Wolfenstein Cyberpilot Recensione

Wolfenstein Cyberpilot

Wolfenstein Cyberpilot Recensione  | Wolfenstein Cyberpilot è una di quelle esperienze “che dimenticherete tanto presto”. No, non manca un “non” da qualche parte nella frase, purtroppo. Il gioco per la realtà virtuale che abbiamo provato su PlayStation VR avvalendoci anche dei soliti PS Move ci ha davvero lasciato con l’amaro in bocca, per via dell’occasione sprecata che rappresenta, e dell’evidente svogliatezza che permea ogni aspetto del gioco tranne, in parte, la realizzazione tecnica. E ci mancherebbe, direte voi, che in un’esperienza per la realtà virtuale non ci fosse nemmeno qualcosa da vedere e “toccare” in VR. Ma forse, a ben pensarci, Cyberpilot non convince nemmeno sotto quel punto di vista. “Oh la la, sacrebleu!”

Wolfenstein Cyberpilot

Invidiabile la solidità degli arredi urbani di Parigi!

Wolfenstein Cyberpilot: Routine

Partiamo dunque proprio parlando dell’unico aspetto mediamente positivo della produzione, ovvero, come anticipato, la resa grafica, ma anche la direzione artistica generale, abbracciando quindi contemporaneamente il “cosa” vediamo nel “gioco”, con il “come” lo vediamo mentre avanziamo in esso. Lo scopo, capirete leggendo, è, ahi-noi, ancora una volta evidenziare come, soprattutto per un’esperienza in realtà virtuale, non basti dare qualcosa di ben fatto da vedere tutto intorno alla nostra visuale per farci sentire “dentro” un mondo parallelo. Mondo parallelo in cui (anche senza addentrarci nella lore di Wolfenstein, che in molti conoscerete, ma ci sembra d’obbligo dare un’infarinatura generale) i nazisti hanno vinto l’ultimo conflitto mondiale, anche grazie ad un improvviso boom tecnologico che li ha dotati di armamenti fenomenali, principalmente enormi esoscheletri e robottoni più o meno sofisticati. Proprio di questi ultimi armamenti, recuperati in una fin troppo vuota stazione di controllo nazista, nella quale si loca l’hub centrale e che diventerà lo sfondo della maggior parte dell’esperienza, noi diventeremo “Cyberpiloti”, controllando a distanza vari strumenti di morte dal chiuso di una cella di pilotaggio da remoto. Perennemente seduti su di una sedia, noi, e il nostro personaggio, ci troveremo invischiati in una routine davvero, davvero noiosa, fatta di una serie di azioni da ripetere prima di ogni missione, per poter approntare la nuova macchina prima di buttarla nella mischia del combattimento.

I modelli sarebbero anche belli da guardare… meno da guidare.

La stazione di controllo nazista è composta di quattro piani, il più basso dei quali è un hangar cilindrico vuoto e idealmente profondissimo (ma a causa di un effetto di buio forse volutamente accentuato, per non dare problemi di vertigini ai più sensibili, tale profondità si percepisce appena, e non sentirete, purtroppo o per fortuna, la sensazione di sospensione nel nulla che, almeno secondo noi, invece avrebbe donato più immersione alla sala). E allora la routine del bravo combattente antinazista comincia proprio in questo Hangar, nel quale analizzeremo, si fa per dire, dato che c’è ben poco di interattivo, le macchine di morte naziste per hackerare il loro chip principale e poterle sfruttare a nostro vantaggio. Memori del bellissimo minigioco di Five Nights at Freddie VR, giusto per citare una recensione e un gioco recente per il PSVR, magari vi aspettereste di dover operare con attenzione e cura, di poter sfruttare, come per Blood and Truth magari, strumenti differenti, che pure sono messi a disposizione del giocatore (per far cosa non si sa, dato che ne basta uno solo), per aprire pannelli, svitare elementi, e chi più ne ha più ne metta. Ma no, nulla di tutto questo. Una volta trovato un comodissimo led lampeggiante sulla macchina (enorme, immancabile), tutto quel che resta da fare è aprire un portello con il piede di porco, estrarre il chip, inserirlo in un PC, e rimetterlo nella macchina. Fine. Se il chip cade nel vuoto, state sereni, respawnerà di fianco a voi come se non aveste avuto le mani di burro. Il tutto senza che mai, nemmeno per un istante la pesantezza del gigantesco mech di fronte a voi, dei pezzi che spostate, dei pannelli che rimuovete riesca a raggiungervi, a causa di una infelice combinazione di una resa visiva dei macchinari perfetta in ogni dettaglio, va detto, ma di una fisica dei movimenti e di una mancanza di solidità degli stessi, che trasforma i giganteschi e temibili mostri meccanici, temibili quando li affrontavamo in un qualunque altro Wolfenstein almeno, in pupazzoni gonfiabili pronti a scoppiare in qualunque momento. Ah! ma avevamo detto a inizio paragrafo che avremmo parlato di resa grafica e artistica, per l’appunto, e invece non ci siamo ancora arrivati. Beh, abbiamo mentito. Un po’ come il nome del gioco, Wolfenstein Cyberpilot, ha fatto con noi, definendosi un gioco della serie “Wolfenstein”. Quando della celebre saga sparatutto ha soltanto qualche elemento visivo e… i nazisti. Nazisti, lasciatecelo dire, che forse farebbero bene a farsi arruolare negli Stormtrooper…

Wolfenstein Cyberpilot

Rovesciare un’auto regala la stessa soddisfazione che darebbe nella vita reale con una Hot Wheels.

