Sekiro Shadows Die Twice |Giappone, periodo Sengoku. Il Sol Levante è scosso da tumulti, i Daimyo si ribellano e le città bruciano. Nascono nuovi, belligeranti Stati e altrettanti scompaiono nelle lotte fratricide che stanno, letteralmente, radendo al suolo il Giappone feudale. Quest’era cupa, con le sue contraddizioni e la sua filosofia, è lo sfondo di Sekiro Shadows Die Twice, l’ultima fatica del team capitanato da Hidetaka Miyazaki, FromSoftware, e pubblicato da Activision. Presentato per la prima volta al mondo durante lo scorso E3 2018, Sekiro ha sin da subito colpito la fantasia dei fan di Dark Souls e Bloodborne, in attesa già da tempo di quel famigerato tocco che, sembrerebbe, solo Miyazaki-San sia in grado di conferire ai titoli targati From. Ebbene, in questo nuovo titolo il tocco si sente, credeteci, in alcuni casi la sensazione è quasi palpabile, alla stregua di un repentino affondo dritto al centro del nostro cu… cuore! Citando Dark Souls e Bloodborne non si può fare a meno di mettere subito in chiaro un punto: Sekiro Shadows Die Twice non ha molto da spartire con gli altri titoli di From. A parte alcune piccole contaminazioni, di fatto non così rilevanti, ci troviamo di fronte ad un prodotto del tutto avulso dalle precedenti opere di Miyazaki. Un titolo che predilige il lato action a scapito della componente da gioco di ruolo, un’avventura che non potremo plasmare a nostro piacimento né, tantomeno, piegare ma che dovremo vivere secondo la via degli shinobi.
Sekiro Shadows Die Twice: un Lupo mutilato ma non sconfitto
La storia che ci guida attraverso le terre di Ashina, va detto, non brilla per originalità. Durante uno scontro, nel tentativo di difendere Kuro, il nostro lord, dal leader del clan Ashina, verremo sconfitti e mutilati da quest’ultimo che rapirà il nostro giovane protetto. Creduti morti, e in parte increduli noi stessi per essere sopravvissuti, verremo presto messi sulle tracce di lord Kuro da un Busshi, Lo Scultore, che ci donerà un nuovo braccio sinistro per rimpiazzare quello perduto in battaglia contro lord Genichiro Ashina. Insieme alla protesi, che diventerà parte integrante delle nostre battaglie al pari della nostra fidata katana Kusabimaru e ci conferirà un vantaggio al momento di incrociare le lame, Lo Scultore ci dona anche un nuovo nome: Sekiro. Da questo momento in poi la storia, piuttosto lineare, comincia e starà a noi affinare le nostri doti da shinobi per riuscire a ricongiungerci con Kuro e sventare così i piani di lord Genichiro Ashina. Come accennato, la trama non è delle più originali, ma riesce comunque a fare il suo lavoro grazie ad una direzione artistica particolarmente ispirata e ad una narrativa non più affidata in toto, come accadeva in Dark Souls ad esempio, all’intuito del giocatore ma srotolata attraverso continui accenni ambientali e numerose cutscene non eccessivamente criptiche. Una novità, considerando l’abitudine di Miyazaki di tenere all’oscuro persino i suoi collaboratori riguardo alcuni dettagli di trama, che consente al giocatore di capire e vivere la storia di Sekiro quasi come fosse la propria. La stessa cura, forse in misura ancora maggiore, viene trasposta alla cosiddetta lore del mondo di gioco: ogni evento, ogni oggetto, ogni nemico ha una spiegazione chiara, non sibillina, libera da fraintendimenti e scevra da inutili orpelli. Certo, non mancano i piccoli misteri e i numerosi segreti ai quali From ci ha abituati nel corso di questa ultime decade, ma tutto è meno nebuloso, più cristallino. Se da un lato questo può essere giudicato un passo avanti da parte del team di sviluppo, dall’altro ai veterani delle opere di Miyazaki-San la cosa potrebbe far storcere il naso. Purtroppo, lo diciamo per esperienza, uscire dagli schemi che finora ci sono stati proposti da From Software potrebbe risultare difficile, specialmente per lo “zoccolo duro” di appassionati; ma, una volta lasciata alle spalle l’esperienza con Dark Souls e Bloodborne tutto assume una nuova dimensione e, a conti fatti, questo modo di proporre gli eventi in gioco risulta congeniale.
Petardi, arpioni e lame celate: Sekiro ha mille risorse!
