Tornare presto da scuola per ammirare i propri eroi preferiti, simulare l’onda energetica al mare con gli amici e alzare le mani al cielo per emulare la sfera Genkidama: questo è Dragon Ball. Un brand che negli anni si è radicato nella vita e nel quotidiano, mescolando infanzia e ideali. Ognuno in modo diverso, anche trasversalmente, si è lasciato rapire dall’immortale mondo di arti marziali che risuonava ad ogni scontro, eppure negli anni la fiaba non è stata mai completamente soffocata dalla nostra inesorabile crescita, ma si è solo affievolita. Da questo bisogno nasce l’idea di Dragon Ball Z Kakarot: un action RPG che mira a ricostruire minuziosamente i memorabili passaggi della serie originale e li condisce con un aroma ludico inconfondibile, in pieno stile Bandai Namco. Il progetto sboccia così tra aspettative quasi religiose, anche perché scomodare ricordi così importanti è una mossa delicata, e la partecipazione del team di sviluppo CyberConnect2: celebri per aver curato la trasposizione videoludica del brand Naruto, anche con un buon riscontro dal pubblico. Tra un inconfondibile richiamo alla nostalgia e il clamoroso tentativo di impreziosire il marchio con elementi ruolistico mai tentati, si prova il grande salto per rompere la monotonia di un brand trito e ritrito nella propria nicchia da picchiaduro: sarà bastata la minuzia del team di sviluppo?
Saiyan per un giorno, Saiyan per sempre
Si parte in un’implosione di fanciullezza sopita e ricordi immancabili. Dalla sigla d’inizio e così nei primi capitoli della storia principale si denota subito il forsennato bisogno di riprodurre ogni dialogo e combattimento in modo maniacale, anche proponendo una serie di momenti iconici plasmati su un comparto animato degno di lode. Non si lascia nulla al caso. Le scene iconiche e cruciali della trama sono state realizzate squisitamente, mentre gli intermezzi tra i vari micro e macro episodi nel gioco sono scanditi da schermate che rievocano le intro delle puntate animate. L’intelaiatura narrativa è difatti minuziosamente rappresentativa e non si lascia alle spalle brandelli di dialoghi o informazioni principali ma anzi, alcune volte li integra o li chiarisce in toto. Encomiabili anche le digressioni tra un episodio e altro, nei quali il narratore si inserisce per stabilire le dovute connessioni con il fruitore. Gli stessi caricamenti sono una finestra di remind per accompagnarci mano nella mano nelle varie saghe della serie originale, insomma tutto è perfettamente sincronizzato con le vicende di Z. Il prezzo dell’armonia narrativa ed emotiva del titolo è però pagato a caro prezzo sul fronte ludico ove, ahimè, fa intravedere sin da subito un comparto tecnico scricchiolante.

Cori da action, lamenti da RPG
Il vero grande problema di Dragon Ball Z Kakarot è il mondo di gioco rappresentato. Sebbene i punti focali dell’esplorazione presentino una certosina ricostruzione delle location memorabili del brand, la mappa è disseminata di zone vacue prive di significato, ora scenari inermi colmi collezionabili randomici, ora fredde distese fine a se stesse. Gironzolare qua e là per la Terra è visivamente godibile e ispirato, infatti gli stessi percorsi sono costellati di sfere di vari colori, finalizzati poi per lo sviluppo del personaggio in termini ruolistici, e insediamenti di vario genere. L’intero universo ludico urla – letteralmente – all’utente con dei messaggi visibili nell’interfaccia durante il volo o da terra. Questi segnalano la presenza di oggetti rari, selvaggina locale o quest secondarie da completare. Quanto concerne le missioni opzionali è un discorso assai contorto è deforme: esse sono dignitose a livello narrativo, ma peccato per interesse e fantasia, risultato scialbe sulla lunga tratta e poco elaborate: un vero peccato per chi ama il post game e la profondità ludica in termini di longevità. Gli stessi incontri casuali presenti nelle varie micro aree di gioco sono alla lunga frustranti e – purtroppo – l’esperienza ottenuta non fa pendere l’ago della bilancia in favore di chi si cimenta in sessioni di grinding. La stessa storia principale agevola di molto il sistema di livellamento, attribuendo un ammontare di punti pre stabilito in una fase cruciale della crescita del personaggio. Non possiamo neanche dire però che tale sistema sia completamente sbagliato attenzione. C’è una rilevante fetta di fruitori che gioca per godersi la storia e rivivere la storyline dei propri eroi e, inoltre, sarebbe innaturale aumentare radicalmente il gap di livello con i nemici da un capitolo ad un altro, senza controbilanciare la difficoltà.

