Nel vasto e complesso universo di Warhammer 40.000, gli Inquisitori sono gli agenti di rango più alto fra le fila dei Sacri Ordini dell’Inquisizione Imperiale, un’organizzazione segreta posta al di fuori dell’ordinaria gerarchia amministrativa dell’Imperium degli Uomini che funge da polizia segreta agli ordini diretti dell’Immortale Dio Imperatore dell’Umanità, il cui scopo è quello di garantire la sicurezza degli esseri umani respingendo la corruzione del Caos, le demoniache minacce provenienti dal Warp, le eventuali diatribe interne e gli indicibili pericoli costituiti da razze aliene ostili e intelligenti quali Orki, Tiranidi, Aeldari, Necron e Tau. Le intenzioni del nuovo action RPG degli ungheresi NeocoreGames, che in molti ricorderanno per la brillante trilogia di Van Helsing e per i due capitoli di King Arthur: The Role-Playing Wargame, prolifico e apprezzabile ibrido fra strategico e gioco di ruolo, sono limpide come una salva di Torpedini Cicloniche sparate nell’atmosfera di un pianeta durante un Exterminatus: calarci nel ruolo di un portavoce supremo dell’Inquisizione e perlustrare le remote profondità del settore Caligari, una regione antica e dimenticata ai margini del Segmentum Tempestus la cui estrema lontananza dalla luce guida dell’Astronomican lo ha trasformato nel covo ideale per criminali, eretici, xenos e nefandezze assortite che emergono a frotte dai sovraccarichi del Warp. Se questa fiumana di nozioni provenienti dall’articolato folclore del wargame prodotto da Games Workshop non significa alcunché per voi, non dovete preoccuparvi: tutto ciò che viene richiesto da Warhammer 40.000: Inquisitor – Martyr, proprio in virtù della sua natura, è quello di scatenare una valanga di fendenti, proiettili, raggi mortali e poteri psichici su tutto ciò che vi si parerà dinanzi senza farvi troppe domande o consultare esaustivi codex di riferimento… del resto, tale è l’ordalia che ricade sulle spalle degli Inquisitori, la conoscenza è meglio lasciarla in mano agli Abati della Schola Progenium.

Miliardi di vite dipendono dalle nostre azioni…
La campagna per giocatore singolo è la prima delle varie modalità proposte da Inquisitor – Martyr, e si snoda lungo cinque capitoli ambientati nel suddetto settore, dove un perpetuo conflitto fra creature di ogni specie ha richiesto l’intervento degli Ordini e noi, in qualità di ambasciatori corazzati, dovremo riportare pace e ordine con dosi massicce di fuoco pesante indagando nel frattempo sull’origine di cotanta devastazione. Il senso estetico distintivo dell’ambientazione di Warhammer 40k, che amalgama fantascienza classica e influenze gotico/medievaleggianti, viene trasposto con sapienza in questa interpretazione digitale e trapela già nel corso delle primissime battute che si svolgono a bordo della titolare Martyr, un mastodontico monastero-fortezza (apparentemente) abbandonato nel quale possenti colonne, archi rampanti, mosaici di vetro, guglie e contrafforti si mescolano con i cupi riflessi del metallo brunito, la freddezza delle strutture industriali e le impetuose esplosioni delle raffiche di plasma. La storia è lineare e funzionale, infarcita di violente ribellioni, sanguinari cultisti, fazioni avverse e complotti che ribollono al di sotto della superficie in un fitto intreccio melodrammatico che spesso trascende nel pacchiano, attributo peraltro ben riprodotto dell’ambientazione cartacea originale, con l’aggiunta di un nutrito assortimento di personaggi non giocanti che accompagnano ciascuna missione con i loro commenti al fulmicotone, intrecciandosi con la narrazione ad alta voce del protagonista. L’unica, vera pecca dell’avventura è l’impossibilità di poterla affrontare in gruppo con qualche altro amico, limitandola così a una sorta di prolisso tutorial obbligatorio per accedere a quant’altro il titolo ha da offrire. Le tipologie di inquisitore fra cui possiamo scegliere sono tre: il Crociato, una lenta (a volte fin troppo lenta, soprattutto in mischia) ma inesorabile macchina da guerra dell’Ecclesiarchia che compensa la