Bleeding Edge Recensione: il promettente tirapugni online di Ninja Theory

Bleeding Edge

Bleeding Edge è divertente. La sfida di Ninja Theory, stavolta,  è quella di un gioco multiplayer online, hero based per giunta. Il gameplay proposto è in un formato abbastanza innovativo, un picchiaduro di squadra con elementi da MOBA. Si discosta nelle meccaniche dall’evidente fonte ispiratrice, Overwatch, fermo restando che inquadrarlo in un genere è quasi impossibile. Ma dalla varietà dei move-set messi a disposizione dei vari personaggi e dalla modalità osservazione, evidentemente inserita con in testa il cast delle partite su Twitch, è comunque evidente la velleità da Esport messa sul piatto: l’impegno profuso per costruire un videogioco di grande qualità. Proprio per questo speriamo non fraintendiate la votazione finale: un 7.5. Lungi dall’essere un brutto voto eh, sfatiamo questo mito, avrebbe potuto essere anche un 8.5, per quanto ci siamo divertiti con Bleeding Edge. Ma no, non oggi almeno. Leggetela tutta, ci raccomandiamo. Oggi, questa recensione di Bleeding Edge vuole fungere da sprone per far migliorare un comparto di base, molto di base, eccellente, su cui siamo certi Ninja Theory possa e voglia edificare un Esport coi fiocchi. Per ora, ci sono solo i bei nastrini colorati pronti da annodare. Ma anche tanti esempi di altri titoli, recenti o meno, che con nastrini simili, alla fine, ci si sono annodati da soli mani e piedi. 

Bleeding Edge recensione

Bleeding Edge recensione, Overwatchlike

“3…2…1… Power Cells Spawned!” Aspè, ma è per caso la voce di Athena (annunciatrice di Overwatch) quella che risuona nell’arena all’inizio del match? No, è diversa. Ma non abbastanza per non scatenare flash emotivi a chi su Overwatch ha lasciato un piezz’ e core. Non fingiamo che non sia così: Bleeding Edge ha una fonte di ispirazione chiara ed evidente nello sparatutto Blizzard. I design di personaggi e arene, l’art direction del titolo Ninja Theory sono di grande qualità, coerenti con la premessa narrativa e la lore del mondo di Bleeding Edge. Ma se non fosse esistito Overwatch, forse non avremmo mai potuto vedere in Bleeding Edge Zero Cool: un brasiliano delle favelas amante della musica, che se ne va in giro su di una sedia a rotelle levitante. Un healer, che cura attraverso un raggio di luce e per ultimate emette un’onda ad area che fornisce scudi agli alleati. Vi ricorda qualcLucio? Che ne pensate allora di un tank delfino inserito in una boccia, che se ne va in giro sparando dentro a un mech ragniforme? Qui criceto ci cova. 

Bleeding Edge recensione

Non ha senso elencare tutte le similitudini fra personaggi dell’uno o dell’altro gioco. Anche laddove le sovrapposizioni si fanno più marcate, Bleeding Edge riesce sempre a donare ai propri personaggi un guizzo unico che li caratterizza. Senza contare, poi, i design originali e straordinari come quello di Kulev: la coscienza di un uomo appassionato di Voodoo che dopo la morte è stato inserito da un professore pazzo dentro un robot-serpente. Robot che ha deciso di andarsene in giro trascinando il cadavere del suo ex-corpo mummificato, per non dare nell’occhio. Missione fallita, lasciatevelo dire. Ma design eccezionale a dir poco!

Bleeding Edge recensione, il diavolo è nei dettagli

Bleeding Edge condivide con Overwatch anche la qualità di modelli e animazioni. Ninja Theory ha reso vivi i suoi eroi non solo nell’apparenza estetica, ma soprattutto attraverso movenze distintive per la mappa delle arene, e nell’esecuzione delle combo e delle ulti. Persino durante fasi secondarie come lo svuotamento delle Power Cells nei punti di conquista (ci arriviamo alle Power Cells, una cosa alla volta) ogni PG si muove diversamente dagli altri. In sostanza, come Blizzard anche Ninja Theory ha compreso che l’identità di un personaggio non passa solo attraverso vestiario ed estetica. Anzi, nel lavorare alle personalità con attenzione maniacale, Ninja Theory ha persino sottovalutato l’aspetto estetico, skin ed emote, più che ridotte all’osso. Speriamo che vengano aggiunte più emote caratterizzanti, ma soprattutto nuove skin che esulino dai recolor presenti nel menù ad oggi. Le basi per realizzarle ci sono, dato che nella schermata di personalizzazione è possibile leggere una dettagliata lore di ogni personaggio. 

Bleeding Edge recensione

A tal proposito, alla base del concept di Bleeding Edge c’è un Genji scapestrato, di nome Daemon, che, come altri nel mondo, è stato dotato di un corpo migliorato da innesti cibernetici. E cosa decide di farci? Organizza un torneo fra cyborg (illegale) per andare contro il sistema, e divertirsi. E poi? Poi basta. Senza fronzoli, la lore è tutta qui: si menano perché gli va. Come anticipato, i singoli personaggi sono dotati di storie (testuali) specifiche abbastanza approfondite. Perciò a Bleeding Edge, a differenza di Overwatch, non serve creare un’aura di mistero. Visto com’è andata la questione lore per Blizzard poi, che per avanzare in Overwatch ha bisogno di un sequel, forse è meglio così. Se volare basso con la lore faciliterà il lavoro di bilanciamento sul gameplay, mano mano che verranno aggiunti più eroi, ci sta bene. Meglio una semplice certezza, di mille, articolati dubbi irrisolti.

