L’uomo che uccise Don Chisciotte Recensione, un mito letterario sul grande schermo

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L’uomo che uccise Don Chisciotte non è un semplice film: è l’obiettivo di una vita intera, un’opera d’arte su pellicola che diventa finalmente realtà, un progetto in gestazione per quasi trent’anni, un lungo sogno iniziato nel lontano 1989 e, finalmente nel 2018, divenuto tangibile e compiuto, benché onirico nel midollo stesso, come raccontiamo nel nostro speciale sul film. Il regista Terry Gilliam, a quasi ottant’anni, risulta ancora più visionario che ai tempi, mai dimenticati, dei Monty Phyton, per regalarci un momento di poesia pura, di eroica cavalleria, in cui la follia rende liberi. Un cavaliere senza macchia e paura lotterà con noi contro i mulini a vento, per diventare, ancora una volta, immortale. Come l’Arte stessa.

L'uomo che uccise Don Chisciotte

Al galoppo Ronzinante, verso nuove mirabolanti avventure!

La premessa narrativa del film attinge a un grande classico della letteratura, ovvero il romanzo d’avventura cavalleresca fantastico El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha, ideato e scritto da Miguel de Cervantes Saavedra nel 1605. Ben lungi però dal voler creare una semplice trasposizione filmica delle pagine di carta, il regista mette in scena qualcosa di completamente diverso, quasi a voler autocitarsi nel primo leggendario film dei Monty Phyton. La scena si sposta infatti ai nostri giorni e ritroviamo una troupe cinematografica intenta a girare un film sulla figura di Don Chisciotte. Un’opera ingenua, giovanile e ricca di grandi speranze, in cui il regista stesso, di nome Toby, rende alcune persone semplici e dall’animo puro delle stelle del cinema, almeno per un piccolo frangente di tempo. Queste sono tratte dalla loro quotidianità di uno sperduto paesino dimenticato nella remota Spagna dell’entroterra. Nulla è per caso, e dieci anni dopo, ritornando sui suoi passi, il regista incontra le stesse persone che, però, a causa del suo film, sono completamente cambiate. L’anziano che era stato designato per recitare la parte del cavaliere senza macchia e paura, ora si crede davvero Don Chisciotte, e questo fattore fa precipitare il regista Toby in un turbine di avventure oniriche, sempre in bilico tra realtà e fantasia. Per chi non conoscesse il romanzo originale, ricordiamo che anche il protagonista letterario, Alonzo Chisciano, va fuori di testa dopo aver letto centinaia di libri d’avventura sui cavalieri.

L'uomo che uccise Don Chisciotte

Metacinema autobiografico; a tratti teatrale, a tratti onirico

Chi conosce la poetica del geniale Terry Gilliam sa bene cosa aspettarsi. Film come Brazil del 1985 hanno chiaramente indicato la strada, ovvero che la fantasia è un modo per fare una critica alla realtà e alle sue innumerevoli contraddizioni; magia del cinema, si dice spesso. Ma se questa magia nascondesse invece una sorta di maledizione? Un regista sognatore che torna sui suoi passi e scopre che i suoi attori debuttanti allo sbaraglio hanno spezzato le loro vite in nome dell’Arte. Dramma e commedia si mescolano. Ma del resto, già dal titolo, lo spettatore più accorto può intuire dove andrà a parare il canovaccio classico, mescolato a brillantini e trasformato in sogno puro. Uccidere una figura immortale è un controsenso diretto. Un vecchietto senza nome, che non sarebbe nessuno, diventa un eroe e, nell’interpretare in un loop mentale e onirico per sempre il suo personaggio, si libera in modo catartico della sua vita anonima e insensata. Gloria eterna nel sogno, dannazione eterna nella vita. Una figura, quella del moderno Don Chisciotte, di cui si potrebbe parlare per ore, e non certo solo per poche migliaia di caratteri in una semplice recensione. Siamo di fronte alla missione stessa dell’Arte, e Terry Gilliam, al culmine di una carriera poliedrica e dalle mille facce, sapendo bene che ogni minima scelta artistica sarà fondamentale e influente per lo spettatore. La pellicola trascende il concetto stesso di metacinema per diventare sogno puro, al pari di pochi altri artisti, quali a esempio il Maestro David Lynch.

