Red Dead Redemption 2 Recensione, la ballata di Arthur Morgan

Red Dead Redemption 2 Cover

Impressionante. Così tanto da rischiare di trovare inadeguati termini troppo spesso utilizzati: capolavoro, pietra miliare, un pezzo di storia… Le parole sono importanti, diceva un noto regista e attore, ma proprio per questo le parole possono tradirti, sembrarti improvvisamente delle vecchie prostitute stanche in un saloon: concessesi a troppi, drammaticamente insoddisfacenti, ora. Dannazione. Mi passo una mano tra i capelli, mi alzo in piedi e mi avvicino alla porta. La apro e scendo in strada, lentamente. Non posso togliermelo di dosso, non riesco a strapparmelo dagli occhi, a sbrogliarlo dai fili densi e appiccicosi della mia anima. Se fumassi mi accenderei una sigaretta, ma non fumo. Guardo verso l’orizzonte, cercando di scorgere un pezzo di natura attraverso i palazzi della mia città. Mi soffermo a pensare che ciò che vedo esiste davvero, che posso raggiungerlo e visitarlo. Assurdo, sono nella realtà. Ma del resto chi è che lo stabilisce? Cos’è che determina ciò che è reale da ciò che non lo è? È una questione di percezione, in fondo. Di dettagli, tratti di colore, punti focali di attenzione. Non ne esco. Mi incammino piano. Dannazione, penso ancora. È allora che i ricordi tornano ad assalirmi.

Red Dead Redemption 2

Un deliberato atto di progressiva rivelazione: ecco che cos’è Red Dead Redemption 2, il grido di sfida verso Dio onnipotente che Rockstar e tutti i suoi studios hanno lasciato risuonare forte come un tuono. Vediamo chi è più bravo a creare un mondo. Dai, divertiamoci. Quanta hybris in tutto ciò: la tracotanza, la ribellione dell’uomo al volere divino. Punita, di norma. Già, a meno che Prometeo, questa volta, non abbia avuto la meglio, non abbia… avuto fottutamente ragione. Quando impugnerete il pad e darete il via alle danze, questa creatura sarà restia a svelarsi, a concedersi, a mostrarsi a voi. Il bianco della neve, la tormenta che vi avvolge, il monotono paesaggio di aspre e impervie montagne: tutto cospira a ottenebrare i vostri sensi. Si intuisce una grandezza posticipata, si sogna soltanto ciò che si sa esserci, che si immagina per certo presente. E in questo balletto sensuale, ci innamoriamo di lui, o lei. Red Dead Redemption 2 comincia a sbocciare, volutamente, gradualmente, in modo tanto misurato quanto esuberante.

Ci esplode addosso in una deflagrazione controllata, che investe i neuroni prima ancora di passare per gli occhi. Il suono, la musica, ogni vibrazione, ogni parola di quelle infinite linee di dialogo allertano il nostro io di ciò che sta per arrivare. Vediamo una stella che è già morta da tempo immemore. Poi quell’attimo infinito, che solo la lettura di Proust può prepararci a comprendere, colpisce la retina, a scoppio ritardato. Bontà del Cielo! È quanto di più mirabile abbiamo mai visto. Parlare di grafica è ridicolo: qui la tecnica è al servizio dell’Arte, e la sua sfrontata magnificenza si umilia volutamente a un essere più alto, che ne guida gli sforzi oltre qualsiasi paradiso, naturale o artificiale. Ogni colore, ogni animazione, ogni volto scolpito dal sentimento, ogni albero, ogni roccia, ogni pistola, ogni bastardo rapinatore, ogni cappello da cowboy, ogni orso o serpente, ogni freccia, ogni banca, ogni barbiere, ogni pezzo di piombo o asse di legno. Il realismo è un insulto, il fotorealismo un patetico retaggio del passato: siamo alla mimesi dei colori dell’anima, alla mappatura completa e ricostruzione del genoma umano, siamo al deicidio. E la realtà si inchina, si inchina ad imparare, lo sguardo basso, come un Cimabue al cospetto di Giotto radioso e trionfante.