Bleeding Edge recensione, ti devo menare

Tutto bello, ma non abbiamo ancora specificato per bene: come si gioca a Bleeding Edge? L’art direction dei personaggi definisce con chiarezza le loro classi di appartenenza. Ruoli, quindi, calzanti con le loro personalità, storia e abilità. Bleeding Edge è un picchiaduro con eroi ad arene, Moba-like multiplayer online, se proprio vogliamo inquadrarlo. Il gioco mette due squadre composte da quattro personaggi l’una contro l’altra, in due (per ora) modalità di gioco libero, senza rank o obiettivi quindi. Il level design delle arene in cui si svolgono le sfide è stato curato con attenzione, e si sviluppa su piattaforme dalla varia altimetria. Le mappe sono capaci di fornire un buon numero di approcci differenti per raggiungere le diverse zone da conquistare. Sfruttando i moveset dei personaggi, si possono costruire strategie variegate, non costrette in corridoi definiti.

Ogni eroe ha il suo ruolo, tra attaccanti, healer o tank. Al momento hanno la meglio i DPS, presenti in numero e varietà maggiori degli altri due. Di base, l’azione che tutti possono eseguire è picchiare (letteralmente) gli avversari, che vanno approcciati a distanza ravvicinata. Alcuni personaggi sono dotati di armi o abilità che colpiscono in un raggio più ampio, ma che resta comunque molto corto e slegato dal concetto di mira. Quest’ultima è completamente automatizzata, richiedendo al giocatore abilità decisionale e strategica, gestione di cooldown e di combo/schivate/parry, piuttosto che tecnica o “mani”, come si è solito dire fra i fan degli sparatutto. Mani che vorrete mettere addosso ai vostri compagni di squadra con frequenza, dato che Bleeding Edge è ingestibile se non si affrontano gli scontri in gruppo. Niente eroe che salva la situazione 1 vs 4, niente tecniche mirabolanti al cardiopalmo: se sei da solo, muori. E se muori, sei inutile. E se sei inutile, ti devo menare. Dal vivo, mica nel gioco.

Io ho un sogno: avere un sogno!

Il sogno di Ninja Theory è costruire un gioco Esport divertente e bilanciato, giocabile a vari livelli dal casual al professionale. Mancano però, ad ora, partite classificate e rank. Non bastano insomma una modalità conquista, e una sorta di raccolta oggetti (le Power Cells di cui sopra) da consegnare prima degli avversari in zone di recupero. Siamo certi che nuove modalità e riconoscimenti con punteggi e rank attrarrebbero l’utenza che vede nel gioco amichevole una perdita di tempo. Cosa che, anche foste competitivi, non è, dato che gli eroi possono essere personalizzati attraverso build costituite di chip unici. Chip che si sbloccano guadagnando esperienza con il singolo eroe, perciò, al momento, solo giocando le modalità amichevoli. 

Le mod influenzano durata di cooldown, attacco, difesa e vitalità, capacità della barra della stamina (utile per schivare le combo nemiche e parryare) ed effetti secondari di abilità e ultimate. Ogni Eroe ha tre abilità e una Ultimate, l’uso della quale garantisce quasi sempre effetti devastanti. All’inizio della partita, in base alla propria build, va selezionata l’ulti che si desidera sfruttare per il resto del match, in modo da coordinarsi con quelle della squadra (seh, magari). Il formato 4VS4 è perfetto per realizzare strategie semplici, che non richiedono sforzi per essere portate a termine: solo un pizzico di coordinazione. E poi, con meno giocatori su schermo, anche se i colorati effetti ed esplosioni varie sono in effetti distraenti, ci si giostra senza perdere troppe diottrie. Le partite durano il giusto, e la pompatissima colonna sonora punk-rock-dubstep aiuta a non perdere il flow. Ah, se il vostro PC ha qualche hanno sulle spalle, Ninja Theory ha pensato a voi, ottimizzando il titolo e garantendo almeno 60fps, a fronte di un comparto tecnico che non grida al miracolo, e fa ampio uso di cell shading. 

Bleeding Edge è perciò il gioco che tutti gli appassionati si aspettavano fin dal primissimo trailer. Il che non è per forza positivo, dato che se è vero che Ninja Theory ha bilanciato i suoi eroi e le loro abilità alla perfezione, il loro numero è troppo basso: appena 11 (12 quando il delfino Mekko verrà rilasciato, in data da definirsi). Le mappe, per quanto il level design sia efficace, sono poco caratterizzate e vuote, rese vive da due sole modalità amichevoli che diventano, per i meno avvezzi al genere  o per chi gioca da solo, presto ripetitive. Non serve dire che se giocate con amici, Bleeding Edge è capace di regalare ad oggi già molte ore di divertimento. Ma vogliamo di più. Le premesse ci sono tutte, anche se sappiamo bene quanto sia spietato il mondo dei giochi competitivi. Confidiamo in Ninja Theory e in Microsoft, patrona del progetto. Nella speranza, che speriamo traspaia da questa recensione di Bleeding Edge, che il titolo possa avere una parabola diversa da quella dei tanti che hanno tentato, ma sono crollati. Stremati, sommersi sotto i picconi di Fortnite, alle martellate di Reinhardt, e ai cecchini di CS:GO. 

Vive in simbiosi con la sua Switch, segnato da un'infanzia vissuta solo sulle console Nintendo portatili. Persino la sua prima console Sony è stata la portatile PSP, il che è tutto dire. Monta video da quando erano ancora di moda gli AMV su Dragon Ball, e si usava Movie Maker pensando di essere i nuovi Spielberg. Malato di giochi competitivi ed E-sport, ma anche dal lato opposto dello spettro di GDR e Story Driven, pochi titoli si salvano dalle sue spire, e solo perchè ogni tanto deve anche nutrirsi e dormire. Ha scritto questo testo, ma di solito non parla di sè in terza persona. Così, per dire.