Che cos’è l’odio? L’odio è qualcosa che logora le persone. L’odio costringe gli individui a cambiare la propria indole, trasformandoli e portandoli a diventare ciò che non vorrebbero mai essere. L’odio ti manipola l’anima, la distrugge… l’odio ti svuota. Oggi più che mai, considerata la delicata situazione in cui versano gli Stati Uniti, paese d’origine del team dietro The Last of Us Part II, affrontare un simile tema è un atto di coraggio, ma anche un deliberato schiaffo morale a schemi mentali e pregiudizi che hanno superato lo scoglio dell’anacronismo trasformandosi in oltraggiosa ignoranza.
L’odio, proprio come un videogioco, è una strada a più ramificazioni: si trasforma in una biforcazione pericolosa e, quando alla fine le due mete collidono, ciò che ne esce fuori è quanto di più terribile possa mai accadere. The Last of Us Part II è dunque un incontenibile distillato di odio allo stato puro, un gioco che ci farà odiare ed essere odiati, perché come ben sappiamo ogni azione porta sempre ad una reazione uguale e contraria. La luce in fondo al tunnel però non è mai inarrivabile e The Last of Us Part II ci ha lasciato un’eredità: la strada che si imbocca va percorsa fino alla fine, certo, ma Naughty Dog sembra volerci insegnare che prima dell’ultima, ineluttabile curva c’è sempre e comunque una via secondaria che può riportarci sui nostri passi riconducendoci a ciò che siamo: umani.
Il viaggio che abbiamo affrontato ci ha lasciato qualcosa dentro, qualcosa che difficilmente può essere descritto senza pad alla mano. Noi però siamo finalmente pronti a parlarvene, perché lo abbiamo atteso per molti anni, così come voi lo avete atteso per molti anni… e ora che sta per arrivare è giusto che sappiate cosa state per affrontare. Preparatevi, perché “Parte II” ha un significato essenziale: è la storia che prosegue, quella di Ellie, di Joel e, sopratutto, quella di tutti noi.
The Last of Us Part II: dove eravamo rimasti?
La storia di The Last of Us Part II è collegata al suo predecessore direttamente da quell’evento che ha segnato la vita di molti, quel gesto di pochi secondi che ha cambiato, quasi fossimo in un frattale, tanto il destino di pochi, piccoli, personaggi, quanto quello dell’intera specie umana. Joel che spara al dottore pronto a togliere la vita alla “sua” Ellie: una vita in cambio di miliardi di vite. Quell’unica vita, tuttavia, per Joel valeva più della salvezza dell’umanità. Quel colpo sparato con la sua pistola ha dunque messo fine a tutto ma, allo stesso tempo, ha dato il via ad una nuova serie di eventi che hanno permesso alla storia di scorrere verso drammatici avvenimenti concatenati. Un unico, singolo colpo di grilletto, tuttavia infinitamente meno mortale della bugia che ha illuso la giovane Ellie, togliendole il peso di essere l’unica immune e che ha permesso ai due di vivere una vita quasi vicina alla normalità. Fino ai fatti di Jackson, quanto meno. Ellie, ormai adulta, vive la sua vita in una comunità sperduta nel Wyoming, che tende di racimolare scampoli di normalità per simulare una vita quotidiana tranquilla che si è messa alle spalle la pandemia mondiale o, almeno, prova a farlo nel paradiso artificiale rappresentato da quelle quattro mura. Dopo Death Stranding di Hideo Kojima, ancora una volta i creativi di videogiochi si dimostrano i più grandi artefici dell’iperstizione, capaci di cogliere tendenze e realtà future tramite la forza della loro immaginazione. L’aria natalizia e la città addobbata a festa della fortezza infatti sono soltanto una mera illusione: lì fuori è tutto come prima, con gli infetti che vagano sulla Terra alla ricerca di uomini da sbranare, e allo stesso tempo, con le persone che provano a sopravvivere ognuna con le proprie convinzioni e i propri mezzi, militari e non.
In questo contesto, la giovane Ellie ormai fa parte del gruppo addetto alle ronde, alla ricerca di viveri e ovviamente, che si occupa dell’eliminazione di infetti. La sensazione che però le cose tra la ragazza e Joel non siano più rose e fiori emerge subito fuori e questo ci fa intuire che nel corso degli anni (ne sono trascorsi circa quattro) il rapporto tra i due si sia più che incrinato. Jackson però ha accolto i due, così come il fratello di Joel, Tommy, sua moglie Maria e una comunità composta da centinaia di persone, compresi Dina e Jesse, i migliori amici di Ellie. L’evoluzione del rapporto tra Ellie e Dina, in costante mutamento, è stato molto criticato dai più bigotti (in-game e nella vita reale), ma noi non ci abbiamo visto nulla di sbagliato in ciò che fanno: tra le due è nato un sentimento affettuoso, un sentimento d’amore corrisposto e noi non possiamo permetterci di essere giudici di ciò. Nessuno può fermare l’amore, che si tratti di amore etero o amore omosessuale, parliamo pur sempre di amore. Una briciola d’amore nel mondo di Ellie che presto però verrà sopraffatto dall’odio.
