Ansia, paura, tensione e cuore battente all’impazzata: sono queste le emozioni che potrebbero sintetizzare l’avventura di Resident Evil 2, un mix di sensazioni devastanti, in grado di pervadere il corpo del fruitore da cima a fondo, lasciandolo sfinito come dopo una maratona interminabile. L’Ansia, che il male da un momento all’altro possa prevalere, trasformandoci in quegli esseri dal viso pallido e lo sguardo vacuo. Paura, del buio incessante, di una stazione di polizia corrosa e logorata dalla minaccia biologica scatenata dall’Umbrella, degli orripilanti scricchiolii di carne strappata dal corpo dei nostri colleghi con fare selvaggio e brutale. Tensione infinita, di rumori di passi roboanti, ansiogeni nel loro maniacale tonfo battente, così precisi da sembrare surreali, ma talmente insistenti da portare velocemente alla pazzia. E un cuore, così agitato e accelerato, da esplodere da un momento all’altro dopo una fuga incondizionata da esseri cannibali guidati soltanto dai propri istinti primordiali. Poi, come una luce salvifica nell’oscurità più profonda, ecco una lampadina emergere in lontananza, emanante un fioco bagliore intermittente sopra di una porta sì degradata, ma ancora integra e resistente. Una volta dentro, un baule, una macchina da scrivere e una musica pacata: come d’incanto, ecco sopraggiungere la tranquillità, sicuramente effimera e limitata nella sua irrisoria durata, ma dannatamente vitale prima di essere nuovamente divorati e inglobati dall’incubo. Questo è Resident Evil 2, un prodotto talmente curato in ogni singolo particolare, così ben ricostruito, da lasciar più volte indurre il giocatore a riflettere sul fatto di non essere realmente di fronte ad un Remake, bensì ad un prodotto del tutto inedito, sfavillante in ogni singolo aspetto, completo in ogni sua sfaccettatura: insomma, di trovarsi dinanzi ad un vero e proprio capolavoro.
Un lavoro di ricostruzione e riconcepimento magistrale
Quello di Resident Evil 2 è un mondo esattamente come il nostro: città sconfinate composte da grattacieli, case e negozi, multinazionali pronte a tutto pur di azzerare la concorrenza e affermarsi, e cittadini, proprio come noi, contraddistinti da vizi e virtù, passioni e perversioni. Qualcosa, però, un giorno andò storto nella bella Raccoon City; difatti il colosso farmaceutico Umbrella Corporation, dopo anni di sperimentazioni e test su ogni tipo di cavie, dagli animali agli essere umani, riuscì a sintetizzare una nuova, vincente formula: un agente patogeno dalla potenza disarmante, in grado di mutare qualsiasi umano in cadaveri putrefatti senza coscienza e mossi dal solo istinto di soddisfare le esigenze più recondite dell’essere umano. In questo disastroso contesto geopolitico, due personaggi si ritroveranno invischiati in vicende dannatamente più grandi di loro: Leon Kennedy, novizio agente di polizia diretto alla centrale per svolgere il primo giorno di lavoro, e Claire Redfield – sorella del buon Chris Redfield, membro della S.T.A.R.S protagonista del primo capitolo – arrivata nella desolata città con lo scopo proprio di rivedere il fratello. A questo punto il gioco permetterà all’utente di selezionare, a libera scelta, il personaggio con il quale iniziare l’avventura, permettendo così di vivere le due esperienze da angolazioni differenti. Il lavoro di riconcepimento generale del tessuto narrativo operato da Capcom, a nostro modo di vedere, ha davvero dell’incredibile, in quanto la software house nipponica è riuscita ad unire i vari bivi narrativi presenti nell’opera originale in maniera convincente e puntuale, riscrivendo completamente anche determinati avvenimenti così da fornirgli maggiore risalto. Non è nostra intenzione spoilerarvi assolutamente nulla della magnetica trama di Resident Evil 2, ma vi basti sapere che la storia, per le circa 13 ore impiegate per portarla a termine, considerando le due run sommate, è riuscita ad inglobarci completamente come da tempo non ci capitava, lasciandoci totalmente senza fiato.
