Spike Volleyball Recensione

Spike Volleyball

Quando si parla di videogiochi sportivi, è strano constatare come spesso la popolarità non vada di pari passo con l’offerta ludica: mentre il calcio, il football americano, il basket e il baseball possono contare su iterazioni annuali dal budget sostanzioso, altre discipline che vantano comunque sostegno e sponsorizzazioni di tutto rispetto sembrano aver perso l’attrattiva che un tempo portava le case di software ad investire nelle loro controparti digitali. In tal senso, la pallavolo a sei ha da sempre rappresentato quasi un tabù in termini di validi adattamenti interattivi che, al contrario della sua versione da spiaggia, ad oggi si possono realmente contare sulla punta delle dita: difficile infatti trovare qualcosa oltre ai classici da sala come gli intramontabili Power Spikes I e II della V-System e World Cup Volley ’95 firmato Data East, oppure Dig & Spike per Super Nintendo o ancora International Volleyball 2009 per PC, tralasciando veri e propri orrori poligonali quali Waku Waku Volley e Virtual Volleyball che hanno funestato i possessori di console a 32-bit. E così, questo Spike Volleyball si ritrova a colmare un vero e proprio cratere anziché una semplice lacuna, obiettivo ambizioso che Black Sheep Studio ha scelto di perseguire insieme a Bigben Interactive, casa editrice con il pallino per gli sport meno blasonati in ambito virtuale. La possibilità di gestire e personalizzare ben 50 squadre internazionali di volley, sia maschili che femminili, con una carriera divisa fra partite di campionato e nuovi ingaggi assicurati dal lavoro incessante dei talent scout che garantiscono un flusso di giocatori proporzionale ai nostri successi in campo, nonché la presenza del multiplayer locale e online ed un’intrigante varietà di missioni settimanali con obiettivi diversificati promettono di regalare ore interminabili di ricezioni, alzate e schiacciate come molti di noi sognavano di fare durante gli anni del liceo. Il team francese avrà dunque realizzato uno spettacolare punto in terzo tempo oppure un clamoroso fallo di invasione?

Spike Volleyball

Tute colorate, noccioline e gelati

Al contrario della frenetica impronta arcade impiegata, ad esempio, nei vari capitoli Xtreme di Dead or Alive, l’approccio adottato da Spike Volleyball è più simulativo e permette di tenere sotto controllo l’intero sestetto di atleti con una manciata di comandi: ricezione, scelta dell’attaccante e muro sono azioni che si effettuano tramite la semplice pressione di un tasto, avendo l’accortezza di concertare l’azione con il più ampio margine di manovra possibile per ottenere risultati migliori, mentre servizio e schiacciata richiedono anche di calibrare la potenza e posizionare un mirino nel campo avversario verso il quale verrà diretta la palla a seconda dell’abilità del giocatore selezionato. La modalità carriera offre anche l’opportunità di inviare i propri reclutatori alla ricerca di atleti sempre più forti che gareggiano in campionati diversi, e i crediti guadagnati con le vittorie possono essere investiti per migliorare la parte gestionale e rimpolpare la cerchia di pallavolisti che indossano la nostra (personalizzabilissima) casacca. Tutto davvero molto bello su carta, ma purtroppo il tempo, le risorse o un misto di entrambe le cose non hanno favorito i ragazzi parigini, che hanno evidentemente dovuto stringere la cinghia su troppi aspetti fondamentali e si sono trovati costretti a rilasciare un prodotto che avrebbe beneficiato di qualche altro mese di lavorazione: come già detto, lo schema di base funziona bene, ma le movenze approssimative e imprecise dei giocatori non consentono quasi mai di posizionare gli stessi in maniera efficace, e così qualunque tipo di azione si riduce nel tentare di regolare lo schieramento con i tasti dorsali e sperare che vada tutto per il meglio.

