Metro Exodus Recensione, l’esodo conclusivo di 4A Games verso la libertà

Metro Exodus

Troppo spesso si è portati a dare per scontato tutto quello che possediamo, ogni elemento che ci circonda, ogni singolo aspetto che contraddistingue la nostra esistenza, come se tutto fosse normale, ovvio, quasi banale. La gioia di respirare, ad esempio, di poter contemplare il perpetuo ondeggiamento delle onde marine, la soddisfazione di educare un figlio, di trasmettergli i giusti valori per crescere e affermarsi, la serenità di passeggiare rilassati in vallate cinte da monti innevati, e così via. Ciò da un lato avviene sicuramente per presunzione e saccenza, d’altronde l’uomo possiede questo tratto peculiare incastonato direttamente nel proprio DNA (la storia insegna), ma, probabilmente, anche perché la frenesia delle giornate vissute, le preoccupazioni e i problemi che caratterizzano la sua vita spesso lo annebbiano, lo distraggono e lo distolgono dalle cose realmente importanti, da quello che realmente conta. Ma la vita non perdona, non permette di tornare indietro, e da un momento all’altro si può perdere tutto: gli amici, gli amori, la libertà. E ciò che prima sembrava talmente a portata di mano da apparire futile e mediocre, ora, d’improvviso, risulta un miraggio in lontananza irraggiungibile, ostruito da paesaggi corrosi e logorati da radiazioni mortali, da mutanti orripilanti, feroci e deformi, da lande sterminate colme di città fantasma e rottami arrugginiti abbandonati. E l’uomo, che per sua natura è portato ad esplorare e vivere ogni attimo come se fosse l’ultimo, si ritrova ingabbiato in metropolitane putride e asfissianti, le quali in passato rappresentarono un luogo claustrofobico in cui passare il minor tempo possibile semplicemente per spostarsi, ed ora simboleggiano l’ultimo baluardo di un’inumanità destinata all’estinzione. Questo è sempre stato il messaggio portato avanti con forza e determinazione dalla serie di Metro, una delle saghe first person shooter più apprezzate degli ultimi anni, giunta ormai al terzo ed ultimo capitolo, mediante Metro Exodus, con lo scopo di chiudere definitivamente il cerchio, di rispondere agli ultimi quesiti rimasti irrisolti e, ovviamente, con l’ambizioso obiettivo di evolvere ulteriormente il gameplay del brand. 4A Games sarà riuscita nuovamente a propinare un prodotto di valore? Scopriamolo insieme.

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L’esodo conclusivo

Metro ha sempre posto un’enfasi eccezionale nei confronti del tessuto narrativo, e non a caso la trama dei due precedenti capitoli ha rappresentato uno degli elementi vincenti e fondamentali per l’affermazione del brand. Tratto in parte dal bestseller di Dmitrij Gluchovskij, il brand di Metro, nel corso degli anni, ha offerto storie di uomini sopravvissuti per caso ad una guerra atomica non meglio precisata, il dramma di una popolazione improvvisamente sottratta alle gioie della vita per essere confinata e costretta all’interno di metropolitane tanto lugubri e oscure quanto essenziali per sventare la minaccia radioattiva presente in superficie. Ma non solo: oltre a tutto ciò, è sempre stato dato grande risalto alla paura nei confronti del diverso, alla psicosi dell’ignoto, al timore del soprannaturale, non tanto perché considerabile “ultraterreno”, quanto soprattutto per l’ansia generata dalla precarietà dell’esistenza, facilmente sconvolgibile da esseri superiori chiamati Tetri, i quali avrebbero potuto in ogni momento radere al suolo l’unico rifugio sicuro a disposizione dell’umanità. Insomma, il confine tra misticismo, fantascienza e realtà è sempre stato un elemento chiave della saga, in grado, a nostro modo di vedere, di fornire quel pizzico di diversificazione in più capace di far emergere con veemenza il prodotto di 4A Games; ebbene, diciamolo subito, l’elemento chiaramente meno riuscito di Metro Exodus, purtroppo, risiede proprio nella narrazione, la quale, paradossalmente, pur abbandonando tematiche surreali e ascetiche per abbracciare elementi decisamente più concreti e realistici – e quindi più vicini al pubblico – perde clamorosamente fascino e attrazione, risultando in parte inconcludente e nel complesso poco convincente.