Sekiro Shadows Die Twice: nuove, taglienti zanne per il Lupo
Parliamo del gameplay, che sin dalle prime battute si discosta nettamente da quanto sperimentato finora nelle opere di From Software. Scordatevi statistiche, roll e backstab, prima lo farete prima riuscirete a entrare nello spirito giusto. In Sekiro Shadows Die Twice non sarete un non-morto dal potenziale illimitato o, ancora, un cacciatore con la facoltà di scegliere il vostro strumento di morte. La via dello shinobi è una sola, e c’è un solo modo di percorrerla: con sudore, sangue, a tratti frustrazione e, infine, abnegazione. Sekiro avrà a sua disposizione solo la sua katana, Kusabimaru, e il suo braccio prostetico. L’utilizzo in sinergia di queste due armi, potentissime se usate con perizia e del tutto inutili se sventolate senza cognizione di causa, insieme alle abilità che sbloccheremo nel corso della nostra avventura, è l’unico mezzo per raggiungere il nostro scopo e riuscire a trionfare contro le incredibili minacce messe in campo da From Software. La katana sarà il nostro strumento principale, grazie ad essa potremo non solo sfilettare in pieno stile Jirō Ono i samurai avversari ma anche difenderci da ogni loro attacco. Premendo col giusto tempismo il tasto assegnato alla parata potremo infatti deflettere praticamente ogni attacco a parte le prese, vanificando i tentativi nemici di affettarci come angurie. La parata è la meccanica centrale che governa gli scontri in Sekiro, soppiantando di fatto la schivata o il roll che tante volte hanno salvato le nostre vite nei precedenti lavori di From. Semplice da apprendere, un po’ meno da padroneggiare, la deflessione degli attacchi sarà spesso il metodo migliore per aprirsi un varco attraverso le difese nemiche e riuscire, finalmente, a piantare la nostra katana tra le costole del nostro avversario. Il funzionamento di questa meccanica è piuttosto facile: abbandonata l’idea di avere una barra della stamina, in combattimento -o ogni qual volta assumeremo la posizione di guardia- verrà visualizzata una barra, che si riempirà man mano che effettueremo parate con il tempismo sbagliato o attacchi a vuoto. Una volta che la barra sarà piena ogni attacco, se non respinto in modo perfetto, spezzerà la nostra guardia lasciandoci storditi e inermi, alla mercè di un affondo nemico. La stessa cosa è applicata, ovviamente, ai nostri avversari: spezzando la loro guardia sarà possibile infliggere un colpo letale che, a seconda dei casi, potrebbe essere risolutivo dello scontro. Alcuni nemici, infatti, necessitano di più colpi letali per essere spediti nella tomba.
Insieme a Kusabimaru il nostro arsenale comprende la protesi shinobi, un arto artificiale donatoci da Lo Scultore e che va a rimpiazzare il braccio sinistro che il buon Genichiro Ashina ha pensato bene di mozzarci. Attrezzata di base con un rampino in grado di garantirci un’estrema mobilità -e una via di fuga casomai la situazione si facesse troppo concitata- e la possibilità di raggiungere aree del mondo altrimenti inarrivabili, questa protesi può essere equipaggiata nel corso del tempo con nuovi strumenti. Ognuno di questi, dalla Castagnola Shinobi -un petardo in grado di confondere i nemici- all’Ascia Caricata -arte prostetica in grado di frantumare gli scudi avversari- sarà migliorabile spendendo materiali e Sen -monete d’oro lasciate a terra dai nemici- presso Lo Scultore. Ad ogni miglioramento corrisponderà un nuovo modo di impiego per lo strumento che, usato nelle giuste condizioni, può essere la differenza tra un duello vinto e l’ennesima morte. Alla protesi shinobi e la katana si affiancano, infine, le arti di combattimento -divise in attive e passive– e speciali tecniche note come Ninjutsu, che si sbloccheranno progredendo nel gioco e mietendo vittime. Queste, shinobi, saranno le vostre armi. Oltre a ciò, dalla vostra, avrete due sole altre risorse: l’ambiente di gioco, che se sfruttato a dovere è un’arma al pari della vostra katana, e la vostra abilità.
Sparito anche il concetto di livello, almeno nel senso più puro del termine, e abbandonate in larga misura le meccaniche da gioco di ruolo che abbiamo imparato a conoscere in Dark Souls e Bloodborne, Sekiro presenta una progressione del personaggio più lineare, con una preponderanza verso la componente action a scapito della personalizzazione. Uccidendo nemici e boss, questi ultimi presenti in gran numero e ognuno dotato di peculiarità uniche, guadagneremo punti esperienza e Sen. I primi, accumulandosi, ci garantiranno l’accesso a punti di sblocco necessari per acquistare alcune abilità mentre i secondi saranno necessari per effettuare l’upgrade della nostra protesi shinobi e per l’acquisto, presso alcuni NPC di oggetti e materiali utili al proseguimento delle nostre avventure ad Ashina. In tutto questo si inserisce la meccanica della resurrezione. Sekiro, infatti, è un tipo tosto: non è così facile ucciderlo, o meglio, farlo definitivamente. A seconda delle condizioni, infatti, qualora un fendente nemico dovesse tagliarci a metà avremo la facoltà di risorgere sul posto per proseguire il combattimento o tornare presso un checkpoint per non perdere punti esperienza e Sen. Ogni volta che moriremo perderemo -in via definitiva, nessuna pozza di sangue qui- la metà dei nostri “risparmi” e punti esperienza: l’unica speranza di mantenere i nostri progressi in tal senso anche dopo l’ennesima morte è affidata all’Aiuto Divino. Di quando in quando infatti il Buddha deciderà di benedirci, lasciandoci risorgere senza penalità. Questo evento, che capita randomicamente in base ad una percentuale che si alza e abbassa a seconda di quante volte moriremo in game, va a mitigare seppur lievemente la sensazione di impotenza che può sopravvenire di fronte ad alcuni ostacoli, apparentemente inamovibili, che incontreremo progredendo nel nostro cammino.
Una verticalità inedita per Sekiro Shadows Die Twice
Sekiro Shadows Die Twice: un mondo vasto da esplorare in silenzio
Il mondo di gioco di Sekiro è forse quanto di meglio ci si potesse aspettare da From e da Miyazaki: aree interconnesse, una verticalità che va ad espandere ulteriormente il concetto di shortcut e sfruttamento dell’ambiente di gioco -spesso, infatti, approfittare di sporgenze sopra le teste dei nostri nemici sarà il metodo migliore di eliminarli- rispetto alle passate produzioni della software house. A questo, inoltre, va aggiunto un comparto stealth che, seppur abbastanza grezzo – di fatto ridotto alla possibilità di muoversi furtivamente e sferrare, di quando in quando, attacchi alle spalle su nemici ignari – riesce a dare al giocatore la possibilità di vagliare diversi approcci per ogni singolo scontro. Buona anche l’integrazione con l’intelligenza artificiale e le routine dei nostri nemici, anche se qualche piccola magagna tecnica è emersa. È infatti capitato, in diverse occasioni, di passare inosservato tra gruppetti di nemici e, per contro, di allertare pattuglie a distanze di decine di metri a seguito di un’uccisione furtiva. Ma, al netto di queste imperfezioni, lo stealth in Sekiro è una meccanica vincente e appagante, ben amalgamata con l’esperienza di gioco offerta da From.
Sekiro Shadows Die Twice raggiunge davvero nuove vette di difficoltà?
Sul fronte tecnico Sekiro Shadows Die Twice riesce a rappresentare un ottimo compromesso tra resa grafica e prestazioni, seppur permangano alcuni difetti che, ormai, possono quasi essere presi come una sorta di licenza autoriale da parte del team di Miyazaki. A fronte di ottimi effetti particellari, animazioni nel complesso di ottima fattura, texture e modelli poligonali ben curati ci siamo ritrovati, infatti, a fare i conti con compenetrazioni degli attacchi nemici in grado di colpirci attraverso le pareti e, cosa ancora più fastidiosa e a tratti frustrante, una pessima gestione della telecamera in grado, da sola, di far desistere il giocatore dal proseguire. Il sonoro è, come sempre, perfettamente curato e la completa localizzazione in italiano è stata ben realizzata anche se, nella nostra opinione, il doppiaggio originale riesce a restituire al giocatore un pathos che si perde nella controparte italiana, senza voler togliere nulla all’ottimo lavoro dei doppiatori.
Rimane solo un punto da chiarire, e riguarda la difficoltà di Sekiro Shadows Die Twice. Da alcuni è stato già definito come il titolo più complicato di From Software, ma non ce la sentiamo di etichettarlo come tale. Sekiro è solo diverso, un prodotto che va oltre le precedenti esperienze partorite da Miyazaki e che, per la prima volta, punisce il giocatore in modo sensato. Se sbagli, paghi: che sia in punti esperienza, Sen o anche solo brandelli di sanità mentale, il mantra di Sekiro Shadows Die Twice è da ricercarsi nella perfezione. Ogni parata, ogni schivata, ogni affondo: tutto deve essere perfettamente eseguito, nei tempi esatti e senza sgarrare. Sekiro ci insegna a non sfoderare la nostra katana se non intendiamo usarla al meglio e ci ricorda come, nonostante la pratica, nessuno sia esente da errori. È vero, sacrosanto, che la difficoltà sperimentata nelle prime ore di gioco possa rappresentare uno scoglio insormontabile per alcuni giocatori e questo, forse, è il più grande difetto di Sekiro; un titolo tutto sommato accessibile a chiunque, dove ci viene spiegato esattamente come e cosa fare per sopravvivere, ma che riesce ad essere incredibilmente spietato e con una curva d’apprendimento talmente ripida da essere quasi una verticale. Ma, una volta imparate le basi e, soprattutto, una volta capita la filosofia che deve governare i nostri scontri, la difficoltà diventa uno stimolo a far meglio, a crescere come giocatore. Odiare Sekiro, sentirsi quasi traditi dalla sua – apparentemente – iniqua difficoltà è facile, così come è semplice fare paragoni con i suoi più blasonati predecessori. L’impressione è che da un lato ci sia la volontà, ferrea, di From e Miyazaki di portare al giocatore un’esperienza nuova pur cercando di mantenere quelle peculiarità che contraddistinguono da anni il lavoro della software house. In conclusione, un titolo che non può assolutamente mancare nella collezione di ogni hardcore gamer e che – ma sarà il futuro a dirlo – potrebbe rappresentare un vero e proprio punto di svolta per From, forse finalmente “libera” di slegarsi dai suoi brand più iconici.