Red Dead Redemption 2

Il più grande romanzo

Red Dead Redemption 2 è il più maestoso esempio di narrazione interattiva che sia mai stato realizzato: esagerato nell’ambizione, polverizza qualunque opera finora giunta sul mercato, perché coniuga in modo perfetto la qualità della scrittura, che è eccellente, con un uso moderno, dinamico, intelligente e coraggiosissimo di ogni meccanica di gameplay che rende speciale il medium videoludico. Il risultato è un unicum di narrazione e interazione che moltiplica sinergicamente il suo valore grazie al collante delle emozioni e dell’ispirazione autentica, nata e coltivata attraverso lo studio, l’assimilazione e la genuina adorazione di modelli letterari, filmici e videoludici. Qui non solo non si copia nulla, ma neppure si omaggia qualcosa: è piuttosto come se tutta la tradizione western, la migliore, fosse stata amalgamata, fusa insieme e sussunta in qualcosa di diverso, di più perfetto, di miracolosamente funzionante, ben oltre ogni più ottimistica aspettativa.

E se il modello che a mio avviso rende più giustizia al mood profondo di quest’opera, al suo feeling primigenio, resta l’Unforgiven filmico di Clint Eastwood (Gli Spietati), spostandoci al ben più acerbo universo delle opere interattive, il termine di paragone, forse a sorpresa, è senza alcun dubbio il fantasy est europeo di The Witcher 3. A scapito di tante apparentemente immense contrapposizioni, come il realismo e il fantastico, l’action adventure e il gioco di ruolo moderni si assomigliano moltissimo, rendendo evidente all’occhio più accorto quanto ciascuno abbia influenzato l’altro, in modo solo ed esclusivamente sano, fruttuoso, vergine e incontaminato. Nel modo e senso del cavalcare; nella tridimensionalità quantica delle comunità umane organizzate (che siano accampamenti, villaggi o città); nella valorizzazione dell’uomo qualunque; nell’ardita e talora temeraria distruzione dei limiti autoimpostisi dal medium videoludico e dalla sua troppo spesso vigliacca industria. Arthur Morgan come Geralt di Rivia, in fondo, più di quanto non si possa immaginare… e ve lo dico togliendo il cappello e chinando lo sguardo, gli occhi gonfi di amore e un pizzico di sano timore reverenziale. Al cospetto dei giganti, siamo tutti nani. Ma del resto, tornando all’Eastwood de Gli Spietati, opere così “ce le meritiamo tutti”. O forse nessuno, che tanto è la stessa cosa.

Della storia di RDR 2 non posso raccontarvi nulla, perché “me lo impone lo Sceriffo”, diciamo. Peccato. Avrei usato la sottile Arte dello Spoiler per svelare solo strati accuratamente selezionati della corteccia di una trama spessa e corposa, dettagli atti a incuriosirvi di vicende troppo grandi per stare in un misero cuore, squarci di dialoghi, delitti e atti di desolante e folle amore tali da prendervi per mano e mostrarvi perché mai nessuno ha osato quanto gli autori di Rockstar in questo grande Romanzo interattivo, in questa epopea sulla Lealtà, sull’Amore rubato e tradito, sul senso della vita, sul costruire e sul distruggere. Non temete, tuttavia: raccontare dettagli non occorre, in fondo, come volutamente non mi dilungherò sulla solita pornografia da hardcore gamer fatta di frame o, peggio, di elenchi di sfide, tipologie di missioni, armi, oggetti, elisir, animali feroci o altre oscenità di tal fatta. Rockstar, lo sapete bene, è fedele ai suoi stilemi, che consacra e perpetra di atto in atto nella sua lunga Genesi a un nuovo universo di emozioni elettroniche. Lo fa, certo, ma nel farlo sa comunque innestare, innovare, persino rivoluzionare. Un mondo sensibile al contesto, che reagisce al modo in cui voi vi ponete. Ubriachi, ben vestiti, l’arma in pugno. Pronti a parlare o a provocare, o magari direttamente inclini alla (minaccia di) violenza. Perché no, in fondo? Arthur Morgan, il vostro alter ego virtuale, è un ragazzo cresciuto fin da giovanissimo nella banda di fuorilegge di Dutch, già, proprio quel Dutch che è stato la nostra nemesi nel primo, indimenticato Red Dead Redemption. È un uomo duro e spietato, certo, ma anche semplice, con un suo senso di onore, che non chiameremo “giustizia” perché… be’… perché diciamo che questo è un concetto che, nelle molte decine di ore di vita virtuale che vi aspettano, dovrete decisamente meritarvi di comprendere.

