Il diritto di opporsi Recensione | Il sistema legislativo americano, purtroppo, non è perfetto e, a causa di motivi politici e razziali, nel corso degli anni è stato protagonista di condanne sommarie che hanno portato innocenti al patibolo. In taluni casi quello che conta veramente non è cercare il reale colpevole, ma scegliere il candidato adatto che sappia recitare senza problemi la parte dell’omicida, in maniera tale da poter esser lasciato tranquillamente in pasto ai media, alla polizia e al governo. La vicenda di Richard Jewell è esemplificativa di ciò e, come abbiamo evidenziato nella recensione dell’opera di Eastwood, il tutto è parte di un meccanismo malato e insano di potere e controllo. Torniamo a parlare nuovamente di un racconto drammatico di ingiustizia dove però al centro della vicenda non vi è un eroe americano, ma un povero e onesto lavoratore, vittima perfetta da incastrare, sfortunatamente tirata in causa da un testimone bugiardo. Questa è la triste storia (vera ahimè) di Walter McMillian, narrata nel libro Il diritto di opporsi (Just Mercy) di Bryan Stevenson (il suo avvocato) e diventato di recente un lungometraggio, con lo stesso nome, che vede alla regia e alla sceneggiatura Destin Daniel Cretton (Shor Term 12, Il castello di vetro). La realizzazione, supportata da interpreti incredibili, mette in scena una delle pagine più nere della storia americana, con il giusto tatto e realismo. Ecco la nostra recensione della pellicola, che abbiamo visto in anteprima grazie a Warner Bros. Entertainment Italia. Partiamo dall’inizio, dal fatidico 1° novembre del 1986, data della morte di Ronda Morrison.

Umanità e morte
L’omicidio della 18enne viene attribuito a McMillian (Jamie Foxx), conosciuto con il soprannome di “Johnny D.”, in quanto viene ricondotto alla scena del crimine, seppur non colpevole, dal criminale Ralph Myers (Tim Blake Nelson), durante un interrogatorio con la polizia. Da subito l’uomo viene bersagliato dall’opinione pubblica e considerato, anche in assenza di prove concrete, il carnefice. I giochi si riaprono con l’arrivo in città di Bryan Stevenson (Michael B. Jordan), giovane e promettente avvocato che accetta il caso di Walter e lo difende, cercando di salvare lui, e altri condannati, dalla sedia elettrica. Dopo un incipit piuttosto lungo (che funge da background dei personaggi e introduzione alla storia), la narrazione si sposta interamente sul protagonista, il legale, e il suo incontro con il suo associato. Il rapporto tra i due, inizialmente brusco, cresce in maniera spontanea, grazie soprattutto all’affabilità del difensore legale, umano e sensibile. Uno scambio forte, intenso e commuovente valorizzato immensamente dalla sentita e delicata prova attoriale di Foxx e Jordan, i due pilastri del lungometraggio che, insieme al resto del cast (in particolar modo Brie Larson e Tim Blake Nelson), danno prova di talento, intelligenza e tanta, tanta esperienza. Gli opposti si attraggono: nel triste e buio braccio della morte, dove Johnny D è oramai parte integrante della dimensione maligna e oscura della condanna tramite esecuzione, lo spiraglio di luce portato dall’avvocato gli dà nuova speranza. Ma il legame è reciproco: se il condannato rinasce, il protettore empatizza con il suo assistito e si fa carico dei suoi problemi, aiutandolo e sorreggendolo nella lunga e perigliosa strada della giustizia, che in più di un occasione mette i bastoni fra le ruote ad entrambi.

Ingiustizia e redenzione
Un cammino molto lontano dalla realtà dei fatti, purtroppo, che è seguito con la macchina da presa in maniera pulita e diretta senza filtri, con una sobrietà ed eleganza da manuale, affrontando momenti drammatici con coscienza e garbo, talvolta perdendosi un po’ nel ritmo. Una sequenza, in particolare, è rappresentativa dell’intera filosofia dietro alla regia del film: la triste e commuovente dipartita di uno dei detenuti, amico intimo di McMillian, nel limbo tra il soffocante e opprimente incedere della morte e la rilassante e meditativa aspettativa dell’aldilà. Una piccola nota di merito va inoltre rivolta anche alla fotografia, che usando colori tendenti al marrone scuro e al giallo, oscilla perfettamente tra tematiche più cupe e schiaccianti ad altre maggiormente speranzose e positive, soprattutto nella parte finale e nei momenti di flashback particolarmente gioiosi. Anche tutto l’impianto critico della pellicola ha il merito di narrare le vicende così come sono senza mai ricorrere a forti o destabilizzanti messaggi: Destin Daniel Cretton ci vuole far capire che il razzismo e le ingiustizie parlano da sole e non hanno bisogno di essere supportate da nessuna propaganda. Per quanto il sistema legislativo americano sia il colpevole e il principale responsabile dell’intero scandalo giudiziario, infatti, non c’è nessuna volontà di attaccare o denunciare con ferocia, ma solamente di ricercare e perseguire l’onestà, per le generazioni attuali e quelle che arriveranno dopo. La verità, anche se con difficoltà, viene a galla sempre e, sebbene alcune ingiustizie rimangono impunite, il caloroso e catartico respiro della redenzione ci riporta finalmente in una misura umana, dove l’abbraccio e un pianto liberatorio è la perfetta e più alta espressione della riconciliazione di una famiglia, così tanto percossa e martoriata da un sistema bigotto, cieco e spietato. Un racconto intimista, che tranne per una parte introduttiva forse troppo dilatata e un ritmo un po’ altalenante, è efficace al punto giusto, forte di un messaggio di speranza vivo e pulsante.
Il diritto di opporsi è una testimonianza suggestiva ed appassionata di un’ingiustizia terribile perpetrata dalla sistema legislativo statunitense ai danni non solo di un singolo individuo, ma di una comunità, che ancora oggi soffre ed è vittima di soprusi del genere. Il cast nella sua interezza, in particolare Jamie Foxx e Michael B. Jordan, regalano al pubblico un’interpretazione commuovente che esprime al meglio volontà di cambiamento, di equità, di integrità morale. La regia e la sceneggiatura, inoltre, tranne che per qualche piccolo problema, sono di ottima fattura e, senza troppo giri di parole, colpiscono nel segno, analizzando le criticità di una forma mentis e costume che confonde la vittima con il carnefice e fa dei più deboli, i capri espiatori della loro incompetenza e ignoranza.