The Last of Us Part II: la narrazione secondo Naughty Dog
Il punto di forza dei titoli targati Naughty Dog è sempre stata la parte narrativa, che spesse volte ha avuto la meglio sul gameplay. No signore e signori, questo non è il caso di The Last of Us Part II. Ma procediamo con ordine. Il team di sviluppo aveva promesso di offrire il miglior gioco mai realizzato (da loro) e non solo la parola è stata mantenuta, ma ci riserviamo di dire che ogni nostra aspettativa è stata ampiamente superata. Il “cagnaccio” ha sempre fatto scuola quando si è trattato di mettere in scena una trama intrigante, ricca di colpi di scena e, soprattutto capace di catturare dall’inizio alla fine il giocatore. Ma qui, oseremmo dire, il team ha esasperato oltre ogni suo limite la sua già sconfinata potenza espressiva: la narrazione degli eventi infatti è assai diversa rispetto al predecessore. Se ricordavate bene, in The Last of Us gli eventi sono narrati in maniera lineare, con la trama principale che si sviluppa nell’arco di un anno, tirando dritto fino alla fine e lasciando alle spalle un buco grosso venti anni, ovvero dalla morte di Sarah all’arrivo di Tess nell’appartamento di Joel. Che cosa sia successo in quei venti anni, non è dato saperlo. Questo tipo di narrazione è stato completamente abbandonato in The Last of Us Part II, adottando un approccio alternato con la storia che si apre subito dopo la conclusione del primo capitolo, per poi traslarci quattro anni più tardi, ovvero dove il gioco vero e proprio ha inizio. Dopo aver assaporato un po’ di aria natalizia in quel di Jackson e aver parlato con un po’ di persone in maniera indiretta, veniamo subito spediti in ricognizione insieme a Dina, in una scena a cavallo che ha lo stesso sapore delle indimenticabili passeggiate di Red Dead Redemption 2. Nello stesso istante, Joel e Tommy si trovano anch’essi fuori per portare a compimento i loro doveri, quando l’incontro con una misteriosa ragazza inseguita da decine di Runner li porta subito a combattere per non essere sopraffatti. Il ricongiungimento di Ellie e Joel dovrà aspettare.
Dopo questo prologo esteso e ricco di emozioni, il punto focale della nostra nuova avventura si sviluppa nell’arco di tre giorni, tre giorni intensissimi e che a loro modo sono decisamente più ricchi dell’intero anno trascorso nel primo capitolo della serie. Ed è qui che inizia a venire fuori lo stile narrativo scelto da Naughty Dog per il suo gioco. La storia che ci viene raccontata e che viviamo in prima persona viene narrata in maniera parallela (ma il perché non ve lo diciamo), raccontandoci di due realtà differenti e di ogni singolo avvenimento avvenuto in quei tre giorni, senza farci perdere alcun dettaglio dell’evoluzione della trama. Ma quello che più ci ha “costretto” a non staccarci dalla console sono stati sicuramente i vari “viaggi nel tempo”, che hanno evidenziato gli avvenimenti cruciali accaduti negli anni precedenti (i quattro anni trascorsi), ognuno facente parte di un pezzo di puzzle che man mano, sistemati tutti, hanno completato il quadro senza farci perdere nessun nesso logico, tessendo così una trama davvero completa, oltre che lodevole. Alla fine di The Last of Us Part II infatti, nessuna domanda è stata lasciata in sospeso e ogni singolo evento ha ottenuto un suo perché.
Ovviamente, siamo stati in grado di giocare ogni singolo spezzone ambientato nel passato, ricostruendo così la storia con le nostre mani, passo dopo passo. Parliamo dunque di un’esperienza narrativa appagante in tutto e per tutto, che può essere considerata il punto di forza dell’intera opera videoludica, ma che allo stesso tempo non pone nuove basi per un nuovo standard narrativo, dato che non si tratta di una novità che va a stravolgere l’industria dei videogiochi. Ciò che però l’arricchisce è l’intera trama realizzata dal team creativo e da Neil Druckmann, che ha deciso di regalarci un’opera perfetta che anche lui volesse non finisse mai, come dimostra la sequenza finale del gioco: quando pensavamo che il titolo non potesse più dirci nulla, che il turbinio di emozioni fosse (purtroppo) finito, è bastato un singolo avvenimento per regalarci altre ore di gameplay, che ci hanno accompagnato verso un finale del tutto inaspettato. Una svolta che ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo, ma allo stesso tempo potrebbe aver messo fine a tutto! Se la vostra curiosità è quella di sapere quant’è l’effettiva durata del gioco, sappiate che noi abbiamo impiegato tra le ventisei e le ventisette ore per completare il titolo. Chi però intende tirare dritto e non darsi ad una completa esplorazione degli ambienti (come abbiamo fatto noi), può benissimo terminare il tutto risparmiando dalle due alle tre ore. La rigiocabilità però è davvero alta e oltre alla modalità New Game Plus, sono presenti altri livelli di difficoltà che rappresentano una sfida sempre più alta, tra nemici più potenti e risorse più limitate.