Spike Volleyball

Le animazioni ingannevoli, poi, non aiutano per niente, dato che la postura spesso non corrisponde affatto alla traiettoria lungo la quale viene alzata o scambiata la palla, e non capita di rado che la prima vada in direzione completamente opposta, quando non casuale, rispetto a quella verso la quale è rivolto l’atleta che la intercetta. Tale difetto viene messo ulteriormente in evidenza dai replay, le cui inquadrature ravvicinate mostrano le braccia dei pallavolisti agitarsi in aria senza colpire nulla, mentre la sfera assume traiettorie repentine e improbabili come nei migliori episodi di Holly & Benji. Inutile a dirsi, la componente online riesce a peggiorare ancora di più le cose, aggiungendo un insopportabile lag ad un gameplay già parecchio sconnesso di suo: difficile appassionarsi alla competizione quando si è schiavi di un bolide impazzito che si materializza un po’ ovunque sul parquet laccato. Ecco, se non altro il design degli stadi al coperto è meritevole e lascia trapelare una cura che, forse per i motivi ipotizzati poc’anzi, non è riuscita ad estendersi al resto del gioco. Nemmeno i pallavolisti, per quanto suddivisi in decine di nazionali maschili e femminili, sfoggiano fattezze realistiche o quantomeno distinguibili: Spike Volleyball non detiene infatti alcuna licenza, pertanto i modelli tridimensionali sembrano ricavati da uno stampino generico che ne diversifica appena i connotati o il colorito della pelle. Gli sviluppatori non hanno nemmeno provato a ricreare i tratti distintivi di alcuni fra i giocatori più famosi, come l’altezza o il taglio di capelli, dunque ciascuna squadra annovera una dozzina di membri accomunati semplicemente da una vaga fisionomia similare.

Spike Volleyball

Gomma americana, bandierine e noi qui

Oltre alla succitata carriera, alle amichevoli e alle missioni settimanali, il titolo di Black Sheep Studios non ha altro da offrire al suo pubblico, e quel poco che c’è non è nemmeno divertente da provare se non per contemplare l’inusitata varietà di stranezze balistiche accompagnate da un motore grafico poco al passo con i tempi, un Unreal Engine 4 che gira a bassissimo regime. La profondità strategica viene annichilita dai controlli lacunosi e dalla fisica bizzarra che impedisce l’adozione di schemi o tattiche efficaci, peraltro selezionabili durante i tempi morti che precedono un servizio o una ricezione ma che sembrano non sortire particolari effetti dato che i giocatori sono perfettamente in grado di ribattere una palla anche se si trovano a diversi metri di distanza, oppure di lasciarla cadere a terra pur trovandosi a contatto con la stessa. La mia potrebbe sembrare cattiveria gratuita a questo punto, ma sfortunatamente corrisponde all’amara verità: nessuno degli elementi che avrebbe potuto far assurgere Spike Volleyball nell’olimpo delle simulazioni digitali riesce a spiccare tra la mediocrità generale e assoluta che lo caratterizza, e il rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere riesce soltanto a far rimpiangere altri predecessori ben più meritevoli. Considerato inoltre il prezzo decisamente elevato, investire tempo e denaro per recuperare un GameCube con una copia di Beach Spikers potrebbe essere un’alternativa di gran lunga più valida piuttosto che struggersi per trovare del buono in una produzione che di buono ha poco e niente.

 

Spike Volleyball aveva tutte le carte in regola per riscattare una disciplina che ha pochissimi equivalenti in ambito videoludico, ma in realtà riesce soltanto a fare una rabbia incredibile: rabbia perché si tratta di un’occasione sprecata, un gioco dal potenziale notevole affossato da una pletora di difetti complicati da mettere a posto a meno di un regolare ed estensivo rilascio di patch che, francamente, non penso vedranno mai la luce. Allo stato attuale, risulta difficile da consigliare persino ai più stoici appassionati che attendevano da anni un titolo del genere, qualunque sia il prezzo cui riusciate a trovarlo. Provaci ancora, Black Sheep, magari con tempi di sviluppo un po’ più indulgenti.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.