“Intelligenza” artificiale

Nulla rimane dell’intensità dei combattimenti degli ultimi Wolfenstein, YoungBlood compreso, e se non ci fossero i vessilli e i mech avversari a ricordarci che, in effetti, stiamo giocando a una versione VR della saga di Wolfenstein, potremmo benissimo dimenticarcelo. Gli avversari correranno in modo davvero poco credibile verso la loro posizione fissa, definitiva, “ostacoli” alla nostra prosecuzione nel livello, strutturato come un lunghissimo corridoio privo di diramazioni o di possibilità alternative di avanzamento. Bastano pochi colpi con le truppe appiedate, e un pizzico di fatica in più, fatica definita solo dal tempo impiegato per abbattere questi fastidiosi muri di spugna “assorbiproiettili” che avremo di fronte di volta in volta. Zero abilità, nessuna strategia: mirare, sparare. Quindi, purtroppo, anche ben poca soddisfazione finale. Mai, durante la nostra esperienza, abbiamo visto la schermata di Game Over, tranne durante una missione a bordo di un drone, a dire il vero l’unico strumento capace di offrire un gameplay più stratificato, almeno rispetto al “vado avanti e sparo finchè non si surriscalda l’arma, aspetto che si raffreddi e ricomincio a sparare”. Ma durante il volo con il drone ogni colpo è 1 hit K.O., e lo abbiamo scoperto nel modo più immediato potremmo dire. Anche introducendo nell’equazione la componente visiva, stavolta per davvero, quella che per un gioco in VR dovrebbe rappresentare il primo veicolo di comunicazione della suddetta “Virtual Reality”, la situazione non migliora affatto, a fronte di un intorno per ogni livello anche a tratti evocativo, con una Parigi conquistata e in guerra capace di regalare scorci d’impatto, distrutta però, tangibilmente, da particellari dedicati alle esplosioni nemiche quasi bidimensionali (in un gioco VR) di animazioni, come anticipavamo, di movimento, ma soprattutto di morte di ogni avversario nazista che, se non fossimo stati annoiati da tutto il resto, avremmo trovato esilaranti nel loro evanescente e immotivato ragdoll. Insomma, avrete compreso che il più grande, e purtroppo centrale e rilevante problema di Wolfenstein Cyberpilot risiede non nel suo non essere all’altezza del nome che porta, non nell’aver recapitato all’utente finale un’esperienza breve e vuota, poco significativa sia nella “trama” che nel gameplay sparatutto, e nemmeno nell’aver confezionato ambientazioni credibili riempiendole di manichini vestiti da nazisti e zero, quasi, elementi interattivi o distruttibili lungo la via. Dove Wolfenstein Cyberpilot fallisce più rumorosamente è nel vero cuore pulsante del suo essere un gioco in VR, o meglio, del suo non essere un vero gioco in VR, ma piuttosto un susseguirsi di corridoi vuoti in tre dimensioni, intangibile, non immersivo e, purtroppo quindi, anche noioso.

Wolfenstein Cyberpilot, dicevamo a inizio articolo, è una di quelle esperienze “che dimenticherete tanto presto”. E meno male, aggiungiamo. Pur consci del prezzo irrisorio del titolo, pur sapendo che il tempo di realizzazione ed il budget non devono essere stati esattamente faraonici, non possiamo che essere spietati, forse calcando un po’ la mano, o forse no, sugli aspetti del titolo che meno funzionano, e che pregiudicano irrimediabilmente i pochi che, invece, potrebbero farvi pensare “ma sì, una campagnetta di un’ora e mezza in VR, ci sono i nazisti, i lanciafiamme, i bazooka, costa poco, un giretto ce lo faccio in quel mech”. Quanto a immersione della VR Bethesda ha dimostrato di saper dare molto, molto di meglio, e quindi, di non aver voluto investire sufficienti risorse in quello che poteva essere, ma non è, Wolfenstein Cyberpilot. Poco più di un esperimento poco riuscito, privo di spunti caratteristici, incapace di regalare una vera immersione nel mondo di gioco e nel gameplay, che risulta, dall’inizio alla fine, troppo semplice, semplicistico e noioso. Un esperimento che speriamo, sinceramente, di vedere migliorato con future iterazioni della serie, sempre in VR (se mai ce ne saranno). Future, però, perchè questa, a malincuore, è bocciata su tutta la linea. “Rien ne va plus, les jeux sont faits”.

Vive in simbiosi con la sua Switch, segnato da un'infanzia vissuta solo sulle console Nintendo portatili. Persino la sua prima console Sony è stata la portatile PSP, il che è tutto dire. Monta video da quando erano ancora di moda gli AMV su Dragon Ball, e si usava Movie Maker pensando di essere i nuovi Spielberg. Malato di giochi competitivi ed E-sport, ma anche dal lato opposto dello spettro di GDR e Story Driven, pochi titoli si salvano dalle sue spire, e solo perchè ogni tanto deve anche nutrirsi e dormire. Ha scritto questo testo, ma di solito non parla di sè in terza persona. Così, per dire.