Final Fantasy XII The Zodiac Age, Recensione della versione Switch

Final Fantasy XII The Zodiac Age | Il ritorno dei Final Fantasy verso le console Nintendo ha segnato una svolta storica che non tutti, negli ultimi tempi, sono stati in grado di comprendere appieno: Square Enix ha infatti trovato in Switch la piattaforma ideale per restituire splendore e gloria ai suoi JRPG più classici, in attesa dei necessari sviluppi tecnici atti a rendere portatili anche le più recenti fantasie, provenienti dalle nuove generazioni. L’ultimo arrivato è proprio quello finale fra i “vecchi”, ovvero Final Fantasy XII, un capitolo unico e peculiare che all’epoca fu fortemente divisivo e che, anche alla luce delle derive successive intraprese dalla serie, non venne capito e ricordato come davvero meritava. Ormai è più di un decennio che i Final Fantasy principali seguono sempre più o meno la stessa sorte: vendite ottime, seguite da una generale gogna popolare e infine da una successiva rivalutazione. Square Enix, in effetti, sa gestire molto bene i suoi brand nel corso del tempo, e la dodicesima fantasia non è la prima ad essere stata riproposta almeno una volta: i possessori di PlayStation 4 hanno già potuto rigiocarla tre anni fa in una versione riveduta e corretta, nota come The Zodiac Age. Proprio quest’ultima arriva ora anche su Xbox One e Nintendo Switch: se sulla versione per console Microsoft non c’è molto da dire (le differenze con la controparte Sony sono minime), quella per la piccola ibrida giapponese è un vero gioiellino.

Questa gentil donzella è al centro della trama di Final Fantasy XII

Quello di Final Fantasy XII è un mondo politico, fondato sui rapporti di forza

Prima, però, di spiegare – e ci arriveremo alla fine – il motivo per cui dovreste assolutamente considerare questa versione on the go come prima scelta per avvicinarvi a Final Fantasy XII, facciamo un passo indietro e vediamo di rispolverare (o conoscere per la prima volta) quel che si trova su disco, anzi, su cartuccia. Pur diametralmente opposto a Final Fantasy X, che cinque anni prima narrava una storia emotiva, nostalgica e imperniata su sensazioni semplici, legate all’affezione verso i personaggi e le loro storie più che alla lucida comprensione delle vicende su scala generale, Final Fantasy XII è ricordato come una vera e propria perla in materia di narrazione e di gestione del quadro geopolitico del mondo in cui è ambientato, almeno da chi all’epoca (sbarcò sul mercato nell’ormai lontano 2006) ne aveva compreso e accettato il differente tono rispetto al recente passato. Il dodicesimo capitolo, che nacque con l’idea di imprimere alla serie una direzione ostinata e contraria (mi perdonerete la citazione musicale), ebbe una lavorazione lunga e travagliata, che non inficiò più di tanto il risultato finale ma al contrario gli diede un aspetto poliedrico, fatto di tante componenti che, pur nascendo da filosofie differenti, dovevano combaciare tra loro. La storia, ad esempio, non si distanziava più di tanto dal solito, inconfondibile stile che caratterizza i Final Fantasy, sebbene incentrata non più sui sentimenti e sulla religione, bensì su intrighi politici e nazioni da conquistare. Pur non particolarmente innovativo nella sua costruzione narrativa, che si rifaceva chiaramente ai capisaldi del cinema d’intrattenimento come Star Wars, Final Fantasy XII cambiava decisamente sia tono che scala, virando verso un racconto più complesso e maturo, ricco di personaggi primari e secondari ben caratterizzati e inseriti in un intreccio a cui si arrivava ad affezionarsi solo dopo molto tempo, studiando ben bene l’universo di Ivalice e le sue sottotrame. Il pretesto che dava il alla vicenda principale era l’avanzata dell’impero di Archadia alla conquista del regno di Dalmasca, un luogo chiaramente ispirato ai grandi imperi mediorientali del passato (non a caso i programmatori trovarono nell’odierna Turchia il punto di riferimento sul quale ricostruire visivamente le basi stilistiche del gioco) nel quale si sviluppa, durante l’avventura, il seme della resistenza verso gli invasori, con le motivazioni del protagonista, il giovane Vaan, che si ricollegano a una storia di legami spezzati – è pur sempre un Final Fantasy, dopotutto – con lo scomparso fratello maggiore Reks. Dopo qualche ora al piccolo trotto, però, diventa chiaro che la storia di Final Fantasy XII non si limita affatto ad essere strutturata attorno alle vicende personali di un ragazzo, bensì a quelle di un gruppo ben più folto, a cui si aggiungono per primi i ladri Balthier e Fran, che si ritrova al centro di un piano per riportare la legittima erede al trono a regnare su Dalmasca.

Balthier e Fran sono una coppia di ladri che, con il tempo, si impara a conoscere ed apprezzare