scarsa agilità con un armamentario di tutto rispetto, l’Assassina del Culto della Morte, che fa del sotterfugio e dei rapidi attacchi furtivi la sua carta migliore, e lo Psicoide Primaris, che piega l’instabile energia del Warp al suo volere rivolgendola contro i nemici dell’Impero, tutti e tre dotati di altrettante specializzazioni e conseguenti alberature di abilità passive che migliorano in maniera più o meno significativa le loro prestazioni in battaglia, mentre i colpi speciali sono governati dall’equipaggiamento selezionato prima dell’inizio di ogni livello e richiedono, di conseguenza, un’accurata pianificazione preliminare: sebbene tale approccio sia sufficientemente originale e contribuisca a differenziare in maniera concreta le armi e le armature recuperate piuttosto che ridurle ad accessori cosmetici dotati di bonus assortiti alle caratteristiche, il rovescio della medaglia è rappresentato dall’impossibilità di sostituire l’attrezzatura in corso d’opera, e dunque buona parte del fascino di questa tipologia di giochi, derivante dai continui raffronti fra quanto portiamo indosso e quanto abbiamo appena conquistato dopo l’uccisione di un mostro o il ritrovamento di uno scrigno nascosto, in Inquisitor – Martyr semplicemente non c’è. In teoria, questa peculiarità dovrebbe incentivare la sperimentazione, fornendo opzioni offensive sempre nuove e un motivo in più per esplorare le mappe da cima a fondo, ma in pratica la reale efficacia delle decine di varianti di fucili Requiem, spade potenziate e pistole laser, e in particolar modo il tipo di danno elementale inflitto, può essere constatata solo una volta scesi in campo, con il rischio di essere costretti ad affrontare orde di avversari senza gli strumenti più adatti per danneggiarli. Il dilemma perciò si pone sempre tra la sicurezza di una combinazione affidabile e la voglia di collaudare qualche giocattolino nuovo di zecca: se non altro, la facoltà di impostare due diverse configurazioni ci permette di portare con noi un set già consolidato e uno più “fresco” la cui effettiva utilità risulta ancora tutta da verificare.

…e non possiamo permetterci il lusso di tenere il conto
Lo scenario ben presto si sposta dalle imponenti pareti della Martyr alle colonie esterne, ai pianeti limitrofi e agli altri sistemi solari che compongono il settore Caligari, accordando di conseguenza l’ingresso verso un quantitativo impressionante di livelli procedurali, peraltro dotati di mini storie supplementari, in grado di mettere a dura prova anche gli avventurieri più navigati: ciascuna missione viene infatti classificata con un indicatore che ne misura la potenza in relazione al nostro equipaggiamento e, nel caso in cui il confronto si riveli svantaggioso, impone tanto un bonus ai danni per i nemici quanto un malus alle resistenze per noi qualora decidessimo comunque di affrontarla. Per ovviare a tale inconveniente, è necessario un costante lavoro di rifinitura sugli strumenti del mestiere ritrovati, forgiati o acquistati per migliorarne il rendimento e azzerare o ribaltare l’handicap, nonché una regolare valutazione degli oggetti da portare con noi in battaglia perché, sebbene il valore di efficienza sia una stima in termini assoluti, è probabile che in certi frangenti sia molto più conveniente ripiegare su una dotazione meno performante ma che contrasti meglio le resistenze degli avversari. Gli ulteriori extra a nostra disposizione spaziano dalla possibilità di generare ulteriori missioni casuali bilanciando la difficoltà grazie alla consultazione di un potente artefatto psichico chiamato il Mazzo di Tarocchi di Uther, a una estremamente riduttiva modalità per due giocatori che permette a un amico di accompagnarci nella caccia agli eretici, senza però concedergli la possibilità di creare e gestire un personaggio da zero, oppure dai classici scontri PvE e PvP online agli eventi giornalieri e mensili, con la promessa già più volte ribadita di introdurre a breve una serie di ricompense stagionali alla stregua di Destiny e Diablo 3. Di ambizione ce