Un mondo lineare, più aperto… ma con i soliti limiti
Più di venti anni e risentirli tutti! Se il mondo avesse un motto, sarebbe sicuramente questo. Da quando il Cordyceps ha manifestato tutta la sua aggressività, chi ne ha fatto più le spese è stata la Terra, completamente devastata e risucchiata dalla natura, che ha messo radici praticamente ovunque. In quattro anni, ovvero dalla fine di The Last of Us all’inizio di The Last of Us Part II, le cose non sono migliorate. Edifici distrutti, strade impraticabili… proprio come un perfetto disaster-movie. Il mondo che abbiamo affrontato in questo nuovo capitolo è stato uno dei nemici più ostici dell’intera esperienza di gioco, che più volte ci ha messo in difficoltà rendendo complicati diversi passaggi o il raggiungimento di un determinato posto. Partiamo da un presupposto: come abbiamo già detto nella nostra anteprima, il titolo mantiene la sua identità lineare e dunque, per raggiungere la nostra meta esiste sempre e soltanto un’unica strada percorribile e spesse volte è il gioco stesso che ci porta per mano fino al raggiungimento del punto d’interesse. Detto ciò però, a differenza del prequel Part II si presenta come un titolo davvero enorme. Le città che fanno da sfondo all’avventura, tra cui la mastodontica Seattle, sono calpestabili per interi chilometri. Gli ambienti infatti sono estremamente vasti e più di una volta ci siamo persi tra i tanti palazzi, negozi ed edifici visitabili, alla ricerca di scorte da trovare o della strada giusta da imboccare.
Non tutti gli edifici però sono esplorabili: alcuni si presentano aperti, altri invece diventano accessibili mediante alcuni espedienti, come la rottura di vetri o l’utilizzo di corde per raggiungere quell’unica apertura verso la location in questione (parliamo di veri e propri enigmi ambientali), mentre altri ancora sono del tutto inaccessibili. Sta a voi decidere se volete visitarli tutti oppure proseguire lasciando alle vostre spalle materiali, munizioni o addirittura armi che poi non potrete più recuperare. Già, perché in molte occasioni raggiunto un determinato punto del gioco diventa poi impossibile rifare la strada a ritroso. Questo è senza ombra di dubbio un limite ereditato dal primo capitolo e che mai avremmo voluto rivedere. Ma il mondo di gioco è davvero così vasto? Secondo il nostro punto di vista si, ma nonostante ciò la sensazione di soffocamento e intrappolamento avuta nel precedente titolo tornano prepotentemente anche in questo sequel. Molte location si presentano infatti estremamente esplorabili (con ovviamente i propri limiti), ma non mancano i classici palazzoni composti da stanze e corridoi, dove a parte qualche stanza accessibile esiste soltanto un unico corridoio percorribile. E dire che l’avventura di Ellie è iniziata in maniera del tutto inaspettata: la zona iniziale di Seattle infatti ha visto addirittura l’intoduzione della mappa, oggetto indispensabile per non perdersi tra i tanti edifici accessibili della città. Ellie è in grado di aggiornare la mappa step-by-step e ogni location presenta indizi in grado di sbloccare sulla suddetta mappa altri palazzi visitabili e ricchi di scorte. Inoltre, la sua vastità ha richiesto la presenza di un cavallo, mezzo necessario per spostarsi da un edificio all’altro in maniera più veloce. In un primo momento abbiamo pensato che l’intera opera fosse impostata in questo modo, ma purtroppo la meccanica della mappa si è limitata soltanto a questa specifica area. Un vero peccato, dato che questa sequenza di gioco ci è sembrata una sorta di semi open-world e la cosa non ci è dispiaciuta per nulla.
Questo senso di mondo più aperto invece è andato via via scemando e le varie “barriere” imposte dal gioco hanno avuto il sopravvento sulla libertà d’azione. Tra strade interrotte, cancelli con fili spinati o boscaglia troppo fitta per essere attraversata, queste limitazione sono state fin troppo invadenti, molto fastidiose e oppressive. Questa sensazione la si avverte soprattutto all’esterno, dove l’immensa ambientazione ricreata in maniera fedele e con un livello di dettaglio spaventosamente reale, soprattutto per quanto riguarda la rigogliosa vegetazione, sembra avvolta da una cupola invisibile che impedisce fisicamente di attraversare determinati blocchi. Questa è una costante dei titoli lineari, certo, ma un mondo così bello e replicato quasi alla perfezione sembra emettere un grido di sofferenza a causa di queste limitazioni.