Datemi un esercito di Crilin e conquisterò l’universo
“Dai il pad a un giocatore di Xenoverse e lui si sentirà come a casa” è la frase che da subito riassume il core system del combattimento in Dragon Ball Z Kakarot. D’altronde non si può definire un vero seguito del brand se non ci sono scazzottate colossali e tecniche esplosive, no? La rivisitazione di tale sistema è alla base dell’evoluzione del gameplay della nuova opera e trae la sua linfa vitale da una galvanizzante miscela tra eroi della saga e un parco mosse ben bilanciato, sebbene non esageratamente vario. Gli scontri non sono particolarmente impegnativi se si utilizza l’approccio corretto: un valzer elegante tra una buona dose di schivate a tempo – la miglior meccanica del gioco a mio modesto parere – e il saggio sposalizio di oggetti curativi e mosse di squadra. La collaborazione in una squadra composta da un massimo di tre personaggi fa emergere una serie di interessanti combinazioni da sfruttare, tra mosse difensive, di supporto e offensive. L’utilizzo sregolato o meno di tali poteri non ha contro indicazioni ma, usate con una certa parsimonia, garantiscono momenti cruciali per far scoprire gli avversari più temibili. Sebbene alcune volte si possa scivolare in un abuso di botton smash, il più delle volte è richiesta una prontezza di riflessi e un ragionato connubio di schivata e attacco: specie contro i boss più spietati. Nel complesso il divertimento è assicurato: il sistema di combattimento è senza ombra di dubbio appagante e soddisfacente, ora merito di una sublime resa grafica, ora merito di del zelante lavoro del team di sviluppo nel riprodurre fedelmente tutte le mosse memorabili della saga. Dulcis in fundo, Kakarot integra un ben bilanciato sistema ruolistico, presentando le comunità: combinazioni matematiche tra più protagonisti in un bizzarro menù dedicato, ove sfruttare determinati bonus passivi e attivi. Ciò innesca una serie di dinamiche rilevanti in termini di struttura della squadra, poiché alcune abilità comunità possono condizionare prepotentemente lo stile di gioco. Non ho notato una significativa progressione del personaggio nella sua griglia abilità dedicata e, fatta eccezione per qualche tecnica ingegnosa, il tutto si limita a un verticale potenziamento delle statistiche. L’elemento ruolistico diviene così l’ombra di se stesso: un mero orpello da inserire vicino al termine action.
Dragon Ball Kakarot, così come altri titoli ideati con lo stesso stampo, risente di una politica decisamente anti-progressista, che preferisce puntare sull’aspetto nostalgico più che sulla profondità di contenuto. Laddove l’opera conserva diligentemente il fascino memorabile e romantico della saga originale, l’ambizione firmata open world crolla su problemi già visti. Un mondo spento e tecnicamente vacuo offre una serie di attività secondarie che avrebbero dovuto giovare all’esperienza ludica proposta, ma finisco per annacquare l’esplorazione con scialbi presupposti. Vincente, ma ce lo aspettavamo, il combat system: ovviamente il vero cuore pulsante dell’opera, capace di magnetizzare l’attenzione del fruitore in combattimenti sempre al cardiopalma e profondamente appaganti. Una goduria visiva e uditiva: edonismo bellico con un’aura potentissima. Non basta però una ragguardevole trasposizione delle icone del passato e un folgorante gameplay per compensare l’insipido componente ruolistico: decisamente fuori coro rispetto al resto e mai del giusto peso in rapporto di tempo-progressione. La sentenza di questa recensione muta così in un’edace resa dei conti: l’opera che avrebbe potuto cambiare per sempre un franchise storico, si riduce a passare in sordina, a causa di una lutulenta profondità ludica. Buon prodotto dunque, ma perde l’attimo per conquistarsi l’Olimpo, per poi piangere di velleità.