Una sinfonia celeste

Impressiona l’essere corale di quest’opera, perché è qualcosa che non aveva mai raggiunto il nostro mondo. Mai, e neppure lontanamente. Qui non si tratta di comprimari, né di meri concetti tecnici di gioco quali “party” o “scelte morali”. La coralità di Red Dead Redemption 2 è assoluta e inedita, esponenziale e geometrica, esagerata e quasi sconcia nel suo sfacciato mostrarsi, sbattercisi in faccia. La grande banda di Dutch, una enorme famiglia disfunzionale proiettata verso il cupio dissolvi, è un organismo vivo, senza nulla di fittizio o innaturale, dove l’azione e le reazioni che ne conseguono sono tutte inseparabili, indistinguibili, dentro o fuori dalla singola “missione”, che sia poi primaria o secondaria. Ogni personaggio principale è protagonista e vive grazie al suo essere presente, sempre, non certo perché ha una sua agenda, dei pattern comportamentali o un set di risposte. Accade così che ci si innamori, in RDR 2, ma della vita, del mondo, delle emozioni umane che sono più umane delle nostre, perché sublimate dalle mani degli artisti, che ne esaltano i dolori, facendole respirare.

E così ci si innamora di tutto ciò, della grande rapsodia, di questo universo narrativo sconfinato, del suo essere open world eppure al tempo stesso minimalista. Arthur – lo vivrete sulla vostra pelle – è uomo più di quanto si sia mai visto all’interno di qualunque esperienza narrativa, e sperimenterà un personalissimo viaggio di formazione che non ha precedenti in una interactive story. Redenzione, e certamente tinta del rosso del sangue. Perdizione, forse. Perdono. Trasporto. Paura. Soprattutto, tanta stupidità. Già, quella che ci rende umani, giorno dopo giorno. Tuttavia, sapete, è il cavalcare la chiave di tutto. Sebbene si possa in parte ridurre il tempo trascorso a cavallo con una serie di accorgimenti di gioco, vi esorto a ignorarli e (follemente!) a galoppare e trottare in lungo e in largo per questo incredibile Far West in declino, giunto alla fine dei suoi giorni. Solo cavalcando e cavalcando e cavalcando – perché alla fine saranno ore intere trascorse soltanto in sella da un luogo all’altro – interiorizzerete il vostro campo di gioco e maturerete le vostre emozioni. Il ritmo dell’andatura, le condizioni climatiche, il giorno e la notte: tutto vi servirà a pensare, o a cercare di non farlo, perché a tratti la realtà (irreale) di RDR 2 è davvero troppo per un semplice piccolo giocatore come me o voi, abituato a eroi tutti d’un pezzo e a salvare il mondo.

Eh sì, certe emozioni ti strisciano dentro, ti avvelenano e ti uccidono di una dolce, dolcissima morte. Maledetta Rockstar… benedetta, grandissima, eroica, unica Rockstar. Rockstar, che ha dato vita a un monstrum, a un prodigio che sfida tutte le regole, tutti i confini che ritenevamo invalicabili. Ma quando del resto i titoli di coda durano oltre 40 minuti, potete immaginare quanto la macchina messa in moto sia miracolosa e formidabile. Eppure, credetemi, Red Dead Redemption è la dimostrazione che alla fine, ancor più dei milioni, sono quei dannati 21 grammi a fare la differenza. God bless you, Arthur Morgan. Ci hai dato qualcosa che nessuno potrà più scrollarsi di dosso. E la tua storia, da oggi in avanti, è la storia, le storie, di tutti noi. Per sempre.

VOTO: 10

Metalmark, giornalista, scrittore e docente universitario, si dedica al culto delle avventure Infocom, di X-COM e dell'Intellivision. Come hobby, dirige VIGAMUS, il Museo del Videogioco di Roma, e i corsi di VIGAMUS Academy. La sua prima rivista da caporedattore? CUBE. Poi tante altre, tra cui PSW, Xbox World, PC Games World, Game Pro (EDGE Italia) e Game Republic.