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L’intreccio narrativo di Metro Exodus inizia esattamente nel punto in cui si era interrotto con Last Light: i Tetri sono definitivamente scomparsi, e Artyom, protagonista di Exodus e dei precedenti capitoli, non riesce ancora, malgrado le vicissitudini che hanno caratterizzato la sua esistenza, a sopravvivere in serenità. Egli vuole ardentemente di più: sogna di respirare nuovamente aria pulita, desidera affannosamente una vita normale e aspira spasmodicamente a tornare un vero e proprio essere umano, non un verme strisciante rinchiuso nelle profondità delle metropolitane. Per questo, ogni giorno, come una sorta di rito propiziatorio, si dirige in esplorazione nella vasta città desolata di Mosca, con l’obiettivo di scovare un segnale radio o una flebile voce che gli possa fornire anche una minima speranza di realizzare il suo più recondito sogno: vivere all’aria aperta in zone non contaminate con la propria compagna Anna, tentando di rifondare una colonia umana che sappia riassaporare le gioie dell’esistenza, la bellezza di vivere pienamente. Questo progetto, più volte però, si scontrerà con la dura realtà degli eventi: nessuno risponde, tutte le comunicazioni sembrano definitivamente compromesse e l’unico suono percepito dal soldato è soltanto un perpetuo, gracchiante brusio in grado di ricordargli continuamente la schiacciante pesantezza della solitudine. Fino a che, un giorno, andato in missione nella gelida metropoli russa, Artyom non scopre un’eloquente verità: per tutta Mosca, probabilmente subito dopo la guerra, sono stati installati dei disturbatori, i quali impediscono a chiunque sia di percepire trasmissioni esterne che di registrare movimenti all’interno della città. Tutto ciò perché, secondo il Colonnello Miller – vecchia conoscenza dei precedenti capitoli – la guerra non è ancora conclusa, e il popolo russo non può di certo essere rilevato da forze armate straniere, con il rischio di azionare un nuovo conflitto globale. La sconvolgente rivelazione, però, apre ad una serie di domande fondamentali e imprescindibili: dove sono le forze di occupazione? Perché ovunque c’è desolazione? Cosa impedisce al governo di riorganizzare il paese? Ma soprattutto: cosa è stato fatto negli ultimi vent’anni?

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Come avrete sicuramente notato, l’incipit narrativo della produzione appare forte, deciso e d’impatto, capace, nelle intenzioni, di risolvere finalmente i quesiti da sempre presenti nel brand ma mai realmente affrontati, e di fornire un quadro generale più ampio tanto sullo stato politico della nazione quanto sulle sorti del governo. Scotta dirlo ma, eccetto un paio delle domande appena poste, la maggior parte di esse rimarranno, per l’ennesima volta, senza una vera risposta, lasciando il giocatore piuttosto insoddisfatto della decisione intrapresa. Ma non è nemmeno questo il reale problema della narrativa di Metro Exodus: la trama, infatti, non riuscirà mai, per tutte le 18/20 ore che abbiamo impiegato per completare il titolo, a coinvolgere completamente il fruitore, complice anche una gestione dei ritmi di gioco davvero poco riuscita; ci troveremo, difatti, troppo spesso a camminare continuamente attendendo che qualcosa accada e a parlare costantemente con personaggi non molto interessanti e poco sviluppati. La perdita dell’alone di misticismo è particolarmente evidente, e tralasciando la splendida sezione finale, capace di riassumere egregiamente i motivi per cui Metro è divenuto un brand di successo – in grado di regalare al player un mix di sensazioni a metà tra l’angoscia, l’ansia e il mistero – tutta la storia, nel complesso, non riuscirà minimamente a rivaleggiare con quanto offerto in passato. Ma a tutto c’è un motivo, e secondo noi ciò è dipeso dalla grandissima evoluzione subita sia dal gameplay che dagli ambienti di gioco.

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Open World? No, grazie!