Per nostra fortuna, a mettere una pezza a ciò ci ha pensato la maggior esplorabilità data dai level designer, che grazie all’incremento delle risorse reperibili in ogni angolo invoglieranno quasi certamente il giocatore a rovistare in ogni singolo cassetto o armadietto per trovare scorte di ogni genere. E fidatevi, in The Last of Us Part II queste saranno essenziali per sopravvivere! Parlando del level design, l’influenza di Uncharted 4 è estremamente evidente: il gioco perde la sua staticità e diventa molto più fluido, con più location accessibili grazie soprattutto all’aggiunta del salto e alla maggiore verticalità dei livelli. Ellie può raggiungere più altitudini, saltare ostacoli e sfruttare l’ambiente per scappare dai nemici. Gli impedimento non dovranno più essere aggirati, ma possono essere saltati premendo semplicemente un tasto. Questa ventata di novità nel gameplay è stata evidente fin dall’inizio: controllando Ellie, dovevamo raggiungere una scala posta in alto, ma questa sembrava davvero irraggiungibile inizialmente. Questo perché stavamo ragionando ancora con le vecchie meccaniche. Dopo aver ricevuto l’illuminazione infatti e sfruttando la nuova verticalità offerta dal titolo, il raggiungimento di quella scala si è rivelato più facile del previsto, dato che ci è bastato arrampicarci sul camion per raggiungerla. Quante cose può fare un singolo tasto!
Finalmente un gameplay con la G maiuscola
Se dal punto di vista narrativo nessuno si è mai permesso di criticare quelli Naughty Dog, dobbiamo ammettere che i gameplay dei suoi giochi sono sempre stati il tallone d’Achille delle produzioni. Tra gravi mancanze, meccaniche lasciate a metà e sensazioni di legnosità durante il controllo dei personaggi, è stato sempre difficile apprezzare queste opere videoludiche fino a fondo, quanto più in nome del netto contrasto con l’integrità formale dello storytelling. Una tendenza già invertita a partire da Uncharted 4, ma che con The Last of Us: Part II traghetta finalmente lo studio nella maturità di una sintesi totale tra narrazione e game design. Il sequel migliora sotto ogni aspetto le lacune lasciate in eredità dal suo predecessore, con la differenza tra i due che può essere paragonata tra un pezzo di legno e una leggiadra ballerina di danza classica. Le varie meccaniche proposte rendono il tutto assai scorrevole e fluido, garantendo la massima immersione all’interno del gioco, quasi come se il giocatore ed Ellie si fondessero in un solo essere, con il joypad utilizzato come mezzo per trasportare la propria anima all’interno della ragazza: i comandi infatti rispondono alla perfezione ad ogni azione che vogliamo intraprendere. Ad ogni azione corrisponde un’animazione realistica, che subisce ogni intervento esterno causato da avvenimenti e nemici. L’esempio più lampante è quello legato all’apertura delle porte barricate: alcune porte devono per forza di cose essere forzate per essere aperte (tenendo premuto il tasto triangolo), ma ovviamente spesse volte non sarete soli ma circondati dai nemici. Mentre si compie questa azione, i nemici ovviamente non resteranno a guardare e tenteranno in ogni caso di bloccarvi. Se colpiti, l’animazione dell’apertura della porta non si bloccherà di colpo, ma verrà seguita dalla reazione della ragazza, costretta a lasciare la porta a causa del colpo subito.
Questo particolare design raggiunge l’apice durante i combattimenti con le armi da fuoco. Il feedback dei colpi ricevuti è sensazionale, perché il corpo dei personaggi accusa ogni singolo colpo ricevuto. I proiettili possono colpirci di striscio e non causare alcuna reazione, ma un colpo ricevuto in pieno corpo viene risentito (eccome) dal personaggio, che spesse volte verrà anche atterrato dai proiettili, perdendo addirittura tempi di reazione e diventando facile preda. Onde evitare questa brutta fine, è possibile ripararsi dietro qualsiasi muro o oggetto, a patto che offra la massima copertura. Parlando di coperture, non esiste un vero sistema che permette di sparare e nascondersi mediante l’utilizzo di un singolo tasto (Uncharted per intenderci), ma occorre eseguire tutto manualmente. Dunque, a farla da padrone in questi casi è il timing: sfruttare l’indecisione degli NPC è fondamentale per avere la meglio su di loro, ma uno scontro uno contro più persone è sconsigliabile dato che non stiamo giocando uno sparatutto con un gunplay da “videogame”, ma un gioco che simula anche gli scontri a fuoco. La grossa rivoluzione però l’abbiamo ricevuto nei combattimenti corpo a corpo, che siano contro gli umani o contro gli infetti. I combattimenti non funzionano più “a chi si dà più botte vince”, ma si basano su un sistema più complesso che rende gli scontri davvero avvincenti. Ellie può evitare quasi tutti gli attacchi ricevuti con la sua schivata (tasto L1), utilizzabile nel momento esatto in cui i nemici provano ad attaccarvi. Molti nemici però posseggono pattern d’attacco imprevedibili e dunque, nulla è mai scontato. Anche la gestione degli attacchi dei Clicker è cambiata, o per meglio dire, semplificata: Ellie è in possesso di un coltello indistruttibile e dunque, gli assalti dei Clicker possono essere gestiti in maniera migliore dato che la ragazza può scrollarsi di dosso l’infetto e colpirlo con la sua arma. Ovviamente, di armi bianche ne sono presenti a bizzeffe, con queste ultime che possono essere potenziate e rese ancora più letali, ma allo stesso tempo presentano un numero di colpi limitato prima di distruggersi.