n’è davvero tanta, il problema è che gran parte del materiale sembra essere stato incorporato senza un vero e proprio controllo di qualità: il sistema di copertura, ad esempio, ci permette di trovare riparo temporaneo dalla gragnola di proiettili nemici dietro un certo numero di barriere come mucchi di detriti e barili ma non, come forse sarebbe stato più logico aspettarsi, dietro le compatte paratie delle navi che stiamo esplorando, e ci lascia in ogni caso alla mercé degli attacchi che provengono da angoli favorevoli o delle devastanti granate, mentre la soppressione, che vorrebbe replicare lo stress fisico e mentale dei combattimenti, infligge gravi penalità a quanti decidono di indulgere troppo a lungo in mischia il che, per una classe come il Crociato le cui armi sono focalizzate perlopiù sul corpo a corpo, significa buona parte del tempo. Inquisitor – Martyr sembra avere insomma una sadica tendenza a punire i giocatori che tentano di approfittare delle caratteristiche dei propri personaggi. Il motore grafico del titolo è il CoreTech3, versione aggiornata di quello che ha dato vita al precedente Van Helsing il quale, nonostante l’abbondanza di elementi del fondale distruttibili (non moltissimi, in verità) e un indubbio miglioramento complessivo degli algoritmi che gestiscono gli shader, si comporta in maniera egregia anche su console, dove il controllo diretto del personaggio aiuta a immergersi maggiormente nell’azione (ma qui rientriamo nella sfera delle preferenze personali). Di contro, il puntamento assistito degli avversari spesso non funziona come dovrebbe, e l’esecuzione improvvida di abilità speciali che richiedono una portata ridotta comporta lo spostamento automatico dell’inquisitore anche qualora sia in copertura, ponendolo in situazioni piuttosto scomode per il suo benessere. Le comunicazioni trasmesse attraverso lo speaker del DualShock 4 sono un tocco simpatico, mentre il touchpad non trova altro utilizzo che quello di pulsante supplementare e la maggiore potenza di calcolo della PlayStation 4 Pro viene sfruttata in due configurazioni distinte: una che favorisce la risoluzione 4K e viaggia a 30 frame al secondo, e un’altra che invece gira a 1080p con un framerate a 60 fps e una piccola dose di effetti visivi aggiuntivi.

Inquisitor – Martyr tenta disperatamente di tracciare una propria identità manipolando alcune delle caratteristiche salienti del genere, e lo fa con un’offerta incredibilmente estesa di contenuti di ogni tipo che provano a spezzare il tedio di una formula ormai trita e ritrita. Tuttavia, Neocore non ha tenuto conto del target di utenza che apprezza oltremodo la ripetizione di tali schemi, se calibrata con una certa oculatezza, e non ha concesso alle meccaniche inedite introdotte il favore di un playtesting più approfondito che potesse raffinarne a dovere l’implementazione, facendole sembrare così una postilla dell’ultimo minuto piuttosto che un aspetto meritevole di credito. C’è tanta carne al fuoco in questa ennesima incarnazione digitale dell’universo tecnogotico di Warhammer 40.000, e il suo aspetto è corposo e succulento, ma l’ossessiva ricerca dei condimenti ritenuti più apprezzabili per il palato degli estimatori ha finito per comporre un piatto dove la quantità domina nettamente sulla qualità, e quest’ultima viene diluita in mezzo a una moltitudine di bocconi poco sapidi. La ricostruzione della tetra cosmogonia distopica di Games Workshop presenta occasionali vette di eccellenza, in particolare per la resa visiva dei claustrofobici corridoi appestati dall’interferenza maligna delle forze dell’Immaterium ma, proprio come la marcescente contaminazione che gli inquisitori sono chiamati a debellare, la sua natura caotica e difforme può stancare molto in fretta. Inoltre, i limiti della modalità cooperativa su console gli impediscono di proporsi come valida alternativa per le serate tra amici, ma ci sono buone speranze che la casa di Budapest riesca a integrare, almeno in parte, le lacune del gioco con qualche robusta patch nell’immediato futuro.