L'uomo che uccise Don Chisciotte

L’interpretazione di un ruolo porta all’immortalità dell’anima

Tutto è in un perfetto equilibrio tra realtà e finzione, in un film che è destinato davvero a restare nella storia del Cinema, quello con la C maiuscola. Ci troviamo infatti di fronte a una pellicola che raccoglie l’essenza stessa della poetica di Gilliam trasformandola in iperbole. Con un messaggio di fondo che racchiude in sé una grande lezione. Se la magia del cinema può elevare le persone, allo stesso modo può distruggerle per sempre. Una sorta di doppelgänger fatale. Un innocuo vecchietto, prigioniero per tutta la vita delle sue visioni, è adesso intrappolato nel suo stesso personaggio, che interpreterà sino alla morte. Quante volte, del resto, è successo nel cinema? Tante, forse troppe. John Romero è stato condannato a girare sempre film sugli zombi, a esempio, e la sua opera più ricercata, Bruiser – La vendetta non ha volto, i cui volti bianchi sono rimasti nella mente degli spettatori più attenti, è stata ignorata da pubblico e critica, ma non solo. Pensiamo a quei tanti attori prigionieri del loro ruolo, Leonard Nimoy su tutti, eternamente legato a Spock di Star Trek. Il cinema può divorarti dentro, ci dice velatamente il messaggio del regista, e condannarti all’eterna gloria, assieme alla dannazione perpetua. La frase “Io sono Don Chisciotte della Mancia e vivrò per sempre” suona quasi come un epitaffio, in cui la persona reale che c’è dietro l’attore non riprende mai coscienza di sé, se non nel momento stesso della morte. Questo è davvero grande cinema, ammettiamolo. Il ruolo del cavaliere potrà sempre essere interpretato da qualcuno…

Location e cast, tra castelli incantati e interpretazioni da Oscar

Quello che offre visivamente il film ha pochi metri di paragone, poiché ci fa viaggiare con la fantasia grazie a immagini e località molto ricercate. Si tratta di location uniche, ambienti surreali della Spagna più profonda e remota, letteralmente fuori dal tempo. Uno dei set più belli risulta quello della casa dei mori, che nella magia del cinema, e soprattutto nella fantasia del protagonista, diventa un castello da difendere con le armi bianche. Da notare un particolare importante, ovvero che tutto il film è girato in esterni; i set sono difatti realizzati tutti nel mondo reale, senza alcun teatro di posa. Questa interessante scelta artistica conferisce più realismo: nessuna cosa è rifatta in studio, non sono utilizzati interni posticci ma solo location vere e tangibili, che eventualmente lo spettatore potrebbe anche andare a vedere di persona. Sfarzo, grandi effetti speciali e fantasia, per coprire pochi mezzi e trucchetti dozzinali di repertorio che rendono un pezzo di ferro un’arma cavalleresca e un lenzuolo rosso mosso dal vento le fiamme di un rogo purificatore. Magia del cinema nel cinema, con infiniti giochi tra vero e falso. In mezzo a tutto questo anche protagonisti e comprimari sono caratterizzati in maniera molto forte, con una introspezione psicologica notevole, e risultati molto evocativi. Certo, ci sono personaggi più importanti e altri minori, ma il film non è un assolo, è una vera prova d’artista corale, in cui ogni singolo tassello ricopre un ruolo importantissimo. L’impostazione da metacinema si vede all’improvviso quando meno ce la aspettiamo, come a esempio in un piccolo bar di provincia, quando un barista arrabbiato si rivolge prima agli avventori e poi guarda in camera e sembra coinvolgere noi spettatori.

L'uomo che uccise Don Chisciotte

“Il cavaliere errante senza innamoramento è come arbore spoglio di fronde e privo di frutta; è come corpo senz’anima.”