Ma se da una parte il gioco privilegia gli scontri a fuoco o corpo a corpo, dall’altra parte le meccaniche stealth sono state ulteriormente migliorate. A cominciare dall’introduzione dell’erba alta: questo sistema permette di nascondersi alla vista dei nemici (sfruttando proprio l’erba a vostro vantaggio) ed è stato elaborato in maniera dannatamente maniacale. A differenza di molti altri titoli, dove nascondersi nell’erba equivale a diventare invisibili, qui invece incidono diversi fattori. Soltanto l’erba alta può offrire il massimo dell’elusività, mentre una copertura non totale porta i nemici a scoprirvi e allarmare i propri alleati. Grazie alla possibilità di stendersi e strisciare però, anche l’erba più bassa può essere sfruttata per nascondere la propria presenza ai nemici circostanti. Inoltre, tornano prepotentemente gli assalti furtivi, con la possibilità di strangola o utilizzare come scudo umano i nemici umani, strangolare o accoltellare gli infetti, mentre i Clicker possono essere soltanto accoltellati. Questa natura ibrida del gameplay permette dunque di gestire le varie situazione grazie a più approcci, ma una volta allarmati i nemici l’unica cosa da fare sarà sempre e soltanto darsi alla fuga. Anche in questo caso The Last of Us Part II non rivoluziona nulla rispetto ad altre produzione giocate, ma la perfezione raggiunta a nostro avviso lo pone tra i top nei generi action, stealth… e survival-horror!
Già, come possiamo non parlare della natura horror dell’esclusiva PlayStation 4, portata ad alti livelli in questo secondo capitolo. Le sezioni di gioco dove a farla da padrone sono gli infetti non hanno nulla da invidiare agli altri survival-horror più rinominati. I lamenti dei Runner, i versi degli Stalker, le grida dei Clicker, l’imponenza dei Bloater e l’introduzione delle nuove creature chiamate Shambler elevano il concetto di paura all’ennesima potenza. La gestione dei nemici cambia radicalmente in queste situazioni e anche l’intera ambientazione circostante sembra rivoltarsi contro il giocatore. Qui un passo falso porta a morte certa, dato che un singolo colpo sparato o il minimo rumore fatto equivale a richiamare a sé ogni infetto nei paraggi. Inoltre, il design di queste creature è stato notevolmente migliorato: abbiamo apprezzato soprattutto il design degli Stalker, che ora si presentano più terrificanti che mai e quasi simili ai loro colleghi Clicker. Questi ultimi hanno invece ricevuto dei nuovi versi, con ogni gemito emesso che vi causerà incubi notturni a ripetizione.
Tra le meccaniche confermate invece troviamo il crafting immediato, basato sul ritrovamento di componenti e oggetti capaci di sbloccare le rispettive ricette. È possibile creare kit medici, bombe di ogni genere, molotov e persino frecce e alcune tipologie di munizioni. Anche il sistema di potenziamento del personaggio torna alla riscossa in questo nuovo capitolo, ma quest’ultimo è stato sensibilmente rivisitato e ampliato. L’intera meccanica si basa sempre sugli integratori, ma queste pillole sono presenti in quantità maggiore dato che adesso esistono degli alberi di abilità che permettono di potenziare il personaggio step-by-step, richiedendo una quantità di integratori sempre maggiore. All’inizio sono disponibili poche abilità sbloccabili, ma è possibile ottenere nuove abilità (sempre da sbloccare tramite gli integratori) trovando i tanti manuali di addestramento sparsi nel mondo di gioco. Va detto però che non è possibile potenziare al massimo Ellie in una singola run! Forse però, ciò che più ci ha convinto è stata la meccanica alla base del potenziamento delle armi. Non tanto per il potenziamento in sé, dato che questo si basa sempre sul ritrovamento di rottami utili per potenziale l’arsenale. Qui parliamo di perfezione videoludia allo stato puro: le animazioni offerte durante le fasi di potenziamento delle armi sono un qualcosa che non abbiamo visto da nessuna parte e vi sfidiamo a farci degli esempi. La cura con cui Ellie si dà alla manutenzione delle armi si avvicina al puro orgasmo e possiamo assicurarvi che verrete invogliati a potenziare ogni singola arma ogni volta che vi ritroverete davanti un banco da lavoro soltanto per vedere la cura nello smontare e rimontare l’arma e i suoi nuovi componenti.