Final Fantasy XII è ripetitivo? Attivate il turbo

Proprio per il modo in cui era scritto, Final Fantasy XII venne pensato in maniera molto diversa nella gestione di aspetti come il world building e la strutturazione delle attività da compiere, che, per ogni regione, ruotavano attorno a una specifica città intesa come hub centrale e a infinite passeggiate per deserti, pianure, grotte e dungeon in generale. Il tutto finiva presto per diventare di una ripetitività disarmante, perfino per una tipologia di gioco che già di suo punta molto su aspetti come il grinding e il continuo potenziamento del proprio party: non a caso, nella remaster Square Enix ha ben pensato di inserire una modalità turbo, che permette di visualizzare il gioco a velocità aumentata (200% o l’esagerato 400%) per saltare a piè pari i momenti morti e risolvere in parte il problema. La sensazione è più o meno simile al guardare un video su YouTube a velocità doppia, ma, per quanto sembri assurdo, alla lunga ci si rende conto di quanto sia giustificata e ci si può perfino abituare a giocare in quel modo. Attivandola, anche il sistema di combattimento viene velocizzato: quest’ultimo, però, per come è pensato, non richiede l’abituale reattività e la logica di un qualsiasi gioco di ruolo con elementi d’azione. Final Fantasy XII possiede meccaniche più automatizzate, che, per come si legano all’esplorazione e alla raccolta di risorse, fanno pensare quasi a dinamiche da MMO. La “semplificazione” (fra molte virgolette, dato che tutto sommato non è così) che permette di ottenere un simile risultato è la meccanica dei Gambit, con cui ogni membro del party può eseguire diversi set, completamente personalizzabili, di azioni automatiche, cosa che, se si assegnano le giuste combinazioni, abbatte quasi del tutto la difficoltà del gioco. Al contempo, però, simili automatismi rappresentano ad oggi l’unico modo possibile per godersi un’esperienza più snella possibile e priva dell’immane carico di pesantezza cui si dovrebbe far fronte a velocità normale ed eseguendo manualmente ogni comando. Ciò anche considerato che il peculiare ibrido fra ATB e azioni in tempo reale, all’epoca ritenuto innovativo, è paradossalmente invecchiato peggio del classico sistema a turni, specie nell’esecuzione dei comandi e nel feedback che questi restituiscono, che, fra normali attacchi, magie, Apoteosi (le skill speciali) ed evocazioni, appare decisamente più confuso. Per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi, invece, l’esperienza è rimasta grossomodo la stessa, piuttosto classica, pur non scevra, all’epoca, di novità e completamente personalizzabile grazie alle licenze, una sorta di “sferografia espansa” con cui Vaan e compagni potevano specializzarsi ognuno in una classe specifica, pescando da un pool di dodici possibili scelte.

Rabanastre, la prima città del gioco, è davvero splendida

Final Fantasy XII diventa un gioiello portatile su Switch

I divoratori di Final Fantasy, poi (e qui veniamo al vero motivo alla base di questa remaster), saranno felici di sapere che anche quella per Nintendo Switch è un’ottima conversione, in grado di rendere piena giustizia al mondo immaginato da Yasumi Matsuno non soltanto per le sue intrinseche qualità, quanto piuttosto per l’eccezionale legame che da subito si viene a creare con la piccola console di Nintendo. Switch è perfetta per titoli simili (anzi, in verità è perfetta per molte tipologie di videogiochi), e perdersi nuovamente in un’avventura così grande su uno schermo così piccolo è un’esperienza a dir poco fantastica, replicata a quei livelli – con le dovute proporzioni generazionali – soltanto da Xenoblade Chronicles 2. Le cutscene sono afflitte dal solito problema delle bande nere, manca il supporto ai 60 fps (anche se esagerato per un lavoro di rimasterizzazione simile e su una piattaforma del genere) e in modalità portatile l’immagine è un po’ meno pulita che agganciandosi a un dock, ma poco importa: tutto il resto è rimasto uguale a come lo ricordavamo tre anni fa, e funziona a meraviglia. Da menzionare, poi, le novità incluse nella remaster, fra cui la colonna sonora riarrangiata di Hitoshi Sakimoto, volta a modernizzare le partiture originali e splendida come tredici anni fa, sebbene manchi forse di brani davvero iconici come quelle degli immediati predecessori; The Zodiac Age permette poi, una volta finito, di ricominciare il gioco in modalità New Game Plus, scegliendo fra due percorsi: quello dedicato ai puristi, che rende impossibile potenziarsi, e quello tradizionale, che riparte dal livello 90. Infine è possibile respeccare le licenze già acquisite per i personaggi e mantenere gli oggetti già acquisiti in NG+, mentre i preset per i Gambit sono stati aumentati da 1 a 3, con la possibilità di cambiare rapidamente dall’uno all’altro nei menù: novità, queste ultime, introdotte nelle versioni Switch e Xbox.

Anche dopo oltre un decennio, Final Fantasy XII è un videogioco destinato a far discutere. Per sintetizzarlo in poche righe vi basta prendere una storia incredibile, fatta di una pletora di personaggi e di un mondo curato maniacalmente nel sottesto narrativo, nei legami fra i protagonisti e nei rapporti di forza fra gli stati, e inserire tutto quanto in una struttura fortemente ripetitiva, in cui la solita, competente gestione del party si inserisce in un sistema di quest e di interazioni che può venire a noia dopo poche ore. Ad aiutarlo, rendendo quasi superflue le fasi di esplorazione più farraginose, ci pensa in buona parte la modalità turbo, che permette di concentrarsi maggiormente sulla storia, una fra le più riuscite della serie concepita da Sakaguchi, e rende persino più piacevoli anche i combattimenti, che possono generare soddisfazione non tanto nella singola esecuzione dei comandi, quanto nel saper gestire in maniera strategicamente perfetta gli incastri fra i membri del gruppo, grazie al sistema Gambit. Inutile dire che se non l’avete mai provato, o l’avete fatto solo marginalmente, dovreste obbligatoriamente considerare l’acquisto della versione Switch: quest’ultima, com’è ovvio, non è la migliore in senso assoluto, ma lo diventa se si mettono sul piatto della bilancia anche i benefici concessi dalla modalità portatile, perfetta per fruire al meglio di un’esperienza come quella dei Final Fantasy, anche e soprattutto quelli di sesta generazione. E scusate se è poco.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.