Il giorno che sembrava non volersi avvicinare mai, che tutti davano ormai per disperso e che la più classica delle leggi di Murphy avrebbe potuto benissimo far sparire dai calendari per un anno intero, sta infine per arrivare. Malgrado gli eterni e sfiancanti rinvii e a meno che lāapocalisse stessa non si presenti sulla Terra nel corso delle prossime 72 ore, il 29 gennaio 2019Ā Kingdom Hearts 3 si concederĆ alle fameliche mani del suo pubblico. Ć riduttivo e quasi buffo, considerati i fiumi di parole spesi negli scorsi anni, mettersi a parlare anche in questa sede di quanto il terzo capitolo “numerato”Ā della saga di Square Enix sia atteso da unāintera generazione, cresciuta a pane, film dāanimazione Disney e nostalgia. Dāaltro canto, definire il progetto di Tetsuya Nomura e compagni come ātravagliatoā rappresenterebbe un eufemismo, viste le incredibili peripezie che ha dovuto affrontare per uscire, sgomitando, sul mercato. Roba da far quasi invidia, per inverosimilitĆ , allo stesso universo che il gioco mette in scena, dopo ben sette anni dallāultimo, vero capitolo per console (Dream Drop Distance, su 3DS) e senza considerare ibridazioni mobile, prologhi, altri progetti di varia natura, e chi più ne ha più ne metta. La serie di Nomura ĆØ sempre stata cosƬ, prendere o lasciare: ed ĆØ proprio per questo che Kingdom Hearts 3 era ed ĆØ atteso come un vero e proprio Messia da chi, seguendo un po’ la ragione e parecchio il proprio cuore, brama ancora di poter assistere alla degna conclusione di un arco narrativo cominciato ormai diciassette anni fa.
Nel paese delle Meraviglie
Non ci giriamo troppo attorno, che ĆØ meglio. Kingdom Hearts 3, coi tempi che corrono, ĆØ un vero e proprio miracolo, e non solo perchĆ© nato e pasciuto quando ormai più di qualcuno iniziava a perdere le speranze. Ć un miracolo innanzitutto perchĆ©, come e a tratti molto più dei suoi predecessori, coniuga lo stile del gioco di ruolo alla giapponese (senza dimenticare le sue tinte spiccatamente action) con un linguaggio praticamente universale e comprensibile da tutti, grandi e piccini: quello del film d’animazione, capace di dipingere una vicenda memorabile e scene di grande maturitĆ e spessore senza per questo ricorrere a mezzi come lo stereotipo fine a sĆ© stesso e la violenza più sanguigna e scurrile. C’ĆØ però un motivo ben preciso che ha spinto Square Enix ad aspettare e a concedere al team tutti questi anni, un motivo che va anche al di lĆ delle comprensibili difficoltĆ nello sviluppo che la squadra diretta da Nomura e Yasue può aver avuto. Il risultato finale di tutta quest’attesa si fa notare con una potenza sconvolgente: Kingdom Hearts 3 ĆØ dotato di un comparto audiovisivo senza pari per un videogioco che tratta simili tematiche e filoni creativi, riproponendo gli immaginari a cui fa riferimento, con le loro icone e i loro momenti topici, in manieraĀ tecnicamente e scenicamente perfetta, quasi indecenteĀ nella sua spavalderia. Abbiamo detto audiovisivo non a caso: le musiche orchestrali, composte ancora una volta da Yoko Shimomura, con tema d’apertura di Utada Hikaru, sono come sempre una componente di primaria importanzaĀ in un’esperienza come quella di Kingdom Hearts, a cominciare dalla prima, indimenticabile volta in cui si arriva al menu principale e ci si ferma, incantati, ad ascoltare l’ennesima versione di Dearly Beloved. Che, però, ĆØ soltanto l’inizio: ognuno degli universi che compongono il microcosmo di Kingdom Hearts 3 ĆØ infatti accompagnato dalle proprie, ben note e iconiche melodie, quasi sempre ben riarrangiate. Ci perdonerete, comunque, se vi parliamo per primi di aspetti che per molti sono secondari, ma potete fidarvi di noi: l’epopea messa in scena non sarebbe stata la stessa senza mezzi come questi. Per niente. Anzi, vi si lega a doppio, a triplo filo. In tutto ciò, il supporto di Disney e soprattutto di Pixar ĆØ stato cruciale e ha permesso di ottenere il risultato che oggi siamo arrivati a conoscere ed apprezzare: i mondi su cui i personaggiĀ si ritrovano a posare i piedi (o le zampe) sono splendidi, oltre che caratterizzati da una cura e uno studio degli universi di riferimento assolutamente fuori di testa, che scade quasi nell’ossessivo e nel maniacale. La loro inferioritĆ numerica rispetto ai capitoli passati, poi, non si nota più di tanto: esistono infatti zone ben più vaste di quelle offerte da qualsiasi altro Kingdom Hearts, al cui interno ĆØ facilissimo perdersi e abbandonarsi per ore ed ore a osservare gli elementi chiave della storia di Sora e compagni.Ā I mondi più estesi, com’ĆØ anche comprensibile, sono però minati da una qualitĆ visiva altalenante, nient’affatto pessima in senso assoluto, ma piuttosto scadente rispetto agli scenari più minuti, dei quali quelli legati a Toy Story, a Rapunzel e a Frozen rappresentano gli esempi più eclatanti, oltre al monte Olimpo, che torna da Kingdom Hearts 2.8.
Il valore dell’amicizia
Proprio da qui prende avvio la storia di Kingdom Hearts 3, che, nelle intenzioni e nella pratica, rappresenta l’atto conclusivo della Saga di Xehanort, un ciclo che fino ad oggi ĆØ sempre apparso praticamente infinito e interminabile, anche, va detto, per colpa del suo stesso autore, che ha contribuito a complicarlo ulteriormente inserendo dettagli fondamentali ai fini della comprensione del racconto nei capitoli più improbabili (per dirvene una, la narrazione di un antefatto importantissimo come la Guerra dei Keyblade ĆØ lasciata in mano a Kingdom HeartsĀ Ļ!). Per fortuna di chi l’ha concepito e di chi lo giocherĆ , però, Kingdom Hearts 3 pone un freno a tutto ciò, riuscendo a chiudere in maniera soddisfacente gran parte delle trame e sottotrame che l’intricata mente di Nomura ha partorito in decenni di idee, accavallatesi una sopra l’altra in un modo che ha pochi eguali nella storia dell’intrattenimento. Manca ancora, a onor del vero, il finale “segreto”, che a detta di numerose fonti, anche ufficiali, verrĆ sbloccato il giorno dopo l’uscita del gioco, il 30 gennaio: soltanto quello potrĆ scrivere la definitiva parola fine “post-titoli di coda”, eppure, anche nel suo stato attuale, la conclusione della storia può dirsi più che soddisfacente e giĆ ampiamente in grado di ricondurre la gran parte dei nodi al pettine. Non aspettatevi rivelazioni sconvolgenti, però: nella sua marcataĀ contrapposizione fra luce e oscuritĆ , il mondo di Kingdom Hearts ĆØ dipinto lasciando del tutto fuori le scale di grigio, e non lascia spazio a chissĆ quali interpretazioni, anche se l’evoluzione finale dei personaggi (un titanico cast corale che annovera nomi come quelli di Mark Hamill e Rutger Hauer) ĆØ perfettamente coerente con il loro passato e procede senza troppi scossoni, tra graditi ritorni e qualche plot twist un po’ prevedibile. In primo luogo quella di Sora stesso, da sempre vincolato al profondo legame di amicizia che ĆØ in grado di instaurare coi suoi compagni e con chiunque si pari sul suo cammino.