Ora che Ellie è in grado di nuotare, tornano anche le varie sezioni acquatiche, ma la novità è senza ombra di dubbio l’introduzione della barca, che ci accompagnerà per alcuni spezzoni. Il sistema su cui si basa la guida però è estremamente semplice, con il mezzo che ha come unica utilità quello di portarci da un posto all’altro. Inoltre, sempre da Uncharted il gioco eredita anche un diario: il nostro personaggio è in grado di segnare alcuni ritrovamenti o particolari incontrati lungo il viaggio sul suo diario personale, ma oltre a ciò sarà possibile leggere anche ogni emozione che la ragazza riverserà su quelle pagine. Infine, segnaliamo la presenza di casseforti nascoste in alcune zone (anche se molte volte saranno comunque in bella vista), ma a dirla tutta il ritrovamento dei codici per aprirle e ottenere il loro contenuto risulta fin troppo banale e privo di qualsiasi difficoltà.
Un’intelligenza artificiale con un QI mai visto
Il vero fiore all’occhiello del capolavoro di Naughty Dog è senza ombra di dubbio l’intero sistema che gestisce l’intelligenza artificiale dei nemici, questo sì che può davvero segnare un nuovo punto d’inizio per quanto riguarda il comportamento dei nemici in-game. In The Last of Us Part II esistono due fazioni umane distinte e separate che si fanno guerra tra di loro: i soldati del WLF e i Serafiti. I primi sono un’organizzazione che vanta equipaggiamenti di tutto rispetto e un addestramento militare, mentre i Serafiti sono un culto che si fonda su severe leggi religiose e che predilige l’utilizzo di archi e armi bianche, ma non disdegna comunque l’utilizzo di armi da fuoco. Affrontare questi nemici è un’impresa davvero ostica, dato che per farlo dovrete in primis dimenticare ogni approccio avuto in passato durante le fasi di combattimenti. L’IA gestisce ogni NPC in maniera ultra-realistica: i nemici non seguono più percorsi prestabiliti dal gioco, ma si comportano in modo naturale e, una volta allertati iniziano una ricerca spietata fino al ritrovamento dei personaggi. Ciò è evidente quando viene fatto del rumore oppure verrete scoperti dagli avversari: questi si chiamano a vicenda, indicano i punti d’avvistamento, si parlano ed elaborano strategie per circondarvi. Il tutto in tempo reale e senza alcuna sequenza scriptata. Inoltre, tendono a diventare più aggressivi quando un loro alleato muore, chiamando addirittura per nome la povera vittima (anche se è difficile pensare che ogni NPC abbia realmente un nome).
I serafiti sono ancora più infami, dato che utilizzano dei fischi per comunicare e a tal proposito, se desiderate un’esperienza di gioco più immersiva vi consigliamo di non attivare i sottotitoli dell’IA nemica, in modo tale da ricevere approcci al combattimento ancora più realistici. L’elevata potenza dell’IA è evidente anche nella gestione dei cani: ammazzato il padrone, i canidi perdono ogni comando e soltanto se infastiditi tenderanno ad attaccarvi. L’intelligenza artificiale però può essere sfruttata anche a nostro vantaggio: spesso umani e infetti si ritrovano negli stessi luoghi e basta un semplice bottiglia o un mattone scagliato nel punto giusto per far iniziare una guerra umani-infetti utile per darsi alla fuga durante il caos generato. Inoltre, e lo ripetiamo, il tutto è gestito in tempo reale ed è impossibile stabilire chi ne uscirà vincitore da questi scontri. Anche “l’aggro” degli avversari è gestito in maniera logica e due fazioni che si scontrano tra di loro non tenderanno poi a coalizzarsi contro di voi nel momento in cui ci si manifesta durante la colluttazione. Anche questo può essere sfruttato per eliminare nemici risparmiando munizioni e preservare punti salute.
Ma se i nemici sono gestiti in maniera sublime, possiamo dire lo stesso dei tanti alleati che ci accompagneranno durante il nostro viaggio? In parte si e in parte no. La disastrosa IA vista nel primo capitolo è un lontano ricordo in The Last of Us Part II, con le nostre spalle che tendono ad essere più “vive” e più utili alla causa. La loro presenza non può essere paragonata ad un “fantoccio” ed è soprattutto durante i combattimenti che la loro utilità è più che evidente. I loro colpi risultano determinanti e da soli possono eliminare più nemici rispetto al passato. Inoltre, durante le fasi di esplorazione sono più che utili con i loro ragionamenti, aiutando a trovare passaggi e vie per superare diversi blocchi, oltre a farvi compagnia con racconti e battute. Purtroppo però abbiamo riscontrato anche alcuni limiti e mancanze da parte dei compagni: il primo è sicuramente legato alle coperture, con gli alleati che quelle poche volte che risultano in bella vista non vengono rilevati dai nemici. Inoltre, durante gli assalti dei cani ai vostri danni, i compagni restano a guardare mentre gli animali ci stanno sbranando, senza alzare il minimo dito in nostro soccorso. Piccoli difetti certo, ma comunque esistenti!
