Vorrei iniziare questa recensione condividendo con voi una mia piccola fobia: ogni volta che leggo la parola anime accostata al termine fantasy mi tremano le ginocchia. Magari è perché sono troppo legato alla tradizione occidentale, tolkeniana oserei dire, del genere, o forse perché la visione di alcuni “grandi” titoli del livello di Is This a Zombie?, Strike Witches o Akikan! mi ha insegnato ad avere un reverenziale timore delle vette di assurdità raggiungibili dall’umano ingegno, in particolare da quello nipponico. Sta di fatto che quando in redazione mi hanno assegnato la recensione di Memorie di Idhun, e ho letto in nota che si trattava di un anime fantasy, le mie ginocchia hanno tremato. Esagerato, direte voi. Beh, dopo aver visto i cinque episodi della prima stagione, posso tranquillamente dire di aver avuto la reazione giusta, ma per motivazioni completamente sbagliate.
Prima di tutto Memorie di Idhun è un anime che non è un anime, almeno non nel senso convenzionale. Mi spiego meglio: anche se il termine in sé indica genericamente un film (o una serie) d’animazione, in Occidente siamo soliti chiamare anime le produzioni d’animazione giapponesi, in particolare riferendoci agli adattamenti dei manga. Memorie di Idhun invece è un cartone animato spagnolo in stile anime, ispirato a La Resistenza, primo libro della trilogia fantasy Memorie di Idhun di Laura Gallego Garcia, uscito nell’ormai lontano 2004, che ha avuto un grande successo in Spagna ed è passato più o meno inosservato in Italia (basti pensare che i due sequel da noi non sono stati nemmeno tradotti). Di una trasposizione dell’opera in una serie animata si era cominciato a parlare già nel 2017, con il colosso spagnolo Movistar+ interessato a produrla in collaborazione con Zeppelin TV, ma sono serviti tre anni, e l’arrivo di Netflix, perché il progetto diventasse infine realtà.
Memorie di Idhun: una storia senza protagonisti
La trama parte speditissima presentandoci immediatamente il protagonista, un tredicenne Jack, che torna trafelato a casa soltanto per scoprire che i suoi genitori sono stati assassinati da due misteriosi individui, che sembrano proprio voler uccidere anche lui. Quando il ragazzo si ritrova ormai spacciato però, altri due sconosciuti compaiono dal nulla nel suo salotto e lo salvano, teletrasportandolo in un luogo sicuro, a Limbhad. Qui Jack fa la conoscenza dei suoi salvatori, il mago Shail e il principe Alsan, e di Victoria, una ragazza della sua stessa età con poteri curativi. Scopre anche l’esistenza di Idhun, un mondo di magia, parallelo alla Terra, che è caduto sotto il dominio del crudele Negromante Ashran, e del quale i suoi genitori erano originari. Proprio per questo il temibile Kirtash, servitore di Ashran, e il suo mago Elrion li hanno uccisi. Alsan, Shail e Victoria sono la Resistenza, un gruppo che tenta di fermare i piani del Negromante e di proteggere le uniche due creature che hanno il potere di fermarlo: un unicorno e un drago. Jack sceglierà di unirsi a loro per aiutarli in questa difficile missione.
Un intreccio, insomma, lineare, senza fronzoli, a tratti persino prevedibile, che corre a perdifiato dipanandosi con chiarezza di puntata in puntata. La storia procede con una rapidità forse eccessiva, come se fosse ansiosa di raccontarci ciò che succede, senza deviare mai o preoccuparsi di fare un piccolo passo indietro per spiegare o riassumere. Nel corso delle cinque puntate ci sono solamente un paio di flashback, peraltro molto brevi, che alla trama aggiungono davvero poco. In tutta questa fretta narrativa però, Memorie di Idhun si dimentica qualcosa di fondamentale: i suoi personaggi. Jack, Victoria, Alsan e Shail vengono caratterizzati in modo appena abbozzato, stereotipato, e costituiscono il classico e abusato gruppetto di eroi anime/fantasy composto da un guerriero, un mago, un ragazzino goffo ma promettente e una ragazzina insicura ma dalle grandi potenzialità. Al di là di queste presentazioni macchiettistiche, i personaggi hanno ben poco da dire e non riescono a generare empatia, ad appassionare, ed è proprio per questo che la trama fallisce tutte le volte in cui cerca di generare tensione o ansia per il loro destino. Questo senza contare l’aspetto emotivo: Jack passa dalla disperazione per la perdita dei genitori ai sorrisoni amichevoli in un battito di ciglia, tutti gli altri non dimostrano la benché minima scintilla di empatia, nemmeno un po’ di calore umano in un momento tanto drammatico, mettendo in mostra, citiamo Hermione Granger, “la varietà di emozioni di un cucchiaino”. Il personaggio che viene delineato meglio, ed è veramente tutto dire, è Kirtash, che per il 99% del suo tempo in scena ha una sola espressione, quella da sociopatico indifferente.
