Black Desert Recensione | Dopo anni di espansione su PC, gli sviluppatori di casa Pearl Abyss hanno timidamente varcato il mondo console, provando ad arginare le perplessità di un porting senza dubbio rischioso. Non si può certamente dire che Black Desert non abbia vissuto in grazia in questi anni, anzi, si è sempre ritagliata il proprio spazio in un terreno aspramente competitivo, tra una schiera di MMORPG ben più agguerriti sul mercato, e questo certamente non è passato in sordina. Competere con opere del calibro di Final Fantasy XIV su console è però un’impresa discutibile, anche per altre case più rinomate, anche perché il peso dei grandi marchi si fa sentire e le aspettative sono comunque ardue da soddisfare. L’evoluzione del sandbox è culminata poche settimane fa con il rilascio dell’ultimo trailer in cui a parlare di una delle feature più spettacolari del gioco è una seducente Megan Fox: quali promesse sono state mantenute?
Magia e poteri.
Black Desert Recensione: La catarsi dell’eroe
Dalle foreste di Calpheon agli aspri deserti di Valencia si sente udire il “C’era una volta” siglato dal team coreano, che se non altro si è sempre orgogliosamente distinto per la spettacolarità dei propri orizzonti creativi. La fiaba di Black Desert continua, proiettando il fruitore nella classica creazione del proprio alter ego virtuale: azione che, per la prima volta, acquista un significato ben più affascinante e meno superficiale rispetto a ciò che siamo abituati. Le sorprese non tardano ad arrivare, e ne siamo grati. La minuzia e la forsennata ricercata dei ragazzi di Pearl Abyss hanno elargito un gradito numero di interazioni nella creazione del proprio personaggio, solleticando la curiosità anche di chi non apprezza spendere troppo tempo in questi preamboli. Mai come ora, abbiamo notato la squisita sensazione di essere capaci di modellare di tutto e di più nella caratterizzazione, spingendo l’acceleratore anche sulla fantomatica scelta della classe. Ponderare saggiamente il destino del nostro eroe non è solo una questione di gusto, ma probabilmente la scelta saliente su cui puntare iniziata l’esperienza nell’opera. Oltre l’estetica e un’ormai ridondante scelta di rito in titoli del genere, si nota da subito una scrematura iniziale che condizionerà lo stile e la metamorfosi del vostro eroe. L’investitura spirituale del personaggio graverà in modo imponente sull’esperienza, ma se un veterano non tarderà molto ad adattarsi, abbiamo notato che nelle prime ore si pecca d’intuitività.
Abbattuti i canoni fittizi del genere d’appartenenza si osa un gocciolino in più in termini pratici, eludendo discorsi stagnanti sulla bieca rappresentazione di classi unicamente separate dalla distribuzione di punti abilità, ma virando su ben altro. Elencare le caratteristiche di ogni fazione non solo è un modo perlopiù borioso di ergersi al di sopra del mediocre in opere del genere, ma occorre risultare memorabili ove si può. Proprio nel combat system si evincono i miglioramenti più sostanziosi e gratificanti: un sistema che si ramifica nelle direzioni più disparate in base alla classe in dotazione. Ogni fazione ha infatti un’identità unica, poiché in grado di sfoggiare una ventagliata di vistose combo da sfoggiare in campo aperto, oltre che a un parco mosse più che soddisfacente. Che sia in accerchiati dai nemici o in aspri duelli al cardiopalma, non vi sarà mai e poi mai lo scenario in cui gli atavici strumenti in dotazione non bastino per farvi uscire vittoriosi. Ove possibile, si scorge la zampillante creatività dell’opera, che fa suo un ricercato connubio tra i vetusti dogmi del MMO e una follia artistica degna di nota, ora merito di nemici al limite del surreale, ora grazie ad oniriche distese di vegetazione.
Black Desert Recensione: Combattimenti frenetici, ma appaganti
Ehi-ho, ehi-oh andiam a grindar
Ogni ora spesa in Black Desert è l’unico strumento virtuale di cui avete bisogno per essere il migliore, non ci sono scappatelle di alcun genere. Pearl Abyss ha dimostrato in modo maturo che non deve essere MMO tutto ciò che luccica: il fattore pay to win, che ormai attanaglia il genere e scoraggia anche i fruitori più virtuosi, è stato debellato diligentemente. Al suo posto però germoglia un fiore piuttosto posticcio e dalla doppia natura, poiché laddove si apre alla possibilità che ogni utente possa aspirare ai vertici della classifica e glorificare le proprie ambizioni, si sbatte la testa contro uno strenue valzer di grinding. Il tempo è difatti, a nostro parere, la vera moneta dell’opera; sradicare completamente i vantaggi di qualche piccolo acquisto in game è utopia certo, ma per la prima volta il team coreano ha lanciato un monito ai novizi che valicano le porte di Black Desert, professando un grinding esasperato ma funzionale. Per chi ama buttarsi nella mischia vi invitiamo ad assaggiare ogni pietanza sfornata dal team coreano, dato che in termini di diversificazione e creatività si sono dimostrati degli abili artisti. Passeggiare per la regione tra vividi mercati e brulicanti paesaggi rurali non è solo visivamente poetico, ma anche una folgorante epifania: possibile che abbiamo dovuto aspettare tanto per delle atmosfere così vibranti negli MMO?
Black Desert Recensione: un felice banchetto.
Mentre una moltitudine di negozi e paesaggi che si perdono a vista d’occhio offrono il palcoscenico ideale alle orde di avventurieri alle porte dei server di Black Desert, si rimane incantati dagli scenari variopinti che si impossessano dello schermo. A candire un’epopea decisamente incoraggiante vi è un lungo susseguirsi di side quest disseminate in ogni dove, che non solo vi incoraggeranno a notare la finezza di alcuni ambienti davvero iperbolici, ma aiutano ad addolcire un grinding compulsivo decisamente amaro da buttare giù per chi è alle prime armi. Sebbene la pluralità delle aree e l’eterogeneità dei punti focali su mappa impreziosisce notevolmente l’esperienza di gioco e vale ben oltre il prezzo del biglietto, si nascono anche delle ombre. Su una PlayStation 4 classica infatti l’opera fa un po’ di fatica nel mantenere la resa grafica tanto agognata e risolta essere piuttosto fragile sul fronte delle animazioni, che alcune volte si lasciano andare a goffi scivoloni visivi. Lo smodato credo nel grinding selvaggio non è sufficientemente tarato in base alle esigenze del fruitore e può facilmente sfociare in una snervante corsa senza meta, aggravato dalla mancanza di un viaggio rapido efficiente.
Sebbene Pearl Abyss sappia ammaliare con un’esuberante dimostrazione di grazia stilistica e una direzione artistica di tutto rispetto, non mancano gli scivoloni sulla lunga tratta. L’immedesimazione in Black Desert necessita di un plauso, non ci sono dubbi. Si sono toccate le vette più alte in termini di caratterizzazione che mai abbiamo trovato così gratificanti, il tutto impreziosito da una raffinata diversificazione delle classi, specialmente sul campo di battaglia. Laddove si tocca l’iperuranio della creatività, si cade anche inevitabilmente in mancanze piuttosto banali ma insindacabili, che minano l’esperienza sulla lunga tratta: un fattore essenziale per opere di questo genere. La vacua ricerca di uno spostamento rapido di buona fattura e le goffe prestazioni su console erano tra le preoccupazioni più quotate e, purtroppo, gettano ombre su un progetto per ora soffocato da cali di prestazione e ridondanti sistemi di grinding.