Senza nulla spoilerare riguardo alla trama vera e propria, il punto fondante da cui Kingdom Hearts 3 riparte sta nella forza dei valori più autentici e universali che da sempre accomunano gli anime giapponesi alla cultura d’animazione occidentale, fusi insieme in un connubio praticamente perfetto. La sceneggiatura, oltre a contenere un quantitativo sperticato di riferimenti che solamente i fan storici della saga saranno in grado di cogliere del tutto, viene portata avanti in maniera piacevole e al tempo stesso commovente, pur con qualche minimo (ma comprensibile) taglio, che, specie quando c’ĆØ da muoversi altrove alla ricerca di nuove avventure in altri mondi, risolve alcune situazioni in maniera un po’ sbrigativa, a suon di battute e pacche sulle spalle. Lo stile e la distintiva riconoscibilitĆ di Kingdom Hearts risiedono però in parte anche qui, nella capacitĆ di abbracciare il giocatore come fosse un vecchio amico, mettendolo a suo agio nel proprio universo, ma mantenendo ben salda una certa sospensione dell’incredulitĆ , volta a giustificare avvenimenti che riconducono a un immaginario fantastico e proprio per questo dotato di regole ben precise, differenti da quelle del mondo reale.
Familiare, ma non troppo…
Nel concreto, siete però avvisati: per quanto possiate perdervi nelle sue maglie e apprezzare quel che vi viene proposto, finirete col non capire quasi nulla degli avvenimenti se non avrete prima memorizzato la cronologia che precede Kingdom Hearts 3. Che, almeno a livello narrativo, se ne infischia di essere accessibile ai neofiti, e non ĆØ affatto il capitolo migliore con cui prendere confidenza con la serie e da cui iniziarla, quanto più quello con cui concluderla.Ā Malgrado ciò, questo terzo capitolo non manca di trovare nuove vie per aprirsi al pubblico più occasionale. Kingdom Hearts 3 possiede un’anima scissa inĀ due cuori: uno da gioco per famiglie, divertente e in grado di coinvolgere anche i più piccoli, l’altro che invece parla ai fan storici, e che comincia a sbocciare con l’appropinquarsi alle fasi conclusive dell’avventura, una volta esaurito il viaggio attraverso i mondi Disney a disposizione. Ć lƬ, seguendo del resto una tradizione cominciata giĆ in Kingdom Hearts 2, che il ludus alla base dell’esperienza si mostra finalmente a tutto tondo, senza limitarsi soltanto a sfoggiare la propria soffocante bellezza. A fronte di una storia relativamente semplice per l’80% del suo svolgimento e di un avanzamento piuttosto agevole, soprattutto utilizzando tutti gli aiuti concessi dall’I.A. (fortunatamente disabilitabili, sistema di leveling compreso, per un’esperienza davvero hardcore), nel restante 20% si avverte un’evidentissima impennata della difficoltĆ , non solo nelle numerose – e impegnative – battaglie proposte, una dopo l’altra, sul finale, ma anche nel post-game. Quest’ultimo, che permette di tornare ad esplorare i mondi giĆ calcati per affrontare varianti più impegnative degli stessi nemici, ĆØ un po’ povero di contenuti, se si escludono i portali di battaglia e poco altro. Bisogna ammettere che uno studio un po’ più elaborato di certe meccaniche, specie nei mondi più aperti, avrebbe aiutato – spingendo un po’ di più sul grinding – ad elevare la longevitĆ complessiva ben oltre le normali 40-50 ore, comunque più che apprezzabili. A pesare molto di più ĆØ inveceĀ l’assenza di una modalitĆ critica, che, combinata con le opzioni giĆ presenti, avrebbe consentito di soddisfare al 100% i giocatori più smaliziati e per cui dovremo probabilmente attendere una eventuale versione “Remix” del gioco. In senso generale, in Kingdom Hearts 3 potete scordarvi di avere a che fare con un’esperienza tradizionale, fatta di quest da completare e studio minuzioso delle abilitĆ da apprendere: la struttura action RPG ĆØ infatti un semplice pretesto per dare un senso di progressione ad un viaggio lineare, in cui ĆØ la storia ad ergersi a vera protagonista.