A bocca aperta, ma niente fotorealismo (o quasi)!
Abbiamo giocato The Last of Us Part II su PlayStation 4 standard, ma nonostante ciò il dettaglio grafico espresso dal gioco ci ha lasciato più di una volta a bocca aperta. Alcuni paesaggi visti in lontananza, la cornice offerta dalla natura e le imponenti città ci hanno fatto letteralmente uscire gli occhi fuori dalle orbite. Il titolo spinge davvero ai limiti massimi la console (anche in termini di prestazioni) e il motore grafico potenziato di Naughty Dog ha lavorato davvero bene, ma nonostante un dettaglio grafico davvero eccelso, il fotorealismo auspicato da tutti purtroppo non è stato sempre raggiunto, anche se per poco. Certo, molti dei personaggi, tra cui quelli principali, presentano dei dettagli fisici e delle espressioni facciali ben definite, mentre altri sono stati realizzati in maniera meno dettagliata. Molti personaggi secondari offrono un livello di dettagli molto inferiore alle aspettative, con lo stesso Joel cui peli della barba in alcuni frame stonano molto con il resto del volto. Anche Ellie in alcuni frangenti si sdoppia in termini grafici, nonostante non esista praticamente differenza tra cut-scene e gameplay, con la transizione tra questi due che è immediata e priva di alcun caricamento. I nemici poi presentano sì diversi pattern, ma l’effetto-fotocopia con persone uguali tra loro, seppur meno evidente, purtroppo è presente anche in Part II. Se proprio vogliamo trovare il punto più alto in termini grafici, basta aspettare l’arrivo delle parti con la pioggia: è lì che il gioco mostra come PlayStation 4 può essere spremuta fino a tirare fuori il suo massimo potenziale in termini di resa grafica. La gestione della pioggia e l’effetto bagnato offrono un dettaglio grafito tendente al tanto decantato fotorealismo. Inoltre, grazie all’introduzione della meccanica del nuoto, i nostri personaggi tendono a proporre l’effetto-bagnato più spesso di quanto possiate immaginare.
Ma se dal punto di vista grafico la perfezione è soltanto sfiorata, le animazioni facciali rappresentano il massimo che questa generazione di console può offrire. Ogni singola emozione è stata tradotta con la propria animazione, sia durante le cut-scene, dove l’odio di Ellie traspare in maniera quasi assurda, producendo espressioni al limite del reale, ma anche durante le fasi di gameplay: qui i volti non restano mai statici ma vengono influenzati da ogni fattore esterno. Vedere il personaggio soffrire per un colpo subito o una freccia incastonata nel proprio corpo fa letteralmente venire i brividi, e anche la mimica facciale dei nemici è stata curata nei minimi dettagli. Se prima abbiamo detto che forse alcuni particolari grafici di questi NPC non sono molto gratificanti, ciò viene compensato da animazioni facciali estremaente reali. La furia di Ellie infatti si ripercuote su tutte le persone che intralceranno il suo cammino e più le eliminazioni sono violente, più il dolore è visibili sui loro volti. Che dire… chapeau!
Per quanto riguarda invece le prestazioni, The Last of Us Part II si comporta davvero bene. Detto del passaggio immediato tra cut-scene e gameplay, quasi come fosse un tutt’uno, anche il frame rate non desta alcun difetto, mantenendosi sempre costante e non calando quasi mai, neanche su PS4 standard. Il gioco dunque scorre in maniera fluida, anche se alcune volte si sono manifestati piccoli blocchi di pochi secondi durante le fasi di apertura dei documenti. Bazzeccole sistemabili comunque con qualche patch. Con i tempi di caricamento praticamente azzerati, a parte quello iniziale di pochi secondi che ci distaccano tra la morte e il ritorno in-game, gli unici problemi da segnalare sono piccoli bug di natura grafica come vasi volanti o scale sollevate con una singola mano. Per il resto, noi di particolari difetti non ne abbiamo trovati! Possiamo dire lo stesso del comparto sonoro? Ovviamente si. Certo che la colonna sonora non resta memorabile come accaduto in altri titoli (Death Stranding e Red Dead Redemption sono troppo lontani per essere raggiunti), ma il gioco offre comunque una soundtrack apprezzabile ed emozionante durante alcuni punti focali della trama. Abbiamo adorato fin troppo il rumore della pioggia, mentre la colonna sonora e i suoi di sottofondo diventano realmente “horror” e terrificanti durante le sequenze dove la presenza di infetti si fa davvero imponente.