Anche i vari personaggi sono stati in parte ricostruiti in chiave moderna, così da apparire nettamente più vicini agli standard attuali, e possiamo anticiparvelo: la caratterizzazione è assolutamente perfetta nel mostrare al giocatore i tratti comportamentali tanto dei protagonisti quanto di tutti gli altri character appartenenti all’immaginario della produzione. Leon apparirà spesso spaesato dagli accadimenti, ingenuo nella sua purezza d’animo, ma anche assolutamente determinato nel comprendere la causa degli avvenimenti; Claire, malgrado sia, in fin dei conti, una ragazza con poca esperienza “bellica” alle spalle, si dimostrerà risoluta e impavida nel prendere di petto le situazioni avverse che le si parranno dinanzi, dimostrando grande caparbietà e senso di responsabilità. E poi Ada: bella, seducente e affascinante, dura nelle apparenze ma debole come tutti gli altri esseri umani. Insomma, un lavoro sbalorditivo, capace di infondere nuova linfa a tutto il microcosmo del brand, rilanciando personaggi da troppo tempo finiti del dimenticatoio. L’unica pecca della narrazione, a nostro modo di vedere, sarà la palese incongruenza, in alcune occasioni, dell’intersezione degli eventi delle due campagne: sembra che Capcom voglia farci capire che scegliendo un personaggio vivremo le sue vicende uniche e personali, non quelle generali divise in due filoni narrativi, ma come se fossimo in una linea temporale differente rispetto all’altra. Del tipo: “ecco come sarebbe andata se avessi scelto Leon” e viceversa. Per quanto in parte giustificabile con una spiegazione del genere, rimane il fatto che la riproposizione delle medesime boss fight, senza alcuna variazione in termini di moveset o design, potrebbe infastidire non poco il giocatore, il quale avrà l’obbligo di riaffrontare gli stessi nemici nello stesso identico modo. Un peccato, insomma: sarebbe bastata anche una piccola parvenza di diversificazione in più per rendere le due esperienze uniche ed inimitabili.
Resident Evil 2 “È”, non deriva “DA”
Tutto quello che vi abbiamo raccontato fino ad ora, però, non simboleggia altro che la superficie di Resident Evil 2, perché il Survival Horror della casa di sviluppo giapponese è tanto, ma tanto, altro. Resident Evil 2 è l’horror esemplare, è la sintesi ineccepibile di più di vent’anni di sperimentazioni, successi e fallimenti. È tutto quello che ogni fan storico avrebbe sempre voluto e desiderato ma mai pensato di poter vedere realmente concretizzato; è la fusione scientificamente perfetta di Resident Evil 1, 4 e 7, i quali incarnano le maggiori svolte gameplaystiche della saga; è la lapalissiana dimostrazione di come Capcom sia in grado di concettualizzare due formule di gioco così diverse tra di loro – come quella in prima e in terza persona – e di realizzarle entrambe in maniera impeccabile. Insomma, Resident Evil 2 “È”, non deriva “DA”. Ogni singola meccanica funziona egregiamente, ogni singola scelta di design è magistrale, ogni singolo elemento sembra proprio come e dove dovrebbe essere, senza soluzione di continuità. Partiamo con la telecamera: l’inquadratura è stata posta alle spalle del protagonista, esattamente come Resident Evil 4, ma questa volta essa sarà collocata decisamente più vicino a Leon e Claire – richiamando, vagamente, quella di The Evil Within – così da fornire un senso claustrofobico, soprattutto negli scontri, elevato. Inoltre, i nostri beniamini non potranno effettuare nessun tipo di schivata o capriola per sviare gli attacchi nemici, ma semplicemente compiere una corsa leggermente più accelerata del solito: tutto ciò con il chiaro scopo di rendere il gameplay il più lento possibile pur rimanendo chiaramente “Action”. Questo mix di movimenti compassati, uniti ad una visuale chiaramente più dinamica dell’originale, rappresenta, a nostro modo di vedere, un connubio semplicemente più unico che raro, capace di dar vita ad un nuovo modo di intendere il Survival Horror in terza persona. Anche il sistema di mira è volutamente poco preciso e, talvolta, inefficace, concepito sempre con l’idea di offrire al player l’esperienza più ansiogena possibile, lasciandogli spesso il timore di non riuscire a sopravvivere.
Gli zombie, infatti, risulteranno incredibilmente resistenti, spesso non basteranno addirittura 4/5 colpi alla testa con la pistola per abbatterli, e se a ciò aggiungiamo i movimenti sì lenti ma sguscianti dei non-morti, capiremo di trovarci di fronte ad un’esperienza che vuole il più possibile controbilanciare la presenza, piuttosto florida, di proiettili e di munizioni secondarie proprio con la robustezza degli infetti. Dato che Capcom ha riposto un’attenzione fuori dal comune su questo Remake, non sorprendono nemmeno gli eccezionali ed evidenti sforzi della software house di rendere l’esperienza sicuramente angosciante e inquietante, ma mai frustrante, sfruttando tutta una serie di trovate essenziali per scacciare pesantemente il sentimento malevolo. Difatti, come dicevamo poc’anzi, data la pressante vicinanza della telecamera e la sorprendente resistenza dei mangiacarne (unita anche alla poca precisione delle armi), spesso i putrefatti riusciranno ad agguantarvi, tentando di cibarsi del vostro povero collo; ebbene, la casa di sviluppo, prevedendo una possibile falla in questo, ha introdotto una meccanica assolutamente perfetta nella sua semplicità: difatti, in caso abbiate nell’inventario una granata, un coltello o una flashbang, una volta afferrati dal walker Leon o Claire potranno liberarsi della presa sia trafiggendo il mostro sfruttando l’efficacia del pugnale che sfamando il carnivoro immettendo nella propria bocca l’esplosivo. Il risultato? Cervella ovunque e salvezza assicurata. Certo, nulla vi sottrarrà dal vostro infausto destino in caso ne siate sprovvisti, ma tant’è: dimostrare di saper sfruttare qualsiasi strumento è il primo obiettivo di un sopravvissuto ad un’apocalisse zombie.
