetto a quella di Fallout 4, ci sono tutti i presupposti per una linea narrativa da urlo, tutta da scoprire con ore di gioco infinite da svolgere, finalmente, con la compagnia di qualche amico.

Ennesimo battle royale?

Si sa, su Internet non siamo tutti amici, e anzi la prima scusa è buona per scatenare flame gratuiti di proporzioni anche esagerate, in cui il tutti contro tutti è la principale linea d’azione; tale tendenza si è mostrata pienamente con il boom dei battle royale à la Fortnite. Se in uno schema come questo infiliamo il fatto che stiamo parlando di un gioco in cui si possono conquistare basi nucleari e bombardare gli altri giocatori, le rimostranze si moltiplicano in maniera esponenziale; del resto, nessuno vuole che Fallout cambi le carte in tavola semplicemente per seguire quella che è la moda del momento, e nessuno vuole un gioco in cui ogni sforzo di costruirsi un insediamento 4 stelle pieno di ogni comfort e armata fino all’inverosimile venga vanificato dal primo invidioso in possesso del codice di una base missilistica. Lo stesso Todd sa che ogni giocatore rappresenta un sistema a sé che non può essere controllato, ma il suo fine ultimo è proprio quello di vedere cosa succede quando tutti questi sistemi collidono insieme, per poi trovare eventuali problemi a cui ovviare. Sicuro, in una decisione come questa, gioca una punta di sadismo di fondo da parte del Game Director, e glielo si lesse letteralmente in faccia quando annunciò la feature delle basi nucleari durante la conferenza tenuta all’E3.

Ma niente paura, anche i sadici hanno un cuore d’oro. Howard ha concepito Fallout 76 come una guerra nucleare ciclica capace di mutare in continuazione la morfologia dell’ambiente. Il sistema di nuking infatti mira a cambiare ciclicamente il terreno di gioco, aggiungendo nuovi biomi da esplorare e nuovi oggetti e ricompense da trovare. Ma non solo: ottenere i codici di sblocco delle basi nucleari non sarà così facile come si possa inizialmente credere; nelle intenzioni del team di sviluppo, infatti, quella sarà la parte più difficile, riservata esclusivamente ai giocatori più abili e skillati. E se un giocatore muore? Nessun problema, niente di ciò che avremo con noi verrà perduto e verremo semplicemente respawnati in un luogo vicino, e ciò è un bene, in quanto limita la possibile frustrazione del giocatore durante l’esperienza.

Fallout 76 si presenta come un Overwatch integrato dalla componente survival tipica di un Minecraft, in cui il focus principale è il giocatore e ciò che egli vuole fare durante l’esperienza di gioco. E no, non si tratterà dell’ennesimo battle royale, quindi giù i forconi. Comprendo i dubbi dei giocatori, poiché sono gli stessi che mi sono posta io in quanto appassionata e sono gli stessi che hanno animato l’intero team di sviluppo, ma l’eccessivo livore che permea la community online mi fa pensare ad una seria disinformazione a riguardo. A parte una buona camomilla, consiglio la visione del documentario sul making of di Fallout 76 realizzato da NoClip e della parte di E3 relativa al gioco. Saltare subito a conclusioni affrettate bombardando di insulti un gioco di cui non abbiamo avuto esperienza e di cui sappiamo ancora poco è una grave mancanza di rispetto nei confronti del lavoro di Todd Howard e del suo team: hanno deciso insieme di buttarsi nella nuova esperienza del multiplayer e sanno che il tiro andrà continuamente aggiustato. E noi, se proprio avessimo delle rimostranze preventive da fare, dovremmo accantonare le ostilità tipiche della Rete ed esprimerci attraverso l’ironia dei meme, che a quanto pare a Todd piacciono tanto.