Questa mancanza di caratterizzazione si riflette anche sui dialoghi, scialbi, incolori, forzati, spesso simili a dei formulari obbligatori; sui rapporti interpersonali tra i personaggi, fossilizzati in un’amicizia zuccherosa e piena di buoni sentimenti da Teletubbies (eccetto le volte in cui Alsan va in bestia per delle inezie assurde); e in delle incomprensibili incoerenze, ad esempio quella che incontriamo già nella prima puntata: perché Victoria si rivolge a Jack in idhunese (l’antica lingua di Idhun) e gli dà un talismano che funga da magico traduttore simultaneo se, proprio come Jack, è una terrestre ed è perfettamente in grado di parlare in una lingua a lui comprensibile? Rimarrà un mistero.
Di occasioni perse e divieti inspiegabili
Senza avere alle spalle la lettura del libro non si può esserne del tutto certi, ma Memorie di Idhun dà la sensazione di aver avuto una base piuttosto solida, dalla quale però non si è saputo attingere nel modo più efficace (forse anche a causa del poco tempo a disposizione, un centinaio di minuti complessivi). Sarebbe stato interessante, per esempio, se la serie si fosse soffermata un po’ di più sulle peculiarità di Limbhad, questa sorta di limbo tra i mondi che funge un po’ da safe house per la Resistenza (infatti Kirtash e i suoi non possono raggiungerla) e dove, parola di Victoria, “gli elettrodomestici funzionano con la magia”. Torna la sensazione che, nella fretta di avanzare con la trama, si siano trascurate tante, troppe cose, tra cui magari, proprio quelle che avrebbero potuto rendere vincente questa serie.
Bisogna dire che anche Netflix ci mette del suo, classificando Memorie di Idhun come VM14, e generando quindi un certo tipo di aspettativa negli spettatori, un’aspettativa che l’anime non è in grado di soddisfare. Un rating del genere appare come minimo strano per una serie tratta da un libro per ragazzi, e man mano che si va avanti nella visione si fa sempre più incomprensibile. Di scene “piccanti” non ce ne sono (e meno male, visto che i protagonisti sono abbondantemente minorenni), mentre le scene violente sono quasi completamente assenti, e quando ci sono, si svolgono per la maggior parte off-screen. Qualsiasi bambino ha visto puntate dei Looney Tunes molto più splatter di Memorie di Idhun, e questo quadra pochissimo con la classificazione VM14, che Netflix di solito riserva a serie come The Seven Deadly Sins o L’Attacco dei Giganti, che a livello di gore si piazzano decisamente su un altro universo.
Le due facce dell’animazione
A livello “tecnico”, uno degli aspetti che mi ha colpito di quest’anime è stata la cura nella realizzazione grafica degli ambienti e degli elementi di scena. Quasi tutti gli oggetti, soprattutto il cabinato arcade che campeggia nel salone di Limbhad e la schermata del pc di Victoria, così come gli scenari “terrestri”, dalla British Library al vicoletto di periferia di una città cinese, sono trattati con grande realismo e abilità. Anche l’immaginario mondo di Idhun e le creature mitologiche che lo abitano, pur nella loro vaga somiglianza con il Fantabosco, sono molto piacevoli a livello visivo. Purtroppo però, a volte, i disegni dei personaggi non sono al livello di quelli dell’ambiente che li circonda, creando la strana sensazione che siano come “ritagliati e appiccicati” sullo sfondo.
Ma il vero mistero sta nell’animazione. Le scene di battaglia e quelle dei duelli sono una gioia per gli occhi, con movimenti puntuali, belli da vedere, scenografici ma privi di inutili esagerazioni, coreografati in modo molto preciso, davvero splendido. Un risultato di altissimo livello per quello che sicuramente è stato un lavoro minuzioso. Non si spiega allora perché tanta cura non sia stata applicata anche al resto dell’anime, dove spesso i personaggi hanno degli scatti inspiegabili, si muovono fuori sincro, in anticipo o in ritardo rispetto alle battute e al sonoro, o cambiano magicamente posizione tra un’inquadratura e l’altra. Com’è possibile fare tanto bene le cose difficili perdendosi poi nell’animazione di un dialogo?
Per quanto riguarda la colonna sonora, l’anime è accompagnato da una musica che fa molto JRPG fantasy, un tema ripetitivo e sommesso che, volenti o nolenti, si insinua nelle orecchie e non se ne va più. In realtà non è sgradevole, ricorda un po’ quelle melodie che potremmo aver ascoltato giocando a un Final Fantasy, ma purtroppo non è sempre adatta alle scene che si succedono sullo schermo, mancando quindi di sottolineare i momenti di tensione e di pericolo come ci si aspetterebbe.
In conclusione, Memorie di Idhun è un anime che sembra partire con delle ambizioni abbastanza elevate che però non riesce a raggiungere. A dispetto del titolo, si tratta di un prodotto completamente dimenticabile. Non fraintendetemi, ci sono comunque elementi buoni su cui si può costruire, e non è detto che dopo solo cinque episodi una serie sia condannata. Alle false partenze si può rimediare e il tiro si può ancora abbondantemente aggiustare. Ma per il momento i difetti superano, e di molto, i pregi.