Si, perché 4A Games non si è soltanto limitata a perfezionare la formula di base della produzione, ma ha deciso di compiere un lavoro di riconcepimento generale degli ambienti in cui viaggeremo, con lo scopo di fornire maggiore respiro alla giocabilità della produzione, espandendola e migliorandola sotto tutti i punti di vista. Se ben ricordate, nei precedenti capitoli le location apparivano piuttosto limitate e limitanti, sicuramente ben costruite, ma non secondo le effettive potenzialità del gameplay della saga. Tutto ciò si concretizzava in un’esplorazione sicuramente soddisfacente, ma mai completamente esaustiva, proprio per i limiti precedentemente citati. Beh, sarete soddisfatti nello scoprire che in Metro Exodus questa sensazione scomparirà già dopo la prima ora di gioco, in quanto gli sviluppatori hanno indirizzato le proprie energie nella costruzione di mappe sandbox particolarmente ampie, le quali, per la gioia degli esploratori più audaci, potranno essere ispezionate in lungo e largo completamente senza alcun vincolo, potendo fronteggiare avamposti nemici, scovare rifugi segreti in cui trovare preziosi materiali e, in generale, immergersi in territori dal forte impatto artistico e visivo. L’elemento, infatti, in cui lo stravolgimento appena citato influirà di più sarà proprio la completa estraneazione da ciò che ci circonda, con il chiaro scopo di catapultarci nelle spettacolari lande desolate concepite dalla software house. Il senso di smarrimento, inquietudine e, se vogliamo, in alcuni tratti, di ansia provate dal protagonista saranno perfettamente trasposte al giocatore, il quale, trovandosi in paesaggi così ampi e vasti, caratterizzati da continui spostamenti di orde di voraci mutanti o di disgustosi mostri acquatici, si sentirà spesso spaesato e in difficoltà. Insomma, un lavoro di caratterizzazione dell’ecosistema davvero eccezionale, in grado di soddisfare in pieno anche per quel che concerne la varietà, avendo l’opportunità di osservare i più disparati habitat in tutte le stagioni.

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Se ci pensiamo attentamente, soprattutto osservando la metamorfosi dei precedenti capitoli, questo cambiamento era necessario e quasi obbligatorio, in quanto l’altra grande novità inserita dalla software house nell’ossatura del gameplay di Metro Exodus risiederà tanto nel crafting, decisamente più profondo e articolato rispetto al passato, quanto nella personalizzazione dell’equipaggiamento del nostro protagonista, il quale non passerà più nei “negozi” della metro per incrementare il potenziale bellico delle proprie armi, ma agirà sulle statistiche degli strumenti di morte sfruttando uno zaino di “ultima generazione” (passateci il termine), grazie al quale inserire potenziamenti, creare oggetti e raccogliere pregiate risorse. Difatti, vi ricorderete sicuramente, negli scorsi Metro l’azione di esplorazione si concretizzava esclusivamente nella raccolta di munizioni possedute dai cadaveri dei soldati deceduti e nel ritrovamento di filtri, senza ulteriori particolarità o stratificazioni di sorta. Ora, invece, in Exodus sarà possibile, oltre a racimolare gli elementi prima citati, raccattare anche degli speciali nuovi materiali, i quali permetteranno al player di fabbricare in qualsiasi momento medikit, granate, coltelli da lancio e filtri, consentendogli, insomma, una gestione complessiva del personaggio nettamente superiore. Ma non è finita qui: difatti, sia a bordo dell’Aurora – lo speciale treno che sfrutterete per spostarvi di location in location – che in rifugi scovati autonomamente negli ambienti di gioco, sarà possibile sfruttare i servigi di tavoli da lavoro, grazie ai quali si potranno sia realizzare preziose munizioni che agire nei confronti della tuta, innestando delle migliorie scovate durante l’esplorazione degli ambienti. Appare, pertanto, abbastanza chiara la volontà degli sviluppatori di accentuare le dinamiche Survival e da GDR, non raggiungendo, ovviamente, mai picchi di complessità troppo elevati e rimanendo saldamente ancorati ad un livello di difficoltà sempre ben gestita e bilanciata.

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Crafting e personalizzazione

Inoltre, grazie alle funzionalità dello zaino, ogni singola bocca da fuoco che incontreremo nel corso dell’avventura potrà essere smontata all’occorrenza, potendo, così, in qualsiasi momento recuperare modifiche non possedute e installarle istantaneamente sul nostro strumento di morte preferito: un netto e deciso cambio di rotta rispetto a Last Light e 2033, nei quali era obbligatorio giungere in un negozio d’armi per migliorare il proprio equipaggiamento. A nostro modo di vedere questa implementazione non risulterà semplicemente fine a se stessa, ma in grado di porre una certa enfasi su tatticismi e strategie impiegabili in battaglia, permettendo davvero una grande libertà nell’approccio agli scontri. Nel caso in cui, infatti, volessimo agire in maniera del tutto silente per non attirare l’attenzione nemica ci basterà installare sull’estremità del nostro fucile un bel silenziatore, così da fronteggiare gli avversari indisturbati e senza pericoli; al contrario, invece, nel caso in cui la situazione sia particolarmente grigia, e necessitassimo di maggiore supporto bellico, creare immediatamente granate esplosive oppure sfruttare le potenzialità di accessori meno discreti e più dannosi non sarà affatto un problema, fornendo al player totale carta bianca su come combattere.

