Carnival Row Recensione

Carnival Row Recensione | Ve lo dico subito. Carnival Row non è stata pensata come produzione fantasy per coinvolgere i soli appassionati del genere, giacché sotto la sotto la sua superficie nasconde molto di più: colonialismo, razzismo, sfruttamento degli immigrati e classismo sono solo alcuni degli argomenti trattati, sia allegoricamente che direttamente. Mi ha dato modo di riflettere e pormi domande, affascinandomi peraltro con la sua straordinaria ambientazione di un universo alternativo della Londra vittoriana. Una nuova perla di Amazon, si potrebbe pensare; eppure c’è qualcosa che non mi ha convinto del tutto, sebbene vada matto per le fate, i fauni e tutti gli elementi fantastici di cui Carnival Row è piena. Ma andiamo con ordine.

Carnival Row

Orlando Bloom e Cara Delevingne sono i protagonisti di questo nuovo show.

Carnival Row: colpisce ma non stupisce

La serie inizia, come fanno ormai molti show, nel bel mezzo delle vicende, mentre la pix Vignette Stonemoss (Cara Delevingne) è costretta a diventare una schiava in seguito a un tragico evento di cui non parlo per evitare spoiler. Altrove c’è l’ispettore Rycroft “Philo” Philostrate (Orlando Bloom), che ha un’insolita simpatia per le fate e conosce molti di coloro che vivono nell’area del ghetto che dà a Carnival Row il nome. Ovviamente la storyline di Philo è strettamente legata a quella di Vignette e già dalle prime battute si evince che i due abbiano vissuto un’intensa storia d’amore. Ciò che rende Carnival Row un fantasy drama così seducente è la sua capacità di combinare la costruzione di un mondo senza eguali con una serie di plot che sembrano indipendenti, ma che sono in realtà indissolubilmente legati tra loro. Per esempio, c’è la sottotrama di un fratello e una sorella aristocratici che si evolve in un’intreccio di manipolazione sociale, ma pone l’accento sul pregiudizio contro i “puck” e le “pix” (sfruttati come servi) e sul desiderio dei due nobili di conoscere il nuovo ricco vicino, che è una minaccia per il sistema. Le loro trame andranno a intrecciarsi e sarà lodevole il messaggio di fondo lanciato, tra l’altro molto attuale.

Carnival Row

Il nuovo vicino degli altezzosi fratelli aristocratici è un puck.

Ma il meglio che il Burgue (leggasi “Londra vittoriana in un universo fantasy”) ha da offrire è purtroppo seppellito sotto una trama noiosa e un ritmo occasionalmente glaciale, che non riescono a rendere vivo e vibrante un mondo con così tante trame secondarie e personaggi mal introdotti che la metà sarebbero bastati. Il lato politico di Carnival Row è arido come un deserto, con vecchi uomini dal colletto alto che si scontrano in un tribunale affollato e danno largo a dibattiti sterili. Al centro di tutto ciò c’è Jared Harris nei panni di Absalom Breakspear, Cancelliere del Burgue, il cui figlio frequentatore di bordelli Jonah (Arty Froushan) e l’intrigante moglie Piety (Indira Varma) muovono un’altra sottotrama. Harris – visto di recente nell’ottima Chernobyl – è fantastico come al solito, ma nonostante la famiglia Breakspear e i loro rivali politici generino scene efficaci, sembrano le ruote bloccate nel fango della storia.

Carnival Row

Cara Delevingne è perfetta per interpretare una pix.

Sebbene gli spettatori possano scorgere satiri con corna e zoccoli, fate con ali di libellula e persino alcuni troll, coboldi e centauri, Carnival Row non è una serie TV pregna di maghi e magie nel senso tradizionale, come altre che contengono tali creature. A ogni modo non mancano veggenti, pozioni e profezie considerate dalla maggior parte dei borghesi ciarlataneria, e c’è una trama oscura che pervade il mistero centrale dello show, la quale farà sentire a casa tutti gli appassionati del fantasy nudo e crudo. Fortunatamente non ogni singolo minuto degli 8 episodi che compongono Carnival Row si trascorre nel cuore di una grigia città governata da umani, piena di fumo e spesso piovosa, ma i flashback sulla terra fatata di Tirnanoc – prima che la Repubblica di Burgue si ritirasse – suggeriscono che quel regno abbia vissuto un periodo di prosperità e pace in passato. È Il Patto ad aver assaltato il regno delle fate, ma la linea che separa il concetto di “buono” e “cattivo” non è sempre evidente: Carnival Row sceglie saggiamente di navigare nell’ambiguità morale di coloro che sono indifferenti di fronte a una fata morta vicino alle banchine, ma che sarebbero persi senza il loro servitore o una sveltina occasionale al bordello, piuttosto che giudicare con fermezza cosa è giusto e cosa sbagliato. Mentre i pezzi del puzzle iniziano a riunirsi, negli ultimi episodi della stagione, gli spettatori rimarranno stupiti di come i dettagli disparati del mistero centrale non solo dipingano un quadro degno di una tragedia shakespeariana, ma creino una direzione interessante per il futuro dello show, lasciando un sacco di materiale per la seconda stagione già confermata.

Carnival Row è una serie TV che gli amanti dello steampunk, del fantasy e del noir potrebbero divorare tutta d’un fiato, intrisa di atmosfere cupe e allo stesso tempo magiche. A tratti è un po’ lenta e mette troppa carne al fuoco (per giunta con eccessiva velocità), rischiando di confondere lo spettatore tra nomi, razze e schieramenti; ma la nuova epopea firmata Amazon è un’altra prova di come il famoso retailer online abbia tutte le intenzioni di non badare a spese per le produzioni televisive.

La mia sedia a rotelle è come il kart di Super Mario. In qualsiasi cosa devo essere il migliore, altrimenti ci sbatto la testa finché non lo divento. Davanti a un monitor e una tastiera, però, non è mai stato necessario un grande sforzo per mettermi in mostra. Detesto troppe cose, sono pignolo e - con molta poca modestia - mi ritengo il leader perfetto. Dormo poco, scrivo tanto, amo i libri e divoro serie tv. Ebbene sì, sono antipatico e ti è bastata qualche riga per capirlo.