Nell’erba alta Recensione | Dal momento che è uno degli scrittori più prolifici del pianeta, non sorprende che Stephen King fornisca materiale in abbondanza per film e serie TV horror. Devo ammettere che non ho letto Nell’erba alta, opera scritta dall’autore di IT (da cui l’adattamento di Andrés Muschietti) in collaborazione con suo figlio Joe Hill, che ha ispirato l’adattamento di Vincenzo Natali ora disponibile su Netflix. Vista la mediocrità del film, suppongo che neppure la storia breve originale sia stata un grande capolavoro. Ma non sono qui per giudicare questo.
Tobin e il suo fedele amico si perdono nel campo
Nell’erba alta non riesce a coinvolgere e crea poca suspense
La trama inizia in modo promettente, con Cal (Avery Whitted) e sua sorella incinta Becky (Laysla De Oliveira) che viaggiano in macchina lungo una strada isolata del Midwest, costeggiata da un enorme campo di erba alta. Quando accostano, di modo che Becky possa rimettere in santa pace (la gravidanza è anche questo!), sentono le grida di un bambino provenire dall’interno del campo. Chiede aiuto e i due non si tirano indietro. Si addentrano per prestare soccorso al ragazzino indifeso (Will Buie Jr.) che dice loro di chiamarsi Tobin: i suoi genitori, Natalie (Rachel Wilson) e Ross (Patrick Wilson), si sono persi da qualche parte nell’erba alta. Questo porta a una sequenza involontariamente comica e apparentemente infinita di personaggi che si chiamano a vicenda mentre vagano senza meta. Momenti simili si ripetono troppe volte durante il film e presto diventano noiosi, più che angoscianti. Cal e Becky alla fine trovano il bambino, che si rivela essere uno di quei tipici personaggi fanciulleschi di Stephen King allo stesso tempo adorabili, inquietanti e inclini a pronunciare frasi come “Riesci a sentire? Se non presti attenzione, se ne vanno” o “Il campo non muove le cose morte”. Dice peraltro a Cal, che sembra avere un attaccamento eccessivo a sua sorella, che Becky morirà presto.
Cal, Becky e Travis capiscono presto che qualcosa non va
Anche il padre di Tobin si presenta all’appello, ma non si rivela proprio la figura amichevole che appare inizialmente. Pure Travis (Harrison Gilbertson), ex di Becky, viene buttato nel minestrone e alla fine diventa il personaggio chiave dell’intera vicenda, ma non dico altro per evitare ulteriori spoiler. La conseguenza di ogni tassello fuori posto è una storia che va fuori dai binari, di brutto: si scopre che il campo ha una sorta di potere mistico, alimentato da una roccia mastodontica situata al suo centro e collegata in qualche modo a una chiesa abbandonata nelle vicinanze. Ah, vengono buttati nel calderone persino i viaggi nel tempo. I fan di Stephen King potrebbero notare che il campo ha qualcosa in comune con l’Overlook di Shining: come la struttura che spinge Jack Torrance alla follia, l’erba alta conversa con chi ivi si smarrisce, gli sussurra cose e gioca con le volontà altrui. Facendoli perdere e ritrovare, abbracciare e azzuffare. Qualche nota positiva Nell’erba alta la tocca, insomma.
Peccato non abbia finito di sputare veleno contro il film: lo sceneggiatore e regista Natali (che ha dimostrato di avere talento in pellicole come Cube del 1997 e Splice del 2009) si dimostra incapace di rendere coerenti gli sviluppi di una trama fin troppo contorta.
Patrick Wilson dà un buon contributo al film
La pellicola è, comunque, di buon livello tecnico. Il direttore della fotografia Craig Wrobelski riesce a trovare ogni modo immaginabile per rendere visivamente minacciosa l’erba alta, vera protagonista del film, e la colonna sonora alquanto spettrale di Mark Korven dà un prezioso contributo all’atmosfera. Mi aspettavo qualche jump-scare in più (ce ne sono pochi e tutti molto telefonati), momenti di maggiore suspense e un tono horror che in qualche modo si avvicinasse a quello mistery de La Nebbia, o thriller di (appunto) Shining. Poi, nessuno degli attori è in grado di rendere il proprio personaggio particolarmente interessante, eccezzion fatta per Wilson: già avvezzo all’horror recitando in The Conjuring e Insidious, si esibisce con gusto e dimostra ancora una volta di essere portato per il genere – ma anche per il ruolo di villain. Cal, Becky e Travis non vengono mai esplorati come ci si aspetterebbe: allo spettatore non è dato di sapere niente di loro, se non che finiscono coinvolti in una trappola mortale da cui sembra impossibile salvarsi.
Nell’erba alta ha deluso le nostre aspettative, benché chi scrive sia un grande fan di Stephen King. Nel suo complesso, appare come un’accozzaglia di elementi horror/soprannaturali che non si impastano bene tra loro, eccedendo in un racconto che annoia e non sorprende. Ed è un peccato, perché di aspetti positivi ce ne sono. Il punto di è che sono troppo pochi e non spiccano, troppo spesso oscurati dai numerosi nei che macchiano la produzione di Netflix.