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Innovazioni e compromessi

Queste implementazioni, ovviamente, non sarebbero state possibili se non si fosse operato ottimamente nei confronti di un’evidente ingrandimento generale delle location, le quali, oltre a risultare nettamente più vaste, appariranno anche stracolme di sfiziosi segreti e oggetti da raccogliere. L’esplorazione, pertanto, non risulterà più una feature accessoria e collaterale, ma saprà garantire quel tocco di profondità in più fondamentale per mantenere la soglia dell’attenzione sempre elevata. Pur non essendo in alcun modo obbligatorio, vi consigliamo caldamente di perdervi liberamente negli ampi spazi concepiti dalla software house, in quanto sapranno stupirvi e avvolgervi globalmente, oltre ad incrementare drasticamente la longevità della produzione, la quale ovviamente aumenterà e decrescerà a seconda della vostra propensione all’esplorazione certosina. Malgrado la rinnovata struttura delle mappe fornisca davvero un sostanziale plus alla giocabilità di Metro Exodus, è impossibile non sottolineare come, probabilmente, questo sia anche il motivo per cui la narrativa non riesca a colpire più di tanto: molto spesso, difatti, assorbiti dagli incarichi secondari, la nostra attenzione rimarrà fin troppo poco focalizzata sulle motivazioni per cui stiamo compiendo determinate azioni, e questo ovviamente inficerà pesantemente tanto sul ritmo della narrazione quanto sull’efficacia della stessa. Probabilmente è stato un sacrificio necessario affinché il terzo capitolo evolvesse in maniera convincente le meccaniche dei predecessori, ma lo scotto da pagare non è stato affatto leggero. Per il resto il gunplay è rimasto sostanzialmente invariato: il feeling con le armi apparirà sì piuttosto legnoso a causa dell’arretratezza del vostro equipaggiamento, ma mai fastidioso, risultando convincente come sempre. Qualcosa in più, forse, poteva esser compiuto nei confronti della armi, le quali, eccetto qualche piccola introduzione, saranno le stesse dei precedenti capitoli: una maggiore varietà in questo sarebbe stata sicuramente apprezzata.

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Tecnicamente, infine, il titolo ci è apparso davvero di ottimo livello: certo, nulla di realmente rivoluzionario, soprattutto per quel che concerne le animazioni e le espressioni facciali dei vari personaggi (le quali risulteranno piuttosto claudicanti), ma comunque assolutamente gradevole e soddisfacente. Tutto ciò, sicuramente, è stato possibile anche grazie ad un sistema di illuminazione superlativo, in grado di generare scorci suggestivi e contrasti di luce particolarmente ispirati. Eccezionale la direzione artistica, capace più volte di lasciare a bocca aperta il fruitore: immergendosi in Metro Exodus sembra proprio che gli sviluppatori si siano profondamente divertiti nel testare il loro engine in ogni contesto, location e clima possibile, regalando una varietà complessiva di assoluto valore. Anche il doppiaggio apparirà ben recitato e caratterizzato da voci ottimamente scelte e collocate, per quanto la versione inglese rimanga comunque superiore.

In conclusione, Metro Exodus simboleggia in maniera inequivocabile – quantomeno sotto il profilo del gameplay – il miglior Metro mai realizzato, caratterizzato da location vaste, ottimamente edificate e mai eccessivamente dispersive, costruite appositamente per incrementare a dismisura l’immersione degli ambienti e per evolvere in maniera significativa la giocabilità del brand. Anche la possibilità di costruire in qualsiasi momento tanto medikit e munizioni quanto potenziamenti e modifiche per le nostre bocche da fuoco rappresenta un importante passo in avanti per quel che concerne il gameplay, fondamentale a nostro avviso per amplificare a dismisura il tatticismo degli scontri. Peccato davvero, duole ammetterlo, che tutto ciò non si sposi alla perfezione con una narrativa di spessore, contraddistinta da personaggi carismatici, e che sappia seriamente appassionare, in quanto di spunti interessanti ce n’erano davvero a bizzeffe, e si sarebbe potuto fare molto, ma molto di più. Malgrado ciò, gli appassionati della saga troveranno un prodotto che difficilmente potranno lasciarsi sfuggire, anche solamente per vivere l’esodo finale verso la libertà di Artyom, salutandolo per sempre.

Alessio è un grande appassionato di videogiochi sin da bambino. La prima volta che prese in mano un controller fu nel lontano 2000, trovandosi affascinato ma al tempo stesso terrorizzato dallo spietato mondo di Dino Crisis, considerato il suo gioco preferito. Ama follemente le saghe di Assasin's Creed, Uncharted, Ratchet and Clank e Metal Gear Solid. Nutre un profondo interesse per i manga, riconoscendo come suo fumetto preferito Naruto.