Nel ruolo di Don Chisciotte troviamo Jonathan Pryce, già protagonista di Brazil e noto per i suoi ruoli in diversi musical, tra cui Evita. L’interpretazione dell’attore è letteralmente eccezionale, e ha una caratura quasi teatrale, basata su mimica e gestualità studiate al millimetro, raramente viste nel cinema moderno. Ma ciò che conta di più è quello che c’è dietro il grande cavaliere, ovvero il particolare che si sa dal primo minuto del film. Non siamo di fronte a una reincarnazione dell’immortale eroe, ma a un uomo semplice, del popolo. L’attore, quello vero, del nostro film, voleva fare da quindici anni questa parte, e ora riunisce tutti i personaggi shakespeariani della sua carriera teatrale. Il personaggio letterario di Don Chisciotte, del resto, è legato a doppio filo a quello cinematografico e al regista. Leggere centinaia di libri sull’argomento cavalleresco porta pian piano a voler diventare cavaliere il lettore stesso, figuriamoci interpretare un tale eroe in un vero film. L’altro protagonista dell’opera, il regista indipendente Toby Grisoni, ha il volto da un attore stralunato ma talentuoso, Adam Driver, che molti ricorderanno per i recenti Star Wars e che qui si trova a interpretare un ruolo surreale che però alla fine diventerà eroico. Non da meno la bravura dell’attrice portoghese Joana Ribeiro, nota in patria per prove televisive e per A Uma Hora Incerta, film del 2015. La sua interpretazione è una delle più toccanti del film, ricca di poesia e alti valori morali. L’umorismo di Terry Gilliam, naturalmente, incarna tutto questo in una prostituta, perché, come sappiamo, è proprio dove meno ce lo aspettiamo che possiamo ritrovare delle lezioni di vita. Angelica è un personaggio profondo e simbolico, la purezza di una ragazzina stregata dal luccicante mondo del cinema, che si trasforma in escort per sopravvivere, pur mantenendo la sua purezza di fondo. Eroina, a suo modo, in un mondo che la vuole per forza vedere come un prodotto da consumare, al pari appunto di un film. Fondamentale il rapporto di quest’ultima con Alexei Miiskin, il barone russo della vodka, che è il classico supercattivo, interpretato dall’attore Jordi Mollà, indimenticabile protagonista di Prosciutto Prosciutto, film del 1992 di Bigas Luna. Alexei e Angelica sono in un vero rapporto D/s, con quest’ultima che è diventata un vero e proprio oggetto di piacere nella mani del suo padrone. Piccoli particolari come il dover pulire gli stivali davanti a tutti o una stanza a tema degna di Cinquanta sfumature di Rosso chiariscono il resto del quadro. Comprimari, dicevamo. Anche questi ultimi risultano caratterizzati in maniera egregia all’interno de L’uomo che uccise Don Chisciotte. Il misterioso gitano ricorda nell’aspetto e nei modi Johnny Deep; per caso, svelerà poi Terry Gilliam parlando del film, anche se l’attore doveva essere presente nella vecchia versione del film risalente al 2000. Un personaggio veramente ben scritto che, nella trama, si rivelerà un vero Deus Ex Machina.

“Nei nidi dell’anno passato non ci sono più uccelli.”

La genialità del film si vede dalle piccole trovate: un attore sposta i sottotitoli con un gesto della mano, una scena semplice ma efficace che fa capire come la magia del cinema sia sempre viva in ogni momento. Tornare dieci anni dopo nello stesso bar, ovvero quello che fa il regista della storia Toby, è una sorta di citazione catartica per quello che sta realmente facendo il vero regista Terry Gilliam. Ogni attimo viene narrato con enfasi elevata e sottolineato da motivi sonori azzeccati a corredo. Evocativa a esempio la musica quasi sacra che si ascolta alla prima scoperta della misteriosa casa in cui abita il novello Don Chisciotte. L’eclettico stile compositivo tipico delle opere di Gilliam rivive in questo nuovo film e, anche se cambiano le ambientazioni, il concetto di base rimane sempre lo stesso. Alla visione lisergica e psichedelica dei colori metallici mescolati a policromie esasperate si sostituisce qui un viaggio inaspettato dell’anima tra scenari bucolici, grandi spazi aperti e sopratutto un’epica avventura cavalleresca. Non solo un grande film in costume, dunque, ma magia del cinema pura, quella magia criticata dal regista ma messa comunque in scena. Un grande classico della letteratura reinterpretato in maniera inedita e artistica davvero ai massimi livelli. Ogni scena resta nel cuore, come gli iconici mulini a vento, semplici strumenti del lavoro contadino, oggi come allora, eppure grandi mostri da sconfiggere agli occhi dell’eroe. La musica spagnola più caratteristica accompagna la lotta coi mulini e diverse altre scene chiave. Ogni cosa viene vista con gli occhi del sogno, un film onirico che porta lo spettatore in un mondo fuori dal tempo. Il cinema di oggi, spinto anche da interessi economici, è legato al reale, e, per dirla con le parole del regista, molto più Sancho Panza che Don Chisciotte, mentre Terry Gilliam è un artista che mette al centro della sua poetica la fantasia, materia prima delle migliori opere letterarie. Tutti i grandi film si basano sulla fantasia, sulla dimensione onirica, e il mondo spesso è quello dei sogni giovanili. Don Chisciotte è l’ultimo grande sognatore, un folle idealista in un mondo di contadini, Sancho Panza invece è quello legato alla realtà, e lo spettatore spesso si trova a scegliere tra le due visioni antitetiche ma complementari.