Dagli e dagli ai cattivoni
Il sistema di combattimento di Kingdom Hearts fa dell’immediatezza il suo asso nella manica ed ĆØ perciò invecchiato piuttosto bene negli anni: per questo motivo, la sua versione più moderna non ha avuto bisogno di particolari evoluzioni, mutuando le caratteristiche fondanti dei predecessori e adattandole con intelligenza (e qualche prestito dall’ultimo Final Fantasy) ai tempi che corrono. La principale novitĆ sta nella possibilitĆ di trasformareĀ ogni Keyblade (se ne possono equipaggiare al massimo tre) in base ai danni inflitti ai nemici: queste tecniche temporanee, dette fusioni, modificano completamente lo stile di Sora in battaglia, consentendogli ora di impugnare un gigantesco martello, ora una poderosa lancia, ognuna dotata di combo differenti rispetto alla propria forma base, la classica chiave. Ć molto difficile per i nemici interrompere leĀ chainĀ che danno vita alle fusioni, ancheĀ dopo colpi ripetuti, il che rende il combattimento di base forse un po’ troppo accessibile: se cosƬ non fosse, però, uscire vincitori dalle battaglie più dure sarebbe un’impresa davvero improba, soprattutto scegliendo deliberatamente – come detto sopra – di rinunciare agli aiuti dei compagni. Il vero asso nella manica di Sora e dei suoi amici sono comunque – o dovrebbero essere – le mosse speciali basate sulle attrazioni dei parchi a tema di Disneyland e sui mondi visitati, anche se queste ultime, malgrado piuttosto spassose, sono di qualitĆ un po’ altalenante. Alcune si rivelano dannatamente efficaci (anche troppo), altre mandano la telecamera in totale confusione e obbligano, senza poter controllare direttamente quel che accade, ad affidarsi al button mashing più sfrenato, sperando che tutto vada per il verso giusto. Ć poi possibile eseguire azioni combinateĀ e ad alto tasso di spettacolaritĆ con Paperino e Pippo, talvolta utili per superare determinate sezioni: lo scudo di Pippo, ad esempio, può essere utilizzato come una vera e propria tavola da surf in alcuni frangenti. Le maggiori interazioni con l’ambiente, come l’arrampicata libera o le giravolte in fluimoto,Ā rimangono però la gran parte delle volte poco più che un vezzo estetico, utile al più, nel primo caso, per spostarsi da una zona all’altra delle mappe e raramente per ingaggiare scontri in verticale. Il segreto per imparare davvero a padroneggiare un combat system che ĆØ sempre stato più tecnico del previsto risiede in ben altro: nell’uso accorto della parata oltre che della schivata e delle loro tecniche avanzate, oltre che nel corretto calcolo delle distanze con il nemico di turno. Elemento, questo, pressochĆ© superfluo per i nemici tradizionali, per i quali il più delle volte ĆØ sufficiente una raffica di mazzate dalla giusta angolazione, complice anche un aggancio automatico che funziona fin troppo bene, ma fondamentale quando ci si trova al cospetto dei boss più ostici e aggressivi, che spesso impediscono di avvicinarsi senza subire un’ingente mole di danni (anche se stavolta le cure di Paperino funzionano, non preoccupatevi!). In generale, questi ultimi obbligano a una gestione ben più tattica dello scontro, costringendo a ritirare fuori anche le meccaniche di combattimento più tradizionali, altrimenti utilizzate non cosƬ spesso, come la magia e il Tiro Rapido (un attacco a distanza legato all’arcinota barra Focus), oltre che a sfruttare i Legami, potenti evocazioni finali – anch’esse basate sull’universo Disney – in grado di volgere a proprio favore le sorti di una battaglia.