Innovazione e perfezionamento
Parlando sempre dello sforzo produttivo di rendere l’esperienza di gioco il meno possibile demoralizzante e scoraggiante, è impossibile non lodare a spada tratta la scelta della software house di incrementare in maniera sensibile tanto le safe zone quanto i bauli e le macchine da scrivere presenti nelle varie location. Dobbiamo capire che l’utenza attuale non è più quella di vent’anni fa, e meccaniche troppo vetuste avrebbero potuto allontanare il grande pubblico dal prodotto targato Capcom. Intendiamoci: non stiamo affermando che in questo modo l’avventura sia più semplice, bensì maggiormente fruibile, evitando così game over troppo punitivi e backtraking inutile e poco stimolante. Sappiamo che i puristi potrebbero avere qualcosa da ridire, ma crediamo fortemente che contestare una simile decisione significhi non comprendere l’andamento del gaming moderno, completamente distante da dinamiche così arcaiche e decisamente superate. La scelta della collocazione degli oggetti prima citatati, poi, appare perfetta, assolutamente incontestabile, permettendo a chiunque, anche ai meno avvezzi al genere, di godersi in libertà Resident Evil 2. Per non parlare del level design: monumentale in ogni sua sfaccettatura, straordinario nel risultare al contempo complesso e comprensibile, reso ancora più sfavillante dall’assenza di qualsivoglia caricamento nell’apertura delle porte, e in grado, una volta padroneggiata la mappa di gioco, di far percorrere gran parte delle location in pochissimi secondi. Anche le bocche da fuoco riusciranno a soddisfare in pieno le esigenze dell’utente, tanto per feedback generale quanto per varietà, consegnando nelle mani dei giocatori strumenti di morte funzionali e stratificati, in grado di rendere le sparatorie ogni volta avvincenti e appaganti.
Infine, un discorso importante va effettuato nei confronti dell’esplorazione: grazie ad un sistema di evidenziamento degli oggetti per nulla invasivo ed essenziale per non perdere preziosi strumenti, perlustrare ogni singolo anfratto delle location non è mai stato così magnetico ed avvincente, spingendo, addirittura, il player a rischiare più volte la vita in orde fameliche di zombie pur di non lasciarsi sfuggire nemmeno un proiettile. Questo perché alle spalle vi è un impegno incredibile da parte di Capcom anche nella realizzazione di enigmi ambientali mai troppo complessi e articolati, proiettati tutti, appunto, nella completezza dell’esplorazione piuttosto che nella mera difficoltà nuda e cruda dei puzzle. Ad incorniciare quanto affermato fino ad ora troviamo, poi, un comparto tecnico da slogamascella: i modelli poligonali dei personaggi appaiono stratosferici, il design delle location risulta incredibilmente ispirato, l’illuminazione fuori di testa e le animazioni da far accapponare la pelle. Tutto è magistrale. Certo, il fatto che le location siano stato ricreate partendo dalle zone ristrette concepite per limiti tecnici dell’originale aiuta sicuramente non poco, ma il RE Engine si dimostra ancora una volta pulito, di grandissima qualità e soprattutto poco pesante. Anche il doppiaggio italiano è più che soddisfacente, ma, a nostro avviso, imparagonabile con quello inglese, decisamente più abile nell’interpretare le scelte dei personaggi.
Resident Evil 2, insomma, simboleggia, senza se e senza ma, uno dei migliori Resident Evil mai concepiti della saga, in grado di inglobare nella propria formula tutti gli aspetti più riusciti ed efficaci dei suoi fratelli. Ma ciò non basta minimamente per descrivere il titolo, in quanto Resident Evil 2 rappresenta anche uno dei più bei Remake esistenti sul mercato, capace, in un sol colpo, di riportare in auge un prodotto vecchio di vent’anni e di innovare nell’ambito dei Survival Horror in terza persona. Infine, la produzione è anche una prova di forza inimmaginabile da parte di Capcom: la software house, infatti, ha inequivocabilmente dimostrato al mondo intero di poter fare ciò che vuole con il brand, che sia in prima o in terza persona, guadagnandosi di diritto lo scettro di regina incontrastata dell’ambito horror. Capcom, ormai, è davvero tornata, e noi non possiamo che gioire di questo.