The Last of Us Part II è un gioco violento e non si pone limiti
L’aspetto che più contraddistingue The Last of Us Part II e lo differenzia da tutti i titoli pubblicati fino a questo momento è la spregiudicatezza da parte degli autori di proporre degli avvenimenti e delle azioni quanto più cruenti possibili. Il gioco è di una violenza inaudita e non lesina alcun tipo di tematica spinta e surreale, abbattendo la barriera del perbenismo e del bigottismo. Sgozzamenti, strangolamenti, trucidazioni e ogni singolo atto di violenza sono all’ordine del giorno nel nuovo The Last of Us e la crudeltà manifestata da Ellie, da questa nuova Ellie plagiata da un mondo in decadimento e dal turbinio di emozione che l’attraversa durante tutto il suo viaggio, spinta da una vendetta cieca e inarrestabile, assume un suo perché avvenimento dopo avvenimento. Dunque, non parliamo della solita violenza gratuita e priva di un perché proposta in molti titoli, ma di una maturità raggiunta da Druckmann ed Halley Gross nel raccontare di come una persona possa perdere ogni umanità e fare di tutto fino a raggiungere il suo scopo finale. Tale crudeltà non viene riversata solo sugli esseri umani, ma neppure gli animali vengono risparmiati dall’incessante avanzare della ragazza: quei guaiti emessi dalle povere bestie prossime alla morte sono un qualcosa che logora dentro, ma necessari per raggiungere il nostro scopo ultimo.
Ma la maturità che fuoriesce dall’opera raggiunge il suo apice quando si parla di amore, il che è paradossale se pensiamo che ogni bit del codice sorgente di The Last of Us Part II è impregnato di odio. Parliamo ovviamente dell’amore tra Ellie e Dina, raccontato con un’innocenza e una forza tale da fare da contraltare all’efferatezza senza fine delle meccaniche di gioco. Come un fiore in un prato devastato dal diserbante, la tragica bellezza del loro rapporto è un contrafforte narrativo che sovverte il mantra del “giocare a ogni costo”, da anni nient’altro che un becero belare dei giocatori più retrogradi, risolvendo al contempo quell’inevitabile divergenza tra un gameplay Tripla A indissolubilmente legato all’azione e la necessità di espanderne lo spettro emozionale. In un esempio di arte che imita la vita, i “character moment” tra Ellie e Dina dipingono con delicatezza la vita di persone qualunque in un mondo ostile e disperato, popolato di creature mostruose e umani abbrutiti dalla perdita della ragione, pronti a farle a brandelli senza pietà. L’ignoranza e il pregiudizio sono il vero mostro che corrode le anime degli uomini, e Naughty Dog non ha paura di sentirsi ridondante nell’affermarlo, nella consapevolezza che è nell’istante stesso in cui dimentichiamo di amare che ritorniamo a usare i bastoni e le clave invece che creare legami e connessioni.
The Last of Us Part II si è rivelato essere un viaggio incredibile e soprattutto, del tutto inaspettato. Qualsiasi cosa abbiate immaginato finora, sappiate che in ogni caso sareste lontani da ciò che questo gioco è pronto a donarvi. Il titolo è pronto a regalare dei colpi di scena di cui ci è stato categoricamente proibito di parlare e, forse è più giusto così. Vi assicuriamo che le emozioni pronte ad investirvi saranno davvero tante, dunque, accoglietele tutte senza alcuna remora e alcuna chiusura, soprattutto mentale. The Last of Us Part II ci ha fatto amare persone che odiavamo e odiare persone che invece adoravamo. The Last of Us Part II alla fine ci ha rivelato una grande verità: i veri nemici non sono soldati, fanatici o esseri mutati, ma il nostro peggior nemico siamo senza ombra di dubbio noi stessi. Prima di lasciarvi, vogliamo dirvi un’ultima cosa: è vero che l’odio rappresenta il tema centrale dell’intera opera di Naughty Dog, ma sappiate che una medaglia ha sempre due facce. Ma l’altra faccia di questa specifica medaglia chiamata Ellie quale sarà? Sta a voi scoprirlo!
Naughty Dog si appresta dunque a pubblicare quello che può essere considerato, così come il suo predecessore ai suoi tempi, il canto del cigno di PlayStation 4. Dal suo annuncio a questa parte, The Last of Us Part II è stato subito etichettato come il titoli di questa generazione, ma ha saputo anche concretizzare le parole con i fatti con una trama al limite del cinematografico, matura e con ogni tipo di emozione possibile, oltre ad un gameplay che ha imparato dagli errori del suo predecessore e ha raggiunto una perfezione inattesa. Il gioco rientra dunque non per grazia ricevuta ma per suoi meriti nell’elite dell’industria videoludica! Ciò è stato possibile perché finalmente il team di Neil Druckmann ha capito che per ottenere il massimo dei risultati non occorre soltanto emozionare e coinvolgere i propri utenti con una storia profonda, tralasciando ciò che più conta per i giocatori, ovvero videogiocare. The Last of Us Part II dunque fonde entrambi questi aspetti in un unico nucleo, offrendo quella che ad oggi è una delle esperienze videoludiche più complete ed appaganti in circolazione!