“L’amore non si può comprare, mio caro Sancho Panza!”

L’uomo che uccise Don Chisciotte, come sappiamo, doveva essere completamente diverso, nella sua prima incarnazione. L’idea era quella di un escamotage narrativo classico, una botta in testa che genera un viaggio nel tempo, facendo tornare i protagonisti nel passato dei cavalieri. Invece ora il film è diventa una sorta di storia alla Frankenstein. Terry Gilliam parte certo dal libro, del resto, come abbiamo detto nello speciale sul film, ma, alla sua rilettura nel 1989, lo trova troppo ricco e pieno di cose da mettere in scena, ma con alcuni concetti universali e morali veramente intriganti. Il regista vuole fare il film da anni, con il soggetto su un semplice vecchio che fa qualcosa e poi muore, una idea originale che cambia col tempo e viene rimaneggiata più volte, anche per motivi tecnici e di fondi monetari. Alcuni anni dopo una prima prova, ecco che arriva l’idea di fare cinema nel cinema, con un film che racconta la realizzazione di un film e le sue conseguenze, e come le azioni del film stesso si ripercuotano sulle persone. Il concetto importante su cui si sofferma il regista è che una pellicola ha un effetto specifico sugli spettatori, e ci sono delle precise responsabilità da parte dei registi sugli effetti che il film ha sulle persone. Un film, qualunque film, deve dare dei valori positivi da seguire, insegnare qualcosa e lasciare dentro allo spettatore un messaggio di fondo, non necessariamente moralistico, ovviamente. E poi ci sono i soldi. Tanti, tanti, tanti soldi, come quelli che si ritrova tra le mani Sancho Panza. Uno spirito libero come quello di Terry Gilliam non poteva che dare la lezione più grande: i soldi influenzano tutto, la realizzazione del film stesso, quello vero e quello della finzione. E se prima dovevano esserci centinaia di comparse, come dice apertamente il regista, ora con cinque pecore e due attori tutto torna magicamente. Uno dei messaggi più belli del film difatti è che i soldi sono effettivamente un falso idolo. Servirebbero anche per pagare una eventuale prestazione di Angelica, ma l’amore non si può comprare. La conquista è quella del cuore, e i sogni non sono mai irrealizzabili.

Man mano che si invecchia si vogliono fare sempre cose nuove e si sperimenta qualcosa di mai provato prima. Questa è la filosofia di Terry Williams, che ha la geniale trovata di far fare al regista la parte dello scudiero, e all’attore quella dell’eroe. La versione definitiva de L’uomo che uccise Don Chisciotte è una pellicola molto più autobiografica rispetto al progetto del passato. Un’opera di elevata caratura artistica, al pari di grandi classici dell’autore come Brazil o Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo, dove il rifugiarsi nel fantastico e vivere di fantasia si rivela catartico. Le buone storie possono vivere per sempre, sembra dirci l’autore, e del resto il grande regista gira sempre lo stesso film, alla ricerca della perfezione. Se amate la poetica di Terry Gilliam, il suo umorismo didascalico e aulico amerete questa piccola grande pellicola sull’amore per il cinema.

Super Fabio Bros, al secolo Fabio D'Anna (ma non diteglielo: ancora soffre perché Facebook lo ha costretto a usare il suo vero nome), è un collezionista leggendario di videogiochi nonché super esperto di retrogaming. Ha organizzato due edizioni della mostra ARCHEOLUDICA ed è Responsabile della Collezione al museo VIGAMUS, ha collaborato con i portali specializzati Games Collection e Retrogaming History. Adora Super Mario, Pac-Man e le sue adorabili cagnoline. L'obiettivo finale della sua vita è possedere tutti e 2047 i modelli di PONG esistenti. Attualmente è a quota 69.... quindi augurategli lunga vita e prosperità.