Alla fine, ĆØ sempre il caro vecchio Kingdom Hearts
Come da tradizione per la serie e in stile squisitamente orientaleggiante, quando non si ĆØ impegnati a menare le mani ci si ritrova spesso a cambiare prospettiva: ed ecco che talvolta Kingdom Hearts 3 diventa un rail shooter (in sequenze più coreografiche che impegnative, a dire il vero), oppure uno spassoso rompicapo sulla falsariga di Puzzle Bobble. Torna anche la possibilitĆ di spostarsi da un mondo all’altro nella mappa stellare, a bordo dellaĀ Gummi Ship: in questi frangenti il gioco diventa uno shooter spaziale in 3D, che permette di collezionare progetti per la propria nave, raccogliere denaro sonante e oggetti extra o affrontare veri e propri boss, in una sorta di clone in tre dimensioni di Super Stardust o Resogun. Pur abbastanza divertente e progettata piuttosto bene, questa parte dell’esperienza ĆØ tutto sommato marginale e non aggiunge poi molto all’offerta complessiva, anche considerato che, una volta sbloccati, i mondi sono poi visitabili nuovamente tramite viaggio rapido, rendendo superflui i viaggi interstellari. Perdersi per qualche decina di minuti negli spazi fra un mondo e l’altro ĆØ comunque un piacere, anche solo per ammirarne lo stile, condito di un inconfondibile gusto retrò. Come tante altre parti del gioco, del resto: anche i menu di Kingdom Hearts 3, compresi di box e font, sprizzano anni 2000 da tutti i pori, in un incredibile e riuscitissimo contrasto con l’evolutissima tecnologia che muove le scene in computer grafica e i filmati realizzati col motore di gioco. Da questo punto di vista, spiace constatare la discontinuitĆ visiva di alcune zone, fortunatamente secondarie e comunque più ampie della media, che tradisce un po’ di inesperienza con alcuni tool propri dell’Unreal Engine 4. Inezie, comunque. Forse, a ben pensarci, ĆØ anche nei contrasti quel che più funziona di Kingdom Hearts 3, e che colpisce dritto al cuore. Perdersi nei suoi mondi e nelle sue fantasie equivale a riaprire un vecchio fumetto polveroso, nascosto sul fondo di un malandato baule in soffitta e pregno di ricordi, le cui imperfezioni, rappresentate magari da una pagina strappata o dalle macchie di cioccolata impresse in prima elementare, finiscono quasi per diventare un valore aggiunto. Che ci ricorda quanto, effettivamente, fosse bella la nostra infanzia, un periodo fatto di videogiochi che, prima di tutto, centravano in pieno l’obiettivo più importante: saper divertire.
Kingdom Hearts 3 ĆØ la prima opera interattiva a meritare appieno l’appellativo di videogioco d’animazione, riuscendo in qualcosa che fino a pochi anni fa quasi nessuno avrebbe ritenuto possibile, specie considerata la sua travagliata lavorazione. Chiude come meglio non avrebbe potutoĀ una saga ormai storica (in attesa dell’epilogo e del filmato “segreto” finale, che però non dovrebbero cambiare più di tanto le carte in tavola), forte di un compartoĀ visivo impareggiabile, ai limiti dell’impossibile in certe scene (e proprio per questo inevitabilmente un po’ altalenante in altre), oltre ad un racconto che raccoglie e riesamina in maniera attenta un universo complesso e ingarbugliato, portando ogni suo possibile risvolto alla propria massima evoluzione. Rappresenta, insomma, uno dei picchi – forse il picco massimo – del più grande incrocio fra gli action RPG giapponesi Ć la Final Fantasy e il mondo Disney, oltre che uno dei più riusciti crossover di sempre. Ma soprattutto, a modo suo, finisce con l’incarnare la rivincita più grande diĀ Tetsuya Nomura, il cui nome, più che a Final Fantasy, rimarrĆ da adesso in poi finalmente legato in eterno alla “sua” saga, quella di Kingdom Hearts. Come, del